Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17240 del 13/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 13/07/2017, (ud. 22/12/2016, dep.13/07/2017),  n. 17240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11278-2011 proposto da:

SILEA INTERCOMUNALE LECCHESE PER L’ECOLOGIA E L’AMBIENTE SPA in

persona del Presidente del C.d.A. e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. PISANELLI 4,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIGLI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIANROBERTO VILLA giusta delega a

margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 125/2010 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 26/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2016 dal Consigliere Dott. GRECO ANTONIO;

udito per il ricorrente l’Avvocato VILLA che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’avvocato GALLUZZO che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO FEDERICO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La spa SILEA – Società Intercomunale Lecchese per l’Ecologia e l’Ambiente per azioni – propone ricorso per cassazione, con cinque motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha confermato la legittimità della comunicazione ingiunzione emessa per il recupero, per il periodo d’imposta 1997, delle agevolazioni IRPEG e ILOR, di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70, – che prevede l’esenzione triennale dalle imposte sul reddito per le società per azioni a capitale pubblico costituite attraverso la L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22, – recupero resosi necessario a seguito della decisione della Commissione CE n. 2003/193/CE in data 5 giugno 2002, che ha dichiarato le agevolazioni concesse dallo Stato italiano incompatibili con il mercato comune, perchè costituenti aiuti di Stato.

Secondo il giudice d’appello alla stregua della decisione della Commissione, la circostanza che un’impresa operi nel mercato europeo e che riceva delle sovvenzioni, anche sotto forma di esenzioni fiscali, è sufficiente a creare una potenziale situazione di distorsione del mercato e turbativa della concorrenza, tanto che la compagine sia a prevalenza pubblica, quanto che sia integralmente a capitale pubblico, cane nella specie, e faccia capo a sessanta comuni della provincia di Lecco. L’avere la società contribuente operato in un ristretto ambito territoriale ed in regime di monopolio non esprime alcuna specifica valenza, dovendosi ritenere che proprio il regime di monopolio, oltretutto favorito dagli aiuti di Stato, costituisca invece alterazione del regime di libera concorrenza, e che, in ogni caso, il settore dei “servizi pubblici locali” sia un mercato che, al pari degli altri, deve essere aperto alla concorrenza comunitaria dei soggetti che vi operano.

La CTR non condivide la tesi della contribuente secondo la quale sarebbe necessario verificare l’effettiva incidenza degli “aiuti di Stato” sugli scambi commerciali, considerato che già la decisione della Commissione CE ha giudicato tali aiuti illegittimi, perchè idonei ad agevolare alcuni soggetti in danno di altri; nè condivide la tesi della limitazione territoriale dell’attività svolta, in quanto le agevolazioni fiscali concesse soltanto a soggetti di uno Stato membro ostacolerebbero l’ingresso nel medesimo settore di mercato da parte di altro soggetto di altro Stato membro, che non possa usufruire, in forza di leggi locali, delle medesime agevolazioni.

I soggetti che fruiscono di agevolazioni fiscali, poi, con le maggiori disponibilità liquide e finanziarie potrebbero rivolgere la propria attività anche in diversi settori di mercato, considerato che la L. n. 142 del 1990 non limita l’esercizio imprenditoriale al solo settore dei servizi pubblici locali, oltre che in altri ambiti territoriali: e nella specie le norme statutarie della società contribuente prevedono appunto la possibilità di stabilire “altre sedi altrove”.

Con riguardo alla misura ed alla modalità di calcolo degli interessi, veniva accolta la domanda dell’Agenzia delle entrate atteso che le dette modalità sono riconosciute e disciplinate dal D.L. n. 185 del 2008, art. 24, comma 4, convertito dalla L. n. 2 del 2009, che fa espresso rinvio alle norme contenute nel capo 5 del Regolamento CE 794/2004. In forza del detto D.L. n. 185 del 2008, art. 24 è stata data attuazione alla decisione della Commissione CE n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002 e sono stati calcolati i criteri approvati dalla Commissione europea, proprio in relazione al recupero degli aiuti di Stato. Essi sono dunque decorrenti a far tempo dalla data nella quale se ne è potuto disporre e sino alla data di effettivo recupero.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo la società ricorrente denuncia violazione di legge per aver compreso essa Silea, soggetto a esclusiva e totalitaria partecipazione pubblica (dei sessanta Comuni della provincia di Lecco), tra i soggetti destinatari della decisione n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, della Commissione delle Comunità europee, e di cui al D.L. n. 185 del 2008, convertito nella L. n. 2 del 2009.

