Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17243 del 22/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 22/08/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 22/08/2016), n.17243

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28248/2014 proposto da:

C.E. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA DEL FANTE 8, presso lo studio dell’avvocato STEFANO PUCCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA VICHI, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

e contro

UNIVERSITA’ STUDI SIENA C.F. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 284/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 19/05/2014, R.G. N. 853/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito l’Avvocato PAOLO SCIPINOTTI per delega ANDREA VICHI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo del

ricorso e assorbiti gli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza n. 284/14, ha confermato il rigetto della domanda proposta da C.E. avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento per superamento del periodo di comporto, intimato con lettera del 23.7.2010 dall’Università degli Studi di Siena.

La Corte fiorentina ha osservato:

– che il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e non ha natura soggettivo – disciplinare; pertanto, la sua legittimità non è subordinata alla analitica indicazione delle giornate di assenza, essendo sufficienti indicazioni più complessive relative al periodo di riferimento, alla disciplina contrattuale applicabile e al numero complessivo delle giornate di assenza, fermo restando l’onere – nell’eventuale sede giudiziaria – di allegare e provare compiutamente i fatti costitutivi del potere esercitato; nella specie, tali indicazioni essenziali erano contenute nella lettera di licenziamento;

– che il C. lavorava sulla base di un part-time verticale di 8 mesi e mezzo per ogni anno, per cui la durata massima del periodo di conservazione del posto di lavoro, fissato dal CCNL di comparto in 18 mesi, oltre a ulteriori 18 mesi di aspettativa non retribuita, proporzionalmente ridotta in rapporto alla durata del part-time corrispondeva a quello dell’assenza, pari a 25 mesi e mezzo;

– che l’intimazione del licenziamento era tempestiva, dovendo riconoscersi un ragionevole spatium deliberandi al datore di lavoro per valutare la sequenza degli episodi morbosi in rapporto agli interessi dell’azienda; nè il lasso di tempo intercorso tra il superamento del periodo di comporto ex art. 2110 c.c., e il licenziamento, in difetto di ripresa dell’attività lavorativa, poteva costituire un elemento da cui presumere la rinuncia al potere di recesso dell’amministrazione datrice di lavoro;

– che non poteva trovare applicazione al caso in esame l’art. 35, comma 14, CCNL, che esclude dal computo dei giorni di assenza quelli dovuti alle conseguenze di terapie “temporaneamente e/o parzialmente invalidanti” praticate per gravi malattie;

– che, infine, quanto al diritto al rimborso delle trattenute operate per assenza a visita di controllo, era assorbente rilevare che titolare del rapporto previdenziale (e quindi passivamente legittimato nella domanda di restituzione) era l’INPS e non il datore di lavoro.

2. Per la cassazione della sentenza il C. propone ricorso affidato a quattro motivi.

L’Università degli Studi di Siena è rimasta intimata. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Costituiva un dato pacifico l’assenza, nella lettera di licenziamento, della specificazione dei giorni di assenza considerati ai fini della maturazione del periodo di comporto. La comunicazione dei motivi era giunta oltre il termine di sette giorni indicati dalla L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2, (previgente alla riforma di cui alla L. n. 92 del 2012), a seguito di richiesta inoltrata dal ricorrente.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2110, 1175 e 1375 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, censura la sentenza per non avere ritenuto intempestivo il licenziamento, intervenuto a distanza di tempo dal momento in cui, secondo la ricostruzione fattuale di parte datoriale, era stato superato il periodo del comporto.

Con il terzo motivo si censura la sentenza per violazione dell’art. 35, comma 14, CCNL comparto Università, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La norma contempla l’ipotesi di una temporanea o parziale limitazione della capacità del soggetto conseguente alle terapie praticate e prevede che tali periodi di invalidità non debbono rientrare nel computo delle assenze per malattia ai fini della maturazione del periodo di comporto. La c.t.u. espletata in primo grado aveva evidenziato come la terapia praticata dal ricorrente fosse da considerarsi cura invalidante, mentre la Corte di appello aveva erroneamente ritenuto che essa non integrasse i presupposti di applicabilità della norma e dunque non aveva operato la detrazione dal computo dei giorni di assenza ad essa ascrivibili.

Con il quarto motivo si denuncia violazione del D.L. n. 463 del 1983, art. 5, comma 14, conv. in L. n. 638 del 1983, nonchè dell’art. 35 CCNL, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in ordine alla richiesta di pagamento della somma trattenuta per assenza dalle visite fiscali. Tali somme dovevano essere anticipate dal datore di lavoro che invece si era rifiutato di farlo.

