Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17244 del 18/08/2020

Cassazione civile sez. I, 18/08/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 18/08/2020), n.17244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8254/2019 proposto da:

I.K., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Faà Di

Bruno n. 15, presso lo studio dell’avvocato Marta Di Tullio, che lo

rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro

pro-tempore, rappresentato e difeso, ex lege, dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, è domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 2459/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

10/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dottoressa IRENE SCORDAMAGLIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con il decreto impugnato, il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso proposto da I.K., cittadino (OMISSIS) proveniente dal (OMISSIS), avverso il provvedimento reiettivo della domanda di protezione internazionale – nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria – emesso dalla competente Commissione Territoriale.

Quanto al riconoscimento dello status di rifugiato ed alla concessione della protezione sussidiaria ha rilevato che i risultati dell’indagine condotta dalla Commissione territoriale consentivano di escludere che il richiedente potesse subire, in ipotesi di rimpatrio, una delle forme di persecuzione previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 o uno dei danni gravi previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) perchè dalle sue dichiarazioni era emerso che egli si era allontanato dal Paese di origine a causa delle violenze e delle minacce poste in essere nei confronti suoi e dei familiari da uno zio, che voleva impadronirsi di un terreno, e che temeva di farvi ritorno perchè la madre, rimasta nella città natale di (OMISSIS), gli aveva riferito che il parente non intendeva desistere dalle prevaricazioni, e perchè, con riferimento alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c) le informazioni sulla città di (OMISSIS) e, in generale sul (OMISSIS), desunte da plurime fonti qualificate, pur dando atto dell’esistenza di una condizione di insicurezza del paese, non consentivano di configurarne la situazione nei termini del conflitto interno o della violenza generalizzata.

Quanto alla protezione umanitaria, ha evidenziato che i seri motivi atti a giustificarne il riconoscimento, non emergevano dalla situazione soggettiva del richiedente, il quale non poteva dirsi che avesse conseguito un’effettiva integrazione sociale in Italia.

2. Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di I.K. è affidato a tre motivi, di seguito dettagliatamente illustrati.

4. L’intimata Amministrazione dell’Interno si è difesa con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per non essersi il Tribunale attenuto, nella valutazione delle dichiarazioni del richiedente protezione, al protocollo procedimentale delineato dal comma 5, lett. c) norma evocata, che impone al giudice di valutare le dichiarazioni del richiedente alla luce delle informazioni generali e specifiche pertinenti al caso, riguardanti il Paese di origine del richiedente.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Le argomentazioni cui esso è affidato sono generiche, perchè non aggrediscono la ratio decidendi posta a sostegno del diniego della reclamata protezione internazionale, nelle forme del rifugio politico, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b): segnatamente, la non inquadrabilità delle ragioni addotte a motivo dell’allontanamento dal Paese di origine in una delle forme di persecuzione che giustificano il riconoscimento dello status di rifugiato o in un trattamento inumano o degradante che giustifica la concessione della protezione sussidiaria.

Peraltro, in ipotesi di allegazione di una situazione di esposizione a rischio promanante da una fonte privata, suscettibile di rilevare ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), l’onere di allegazione del richiedente deve essere adempiuto in termini sufficientemente specifici, non potendosi altrimenti attivare l’obbligo di integrazione istruttoria officiosa D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 onere cui il ricorrente non ha adempiuto nei termini richiesti.

2. Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, dell’art. 14, lett. c) per avere il Tribunale fatto erronea applicazione della norma indicata in riferimento ai parametri interpretativi della stessa.

2.1 II motivo è inammissibile.

Il Tribunale, citate le fonti qualificate compulsate, riguardanti la situazione del (OMISSIS), regione di provenienza del richiedente protezione, e in particolare della sua città natale, (OMISSIS), ha evidenziato come queste non dessero conto di veri e propri conflitti in atto, bensì esclusivamente di alcuni atti di violenza, consistiti, per lo più, in sabotaggi degli impianti petroliferi e di sequestri di persona, come tali non in grado di esporre a pericolo la generalità della popolazione della regione e, comunque, non la vita o l’incolumità del richiedente, che nulla di specifico aveva allegato in ordine ad una sua peculiare condizione di coinvolgimento o esposizione ai menzionati, isolati, atti di violenza.

Donde, pur dietro la formale prospettazione di un vizio di violazione di legge, il ricorrente articola rilievi, peraltro, del tutto generici, rivolti al merito della decisione impugnata.

3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sul rilievo che il Tribunale avrebbe omesso l’esame della domanda di protezione umanitaria e non avrebbe operato il collegamento tra la situazione personale del richiedente e la situazione del Paese di origine.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale, attenendosi all’indicazione nomofilattica secondo la quale, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Sez. 1-, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298), e che oggi ha ricevuto l’autorevole avallo delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02), ha evidenziato come non fossero state offerte dall’istante specifiche allegazioni in ordine ad una condizione di vulnerabilità personale, tanto non consentendo di procedere alla richiesta comparazione tra le sue condizioni nel nostro paese con quelle del paese di provenienza.

Si tratta di affermazione, per quanto osservato, corretta in diritto, con la quale i rilievi censori non si sono affatto confrontati.

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza. Doppio contributo se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito. doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dovrà essere versato ove ne ricorrano i presupposti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2020

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