Con il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 32 del 2005 e D.L. n. 185 del 2008, convertito in L. n. 3 del 2009) in quanto l’attività di Silea è svolta ex lege in regime di privativa, sottratta quindi all’applicazione delle norme a tutela dei mercati (art. 360 c.p.c., n. 3).

Con il terzo motivo denuncia carenza di motivazione della sentenza nella parte in cui ritiene non sussistente il monopolio in base alla sola lettura dello statuto che consente di stabilire sedi “altrove”.

I tre motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

Con riguardo al recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili con il mercato comune dalla decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002 – cane questa Corte ha affermato – “l’Agenzia delle entrate, ai sensi del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, conv., con modif., dalla L. n. 46 del 2007, ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle imposte non versate in forza del regime agevolativo previsto dal D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, conv., con modif., dalla L. n. 427 del 1993, e dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70, anche nei confronti delle società “in house”, a partecipazione pubblica totalitaria, risultando irrilevante la composizione del capitale sociale rispetto all’obiettivo di evitare che le imprese pubbliche, beneficiarie del trattamento agevolato, possano concorrere nel mercato delle concessioni dei cd. servizi pubblici locali, che è un mercato aperto alla concorrenza comunitaria, in condizioni di vantaggio rispetto ai concorrenti” (Cass. n. 2396 del 2017).

Si era già avuto modo di chiarire (Cass. n. 7673 del 2012, in motivazione) che in base alla detta normativa, “l’amministrazione finanziaria ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni, ritenute incompatibili con il diritto comunitario dalla decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE, fruite dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico, istituite ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22, per la gestione dei servizi pubblici locali, dovendo escludersi il recupero nelle sole ipotesi di aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità della regola de minimis. L’onere dell’amministrazione resta pertanto limitato alla necessità di indicare (e provare) che detta società sia una società per azioni costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990, e che la stessa abbia effettivamente fruito dell’agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario (v. in proposito Cass. n. 23414 del 2010, secondo la quale l’Agenzia delle Entrate ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero, da escludersi solo nell’ipotesi in cui si tratti di aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità della regola “de minimis”, spettando alla società destinataria dell’ingiunzione eccepire e provare che l’aiuto ricevuto appartiene all’ambito di applicabilità della suddetta regola e gravando sull’amministrazione solo l’onere di provare che tale società è una società per azioni costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990 ed ha effettivamente fruito dell’agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario, elementi che, unitamente all’invito ad avvalersi della eccezione relativa all’appartenenza dell’aiuto all’allibito di applicabilità della regola “de minimis”, esauriscono la motivazione necessaria dell’ingiunzione”.

Quanto al campo di applicazione della decisione della Commissione Europea con riguardo alle cd. società in house nella specie la società era interamente partecipata dai Comuni precedentemente consorziati e svolgeva in regime di privativa unicamente il servizio pubblico idrico ottenuto in concessione diretta dai suddetti Comuni secondo la modalità in house providing – il fatto che le società beneficiate erano a partecipazione pubblica totalitaria ed il fatto che avevano operato in settori al tempo sottratti alla concorrenza “risultano già esposti dalle imprese interessate nel procedimento che ha portato all’adozione della decisione comunitaria di cui si discute (v. il considerando 22 della stessa) e sono stati ritenuti irrilevanti dalla Commissione. In particolare, la Commissione ha evidenziato l’irrilevanza della circostanza che l’impresa beneficiaria operi in regime di monopolio di fatto sia perchè “il mercato delle concessioni dei cosiddetti servizi pubblici locali è un mercato aperto alla concorrenza comunitaria (…) e soggetto alle regole del Trattato” (v. considerando n. 68) sia perchè le misure in esame, per un verso “incidono sugli scambi tra Stati membri poichè esse danneggiano imprese straniere partecipanti a gare per concessioni locali in Italia, dato che le imprese pubbliche beneficiarie del regime in oggetto possono concorrere a prezzi più competitivi rispetto ai loro concorrenti nazionali o comunitari che non ne beneficiano” e, per altro verso, rendono “meno attraente per le imprese di altri Stati membri investire nel settore (..) (ad esempio con acquisto di partecipazione di maggioranza), poichè le aziende eventualmente acquisite non potrebbero beneficiare (o potrebbero perdere) l’aiuto, in conseguenza della natura dei nuovi azionisti” (v. considerando numeri 69 e seguenti).