2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. Il ricorrente non nega che il datore di lavoro abbia ottemperato all’obbligo di specificare i periodi di assenza a seguito della sua richiesta, ma ha dedotto che ciò era avvenuto oltre il termine di sette giorni previsto dalla L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2, vigente ratione temporis (norma sostituita interamente dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 37, il quale ha previsto che la comunicazione del licenziamento contenga fin da subito la specificazione dei motivi che lo hanno determinato). Tale norma prevedeva che fosse consentito al lavoratore di richiedere i motivi entro 15 giorni dalla comunicazione del licenziamento e che in tal caso il datore di lavoro fosse tenuto a fornire per iscritto la comunicazione entro 7 giorni dalla richiesta.

2.1. Premesso che dalla motivazione della sentenza impugnata non risulta che la Corte abbia riferito di una richiesta inviata dal ricorrente entro il termine fissato per la richiesta, nè del mancato rispetto del termine fissato per l’adempimento da parte del datore di lavoro, è inammissibile il denunciato error in iudicando, in quanto muove dall’insussistente presupposto di una erronea interpretazione o applicazione della disciplina legale. Per altro verso, non risulta che il ricorrente per cassazione abbia lamentato l’omesso esame di motivi di gravarne aventi ad oggetto la questione della tardività, vertendo la censura su una presunta violazione del procedimento di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 2, e non su error in procedendo per mancato esame di motivi di appello.

3. Il secondo motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia del lavoratore, fermo restando il potere datoriale di recedere non appena terminato il periodo suddetto, e quindi anche prima del rientro del prestatore, nondimeno il datore di lavoro ha altresì la facoltà di attendere tale rientro per sperimentare in concreto se residuino o meno margini di riutilizzo del dipendente all’interno dell’assetto organizzativo, se del caso mutato, dell’azienda. Ne deriva che solo a decorrere dal rientro in servizio del lavoratore, l’eventuale prolungata inerzia datoriale nel recedere dal rapporto può essere oggettivamente sintomatica della volontà di rinuncia del potere di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento da parte del dipendente (Cass. n. 24899 del 2011).

Dunque, non può parlarsi di rinuncia tacita al recesso per superamento del periodo di comporto in casi, come quello in esame, in cui il presunto ritardo si colloca nel protrarsi dell’assenza dal lavoro e non successivamente alla ripresa del servizio.

3.1. Resta poi fermo il principio, più volte enunciato da questa Corte, secondo cui nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia l’interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con un ragionevole spatium deliberandi che va riconosciuto al datore di lavoro perchè egli possa valutare nel complesso la convenienza ed utilità della prosecuzione del rapporto in relazione agli interessi aziendali (cfr. ex aliis, Cass. n. 7037 del 2011 n. 3645 del 2016).

4. Il terzo motivo è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 6. Occorre premettere che la disciplina contrattuale (art. 35, comma 14, CCNL comparto Università) richiamata a sostegno del motivo è la seguente: “In caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia, di cui al comma 1, del presente articolo, oltre ai giorni di ricovero ospedaliero o di day – hospital anche quelli di assenza dovuti alle terapie. Per i giorni anzidetti di assenza spetta l’intera retribuzione, ivi compresa quella accessoria, secondo i criteri definiti in sede di contrattazione integrativa. La certificazione relativa sia alla gravità della patologia che al carattere invalidante della necessaria terapia è rilasciata dalla competente struttura sanitaria pubblica”.

4.1. La norma collettiva fa riferimento ad assenze conseguenti a terapie che determinano una temporanea o parziale invalidità lavorativa. Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, disattendendo le risultanze della c.t.u. medico-legale espletata in primo grado, era pervenuta ad un’errata applicazione della disciplina contrattuale. Tuttavia, il ricorrente non riporta il testo della c.t.u. medico-legale, nè comunque il contenuto degli accertamenti svolti nel corso del giudizio che consentirebbero di fare emergere, a suo avviso, l’errore di giudizio espresso dalla Corte territoriale. La mancata descrizione degli esiti delle indagini compiute dal giudice di merito impedisce a questa Corte di comprendere se l’operazione di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta compiuta dalla Corte di appello sia o meno conforme alla corretta interpretazione della norma collettiva.

5. Il quarto motivo è infondato. La Corte di appello ha correttamente ritenuto che legittimato alla richiesta di rimborso sia l’INPS e non il datore di lavoro, in conformità a Cass. n. 16140 del 2002 secondo cui la norma di cui al D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 5, comma 14, convertito in L. 11 novembre 1983, n. 638, che prevede la decadenza del lavoratore dal diritto all’indennità di malattia qualora risulti ingiustificatamente assente alla visita di controllo riguarda il rapporto previdenziale intercorrente tra il prestatore di lavoro e l’Inps, che va tenuto distinto dal rapporto di lavoro, ancorchè l’indennità debba essere di regola anticipata dal datore di lavoro, salvo il conguaglio con i contributi previdenziali. Pertanto legittimato all’azione di restituzione è L’Inps, titolare del rapporto obbligatorio e non il datore, il quale lavoratore va considerato non come solvens, ma come adiectus solutionis causa.

6. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimità, non avendo l’Università degli Studi di Siena svolto attività difensiva. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2016

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