La decisione in esame ha peraltro precisato che una certa concorrenza, almeno in taluni dei settori di operatività delle s.p.a. ex L. n. 142 del 1990, comunque esisteva anche al momento dell’entrata in vigore delle misure agevolative (per es. nei settori dei rifiuti, del gas e dell’acqua), aggiungendo che è principio acquisito che, “quand’anche la concorrenza in un determinato settore economico e in un determinato momento sia limitata”, gli Stati membri non possono comunque adottare misure comportanti aiuti “suscettibili di impedirne lo sviluppo o di diminuire il grado di concorrenza” (Cass. n. 7663 del 2012).

Con il quarto motivo lamenta violazione di legge circa la violazione dell’affidamento.

La censura è infondata.

Questa Corte (Cass. n. 23419 del 2010) ha ricordato cane il giudice delle leggi (Corte cost. ord. n. 36 del 2009) abbia ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale attinente al valore retroattivo del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 aprile 2007, n. 46, art. 1, sollevate dalla C.T.P. di Firenze, in riferimento agli artt. 53 e 97 Cost.. Per il giudice delle leggi “la denunciata efficacia retroattiva delle norme censurate trova giustificazione sia nell’art. 117 Cost., comma 1, in conseguenza dell’obbligo imposto dall’ordinamento comunitario al legislatore italiano di procedere al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni fiscali non compatibili con la normativa comunitaria; sia nell’art. 3 Cost., data l’esigenza di ricondurre ad uguaglianza la posizione dei contribuenti, eliminando sin dall’origine gli effetti economici illegittimamente accordati ad alcuni di essi”, e non potendo questi ultimi, di regola, invocare alcun legittimo affidamento sugli aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune. In particolare, secondo la Corte delle leggi, non sussiste violazione dei principi di capacità contributiva e di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione, poichè il prelievo fiscale “costituisce un recupero dell’ammontare dell’esenzione fiscale indebitamente concessa e non è effetto di un’ulteriore imposta ad efficacia retroattiva”, bensì comporta la sottoposizione ad imposta di redditi che all’epoca della loro formazione erano già imponibili. Inoltre, l’affidamento oggetto di tutela può essere solo quello direttamente imputabile a comportamenti dell’Istituzione comunitaria, mentre non rappresenta una causa di esclusione dell’obbligo di restituzione delle somme percepite l’affidamento basato solo sulla fiducia riposta nella legge dello Stato e nel comportamento dell’Amministrazione deputata ad applicarla tanto più nei casi, come in quello in esame, in cui l’aiuto è stato concesso in violazione dell’art. 88, pt. 3, del Trattato.

Con il quinto motivo la società contribuente lamenta violazione di legge in ordine alla determinazione del tasso di interesse.

Il quinto motivo è infondato, alla stregua di una corretta ricostruzione della normativa comunitaria in materia e di quella interna emessa per darne attuazione (Cass. n. 23797 del 2016, in motivazione):

a) il Regolamento CE n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999 (recante modalità di applicazione dell’art. 93 del Trattato CE) dispone, all’art. 14, paragrafo 2, che “all’aiuto da recuperare ai sensi di una decisione di recupero si aggiungono gli interessi calcolati in base a un tasso adeguato stabilito dalla Commissione. Gli interessi decorrono dalla data in cui l’aiuto illegale è divenuto disponibile per il beneficiario, fino alla data di recupero”; il successivo art. 27 prevede che la Commissione è autorizzata ad emanare disposizioni di attuazione riguardanti, fra l’altro, “il tasso di interesse di cui all’art. 14, paragrafo 2”;

b) la decisione della Commissione del 5 giugno 2002, 2003/193/CE (notificata il 7 giugno 2002), che qui interessa, stabilisce, all’art. 3, comma 3, che “l’aiuto da recuperare è produttivo di interessi, decorrenti dalla data in cui l’aiuto è stato posto a disposizione dei beneficiari fino alla data di effettivo recupero, calcolati sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell’equivalente sovvenzione nell’ambito degli aiuti a finalità regionale”; nel punto 127 della motivazione si precisa che tale calcolo degli interessi è conforme alla prassi della Commissione;

c) nella Comunicazione 8 maggio 2003, 2003/C 110/08, sui tassi di interesse da applicarsi in caso di recupero di aiuti illegali, la Commissione, premesso che per diversi anni aveva seguito la prassi di imporre nelle decisioni di recupero il calcolo basato sul tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell’equivalente sovvenzione netto nell’ambito degli aiuti regionali come base del tasso di interesse di mercato e che era sorta la questione se il predetto tasso dovesse essere applicato su base semplice o composta, ha osservato che, nonostante la varietà delle situazioni, gli aiuti illegali hanno “l’effetto di fornire fondi al beneficiario a condizioni analoghe ad un prestito a medio termine senza interessi. L’applicazione di interessi composti appare pertanto necessaria per neutralizzare tutti i vantaggi fiscali risultanti da una tale situazione”; ha, pertanto, informato gli Stati membri e le parti interessate che “in tutte le decisioni che essa adotterà in futuro per disporre il recupero di aiuti illegali verrà applicato il tasso di riferimento utilizzato per calcolare l’equivalente sovvenzione netto nell’ambito degli aiuti regionali su base composta”; ed ha aggiunto che la Commissione “si aspetta che gli Stati membri applichino interessi composti all’atto dell’esecuzione delle decisioni di recupero ancora in corso, a meno che ciò non sia contrario ad un principio generale del diritto comunitario”;

d) il Regolamento CE n. 794/2004 della Commissione del 21 aprile 2004, adottato in applicazione del sopra citato art. 27 del Reg. n. 659/1999, dispone, al Capo 5 (Tassi di interesse per il recupero di aiuti illegittimi), art. 11, paragrafo 2, che “il tasso di interesse è applicato secondo il regime dell’interesse composto fino alla data di recupero dell’aiuto. Gli interessi maturati l’anno precedente producono interessi in ciascuno degli anni successivi”; il successivo Capo 6 (Disposizioni finali) all’art. 13 stabilisce, per quanto qui rileva, che “gli artt. 9 e 11 si applicano a tutte le decisioni di recupero notificate successivamente alla data di entrata in vigore del presente regolamento”.

Il legislatore nazionale, nel dare attuazione alla citata normativa comunitaria, ha disciplinato l’azione di recupero degli aiuti de quibus dapprima con il D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1 (convertito, con modificazioni, dalla L. 6 aprile 2007, n. 46), poi con il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 24, (convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2), ed infine con il D.L. 25 settembre 2009, n. 135, art. 19 (convertito, con modificazioni, dalla L. 20 novembre 2009, n. 166).

Per quanto qui rileva, il D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 3 e il D.L. n. 185 del 2008, art. 24, comma 4, hanno identicamente stabilito che:

“Gli interessi sono determinati in tese alle disposizioni di cui al capo 5 del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, secondo i criteri di calcolo approvati dalla Commissione europea in relazione al recupero dell’aiuto di Stato C57/03, disciplinato dalla L. 25 gennaio 2006, n. 29, art. 24. Il tasso di interesse da applicare è il tasso in vigore alla data di scadenza ordinariamente prevista per il versamento di saldo delle imposte non corrisposte con riferimento al primo periodo di imposta interessato dal recupero dell’aiuto”.

La citata L. 25 gennaio 2006, n. 29, art. 24, disciplina l’attuazione della decisione della Commissione del 20 ottobre 2004, n. 2003/315/CE (con la quale fu dichiarato parzialmente incompatibile con il mercato comune il regime di aiuti a favore delle imprese che avevano realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, disposto dal D.L. n. 282 del 2002, art. 5 sexies), e stabilisce, al comma 3, che gli interessi vanno “calcolati sulla base delle disposizioni di cui al capo 5^ del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, maturati a partire dalla data in cui le imposte non versate sono state messe a disposizione dei beneficiari fino alla data del loro recupero effettivo”.

Tale essendo il quadro normativo di riferimento, la questione che già si è più volte posta al vaglio di questa Corte e che qui si ripropone concerne specificamente la compatibilità con il diritto comunitario del richiamo, da parte del cit. D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 3, ai fini della determinazione degli interessi, al Regolamento CE n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, anche in caso di decisioni di recupero notificate – cane nel caso di specie – anteriormente ad esso, ciò in particolare alla luce della ricordata previsione del regolamento secondo cui lo stesso si applica solo alle decisioni di recupero notificate successivamente alla sua entrata in vigore.

Al riguardo si sono in passato registrati nella giurisprudenza di questa Corte diversi orientamenti: secondo un primo indirizzo, il criterio di determinazione degli interessi su base composta deriva direttamente dalla legge nazionale, risultando il Regolamento CE del 2004 semplicemente il parametro richiamato dal legislatore nazionale (v. Sez. 5, n. 6542 del 2012, cit., che ha per tal motivo ritenuto legittima l’applicazione degli interessi composti sulle somme anche in quel caso ingiunte per restituzione di aiuti di Stato fruiti nell’anno fiscale 1994 e dichiarati illegittimi con la ricordata decisione della Commissione Europea n. 18 2003/193/CE); secondo altro orientamento detti interessi sono invece da corrispondere in misura composta se – e solo se – si tratti di decisioni di recupero notificate successivamente alla data di entrata in vigore del regolamento stesso e, anche in tale ipotesi, solo relativamente al periodo intercorrente tra la notifica della decisione della Commissione e il recupero effettivo (Sez. 5, n. n. 14022 del 2012, cit.).

Con ordinanza n. 3006 del 11/02/2014 questa Corte ha successivamente investito la Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, della seguente questione pregiudiziale:

“se l’art. 14 del Regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’art. 93 del trattato CE, e gli artt. 9, 11 e 13 del Regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione del 21 aprile 2004, recante disposizioni di esecuzione del regolamento predetto, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una legislazione nazionale che, in relazione ad un’azione di recupero di un aiuto di Stato conseguente ad una decisione della Commissione notificata in data 7 giugno 2002, stabilisca che gli interessi sono determinati in base alle disposizioni del capo 5^ del citato Regolamento n. 794/2004 (cioè, in particolare, agli artt. 9 e 11), e, quindi, con applicazione del tasso di interesse in base al regime degli interessi composti”.

Su tale questione la Corte di giustizia si è pronunciata con sentenza del 3 settembre 2015 (in causa C-89/14), recante il seguente dispositivo: “L’art. 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’art. 93 del trattato CE, nonchè gli artt. 11 e 13 del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, recante disposizioni di esecuzione del regolamento n. 659/1999, non ostano a una normativa nazionale, come il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 24, comma 4, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e imprese e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, convertito, con modificazioni, nella L. 28 gennaio 2009, n. 2, che preveda, tramite un rinvio al regolamento n. 794/2004, l’applicazione di interessi composti al recupero di un aiuto di Stato, sebbene la decisione che ha dichiarato detto aiuto incompatibile con il mercato comune e ne ha disposto il recupero sia stata adottata e notificata allo Stato membro interessato anteriormente all’entrata in vigore di detto regolamento”.

Tutto ciò premesso, reputa questa Corte che alla luce della citata sentenza, cui occorre ovviamente uniformarsi nella interpretazione del diritto comunitario, il dubbio posto circa l’applicabilità al caso di specie degli interessi composti così come indicati dalla norma interna sia destituito di fondamento.

Chiaro e insuscettibile di diversa interpretazione appare invero anzitutto il citato dispositivo con il quale, a ben vedere, rispondendo alla questione come sopra menzionata posta dall’ordinanza di rinvio (compatibilità con il diritto comunitario di una legislazione nazionale che, in relazione ad un’azione di recupero di un aiuto di Stato conseguente ad una decisione della Commissione notificata in data 7 giugno 2002, stabilisca che gli interessi sono determinati in base alle disposizioni del capo 5^ del citato Regolamento n. 794/2004… e, quindi, con applicazione del tasso di interesse in base al regime degli interessi composti), la Corte di giustizia vi ha dato risposta incondizionatamente affermativa, onde non si vede come da tale pronuncia possa trarsi ragione per una disapplicazione della norma interna ovvero per una interpretazione della stessa in termini tali da ridurne la portata (il che si risolverebbe a ben vedere in una parziale disapplicazione non sorretta da alcuna giustificazione).

Ma varrà a ciò aggiungere che anche la lettura della motivazione della sentenza offre argomenti che non solo non contrastano tale piana lettura del dispositivo, ma anzi la avvalorano.

I principali passaggi argomentativi della sentenza della C.G. possono invero così schematizzarsi:

a) l’art. 11, par. 2, del Regolamento n. 794/2004 (il quale detta il regime dell’interesse composto) è applicabile, conformemente all’art. 13, comma 5, del medesimo regolamento, solo alle decisioni di recupero notificate dopo la data di entrata in vigore di quest’ultimo (pt. 27): decisioni tra le quali non rientra quella che nel caso viene in rilievo (n. 2003/193/CE) notificata alla Repubblica italiana il 7 giugno 2002 (pt. 28);

b) per le azioni di recupero conseguenti alla Decisione 2003/193 – stante l’assenza di indicazioni dettate dalla stessa o da altre fonti comunitarie – spettava dunque al diritto nazionale determinare se, nello specifico, il tasso di interessi andasse applicato su base semplice o su base composta (ptt. 31-32);

c) al riguardo non può dedursi dalla disposta applicabilità del regolamento n. 794/2004 alle sole decisioni di recupero notificate dopo la data della sua entrata in vigore (art. 13, comma 5), un divieto di principio per gli Stati membri, nel determinare la base di calcolo degli interessi, di legiferare in un senso anzichè in un altro. “L’art. 13 del regolamento n. 794/2004 non introduce, dunque, una norma di irretroattività applicabile alle normative nazionali prima dell’entrata in vigore del regolamento n. 794/2004” (pt. 34);

d) resta fermo che nel dare attuazione al diritto dell’Unione (e, nello specifico, alla Decisione 2003/193/CE nonchè, per quanto riguarda gli interessi, all’art. 14, paragrafo 1, del Reg. n. 659 del 1999) lo Stato membro è tenuto a rispettare i principi generali di tale diritto (pt. 35) e fra essi, in particolare, quelli di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento (pt. 36); nè l’uno nè l’altro ostano però a che una nuova disciplina si applichi agli “effetti futuri di situazioni sorte in vigenza della vecchia legge” (ptt. 37-38);

e) a tanto la legge interna si è attenuta posto che essa si limita ad applicare una normativa nuova agli “effetti futuri di situazioni sorte sotto l’impero della disciplina anteriore” (pt.

40); infatti: da un lato, la norma nazionale non è entrata in vigore anteriormente alla data della sua pubblicazione; dall’altro, gli avvisi di imposta che prevedevano l’applicazione di interessi su base composta sono stati notificati (nel caso esaminato dal giudice del rinvio, ma anche nel presente, n.d.r.) posteriormente all’entrata in vigore di detta norma. “Siccome l’aiuto dichiarato incompatibile con il mercato comune di cui trattasi nel procedimento principale non era stato recuperato nè aveva costituito oggetto di avviso di imposta alla data di entrata in vigore di detto decreto legge, quest’ultimo non può essere considerato incidere su una situazione già acquisita” (pt. 41);

g) “peraltro, con riferimento all’importante scarto di tempo tra l’adozione, il 5 giugno 2002, della decisione n. 2003/193, con la quale la Commissione ha chiesto il recupero dell’aiuto di Stato in questione nel procedimento principale, e l’emissione, nel corso dell’anno 2009 (nel nostro caso, nel 2007, n.d.r.), di un avviso di imposta destinato ad assicurare il recupero effettivo di detto aiuto, si deve considerare che l’applicazione di interessi composti costituisce uno strumento appropriato per neutralizzare il vantaggio concorrenziale conferito illegittimamente alle imprese beneficiarie di detto aiuto di Stato” (pt. 42).

Appare evidente da tale iter argomentativo che l’unico limite all’applicazione, da parte del legislatore nazionale, degli interessi composti nelle azioni di recupero degli aiuti di Stato conseguenti a decisioni comunicate anteriormente al Regolamento n. 794/2004, riguardi le “situazioni acquisite”, intese quali situazioni esaurite, in tal senso particolarmente chiaro risultando l’ultimo periodo del pt. 41 della citata sentenza che esplicitamente considera quale situazione acquisita quella relativa ad aiuto di Stato già recuperato ovvero posto ad oggetto di avviso di imposta anteriormente alla data di entrata in vigore della norma interna.

Nè argomento contrario può trarsi dalla sentenza del Tribunale dell’U.E., resa in data 9 giugno 2016 nella causa T – 122/14, che ha annullato la decisione della Commissione C(2013) 8681 final, del 6 dicembre 2013, la quale – in esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia del 17 novembre 2011, in causa C-496/09, che (in relazione al già accertato inadempimento della Decisione della Commissione 11 maggio 1999, 2000/128/CE, che obbligava al recupero degli aiuti concessi per interventi a favore dell’occupazione) aveva condannato l’Italia al pagamento di una penalità di ammontare corrispondente alla moltiplicazione dell’importo di base di Euro 30 milioni per la percentuale degli aiuti illegali incompatibili il cui recupero non era ancora stato effettuato – aveva fissato l’importo della penalità dovuta dalla Repubblica italiana per il secondo semestre successivo a tale sentenza comprendendo nella base di calcolo anche gli interessi composti.

Tale sentenza rimane infatti perfettamente in linea con gli enunciati della sentenza sopra citata della Corte di giustizia 3 settembre 2015, in causa C-89/14 (non a caso, infatti, più volte richiamata).

Anche in tale pronuncia, invero, si ribadisce che “se è vero che l’art. 11, paragrafo 2, del regolamento n. 794/2004 enuncia che il tasso di interesse è applicato secondo il regime dell’interesse composto fino alla data di recupero dell’aiuto e che gli interessi maturati l’anno precedente producono interessi in ciascuno degli anni successivi, si deve comunque constatare che tale disposizione è applicabile, conformemente all’art. 13, comma 5, del medesimo regolamento, solo alle decisioni di recupero notificate dopo la data di entrata in vigore di quest’ultimo, ossia dopo il 20 maggio 2004” (pt. 59) e che, pertanto, con riferimento alle decisioni notificate anteriormente, per determinare se gli interessi debbano essere semplici o composti, “in assenza di disposizioni del diritto dell’Unione in materia”, la relativa disciplina va ricercata nel diritto nazionale applicabile alla azione di recupero.

Con la conseguenza che, nel caso in quella sede considerato, all’azione di recupero (e correlativamente anche ai fini della determinazione delle sanzioni conseguenti alla sua tardata o incompleta attuazione), non potevano applicarsi gli interessi composti dal momento che “diversamente dalla causa che ha dato luogo alla sentenza del 3 settembre 2015, A2A (C-89/14)” – precisazione significativamente ripetuta più volte nella sentenza del Tribunale UE in esame (v. ptt. 44 e 66) “nessun’altra disposizione di diritto italiano è stata invocata dalle parti in quanto disposizione applicabile alla presente causa”, diversa da quella di cui all’art. 1283 c.c., che, come noto, consente l’applicazione di interessi anatocistici “solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

E’ appena il caso di soggiungere che la diversità del caso in questa sede considerato sta proprio nel fatto che – nella materia degli aiuti di Stato illegittimi concessi alle società costituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22, comma 3, lett. e), – il diritto interno prevede una disciplina dell’azione di recupero (il citato D.L. n. 10 del 2007, art. 1, nonchè l’identico D.L. n. 185 del 2008, art. 24, comma 4) espressamente e inequivocabilmente intesa ad affermare – attraverso il rinvio formale al Reg. 794/2004 – la dovutezza anche degli interessi composti e ciò retroattivamente a partire dalla data in cui le imposte non versate sono state messe a disposizione dei beneficiari: retroattività che, per quanto visto, non trova ostacolo nel diritto dell’U.E..

“La sentenza della Corte di giustizia del 3 settembre 2015 non manca di offrire argomenti utili a palesare l’infondatezza anche degli ulteriori rilievi esposti dalla ricorrente nella memoria datata 10 marzo 2016, circa l’asserita violazione dei principi di pari trattamento (per non avere il legislatore interno mai richiesto interessi composti in relazione al recupero di aiuti dichiarati illegittimi da decisioni della commissione europea emesse prima dell’entrata in vigore del Reg. 794/2004) e di proporzionalità (per essere gli interessi composti, anche per effetto del notevole lasso di tempo intercorso, superiori a quanto necessario a ristabilire la concorrenza violata): rendendosi pertanto inutile il nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sollecitato sotto tali profili.

Sotto il primo di essi la Corte di giustizia, invero, pur premettendo che si tratta di questione che esula da quelle che hanno costituito oggetto della decisione di rinvio del giudice nazionale (pt. 44), ha comunque evidenziato di non avere “elementi che consentano di verificare se l’A2A tenti di avvalersi di una prassi decisionale nazionale che potrebbe disattendere il principio di legalità” e che, peraltro, “secondo una giurisprudenza costante della Corte, il principio di parità di trattamento deve conciliarsi con il rispetto della legalità, secondo cui nessuno può invocare, a proprio vantaggio, un illecito commesso a favore di altri (sentenza The Rank Group, C259/10 e C-260/10, EU:C:2011:719, punto 62 e giurisprudenza ivi citata)” (pt. 46).

Orbene non si ravvisano, nell’ordinamento interno, indici evidenti della formazione di una prassi normativa tesa ad escludere l’applicazione di interessi composti nelle azioni di recupero di aiuti dichiarati illegittimi da decisioni della Commissione europea emesse anteriormente all’entrata in vigore del Reg. 794/2004.

“Tra le fonti richiamate dalla difesa della ricorrente prosegue Cass. n. 23797 del 2016 – solo una è successiva all’approvazione del Reg. 794/2004 e riguarda l’attuazione di una decisione della Commissione europea ad essa invece anteriore;

tutte le altre risalgono ad anni antecedenti e non può ovviamente in esse ricercarsi alcun rinvio al detto Regolamento: il mero fatto che, successivamente all’emanazione di quest’ultimo, la disciplina interna di attuazione, anche per quel che riguarda gli interessi, sia rimasta immutata,costituisce dato non significativo, in quanto non imputabile ad una positiva,consapevole e volontaria scelta del legislatore, tanto meno nel senso di instaurare ed alimentare una prassi contraria all’applicazione degli interessi composti nelle azioni di recupero. La mancata applicazione degli interessi composti va piuttosto, per tali casi, necessariamente valutata nel contesto normativo vigente al tempo dell’entrata in vigore delle relative discipline(risalente al 2002 o ad anni anteriori) nel quale cane s’è visto – anche a livello comunitario non era ancora stata ponderata l’importanza degli interessi composti in funzione di un effettivo e pieno ripristino della situazione di pari concorrenza violata (per la prima volta ciò essendo avvenuto con la citata Comunicazione 8 maggio 2003, 2003/C 110/08).

Il raffronto può, dunque, essere condotto soltanto tra la norma di diritto interno nella specie richiamata e il citato D.L. n. 159 del 2007, art. 46 – quater, il quale pertanto costituisce unico appropriato termine di paragone ai fini della richiesta valutazione, con la conseguenza che, indipendentemente da ogni altra considerazione, quantomeno sul piano strettamente quantitativo è escluso che esso possa considerarsi espressivo di una “prassi decisionale nazionale” costantemente seguita (331 legislatore interno e derogata soltanto nel caso degli aiuti di Stato quali quelli nella specie considerati.

Sotto il secondo profilo, ma con refluenza anche su quello appena esaminato, occorre nuovamente rimarcare che, assai significativamente, la Corte di giustizia ha tenuto ad evidenziare che “con riferimento all’importante scarto di terreo tra l’adozione, il 5 giugno 2002, della decisione n. 2003/193, con la quale la Commissione ha chiesto il recupero dell’aiuto di Stato in questione nel procedimento principale, e l’emissione, nel corso dell’anno 2009, di un avviso di imposta destinato ad assicurare il recupero effettivo di detto aiuto, si deve considerare che l’applicazione di interessi composti costituisce uno strumento appropriato per neutralizzare il vantaggio concorrenziale conferito illegittimamente alle imprese beneficiarie di detto aiuto di Stato” (pt. 42).

Nella stessa prospettiva, la citata Comunicazione della Commissione sui tassi d’interesse da applicarsi in caso di recupero di aiuti illegali (Comunicazione 8 maggio 2003, 2003/C 110/08) aveva già evidenziato che: a) “il recupero è la logica conseguenza del carattere illegale di un aiuto; il recupero dell’aiuto è inteso a ristabilire lo status quo ante; per effetto della restituzione, il beneficiario è privato del vantaggio sleale di cui aveva fruito rispetto ai suoi concorrenti sul mercato, il che consente di ripristinare la situazione esistente prima dell’erogazione dell’aiuto”; b) “nella pratica di mercato, si utilizza l’interesse semplice quando il beneficiario del finanziamento non può disporre dell’importo degli interessi prima della fine del periodo, ad esempio quando gli interessi vengono pagati solo alla fine del periodo. Si calcola invece di norma l’interesse composto quando si può ritenere che per ogni anno (o per ogni periodo) venga pagato al beneficiario l’importo dell’interesse, il quale va pertanto ad incrementare il capitale iniziale. In tal caso, il beneficiario percepisce interessi sugli interessi pagati per ogni periodo”; c) pur nel variare del tipo di aiuto concesso e della situazione del singolo beneficiario, “gli aiuti illegali… (hanno, n.d.r.) l’effetto di fornire fondi al beneficiano a condizioni analoghe ad un prestito a medio termine senza interessi. L’applicazione di interessi composti appare pertanto necessaria per neutralizzare tutti i vantaggi fiscali risultanti da una tale situazione”.

Non sembra inutile al riguardo ancora sottolineare che come già sopra ricordato – assai significativamente, nella detta Comunicazione dell’8 maggio 2003, la Commissione U.E. non solo preannuncia che “in tutte le decisioni che essa adotterà in futuro per disporre il recupero di aiuti illegali verrà applicato il tasso di riferimento utilizzato per calcolare l’equivalente sovvenzione netto nell’ambito degli aiuti regionali su base composta”, ma esplicitamente raccomanda (“la Commissione si aspetta”), quanto alle decisioni già prese e “ancora in corso” di attuazione (quale per l’appunto quella di che trattasi), che “gli Stati membri applichino interessi composti”, “a meno che ciò non sia contrario ad un principio generale del diritto comunitario”: contrarietà che, nei limiti e per le ragioni dette, non sussiste nel caso qui considerato.

Tutto ciò, da un lato, esclude che il risultato cui conduce l’applicazione degli interessi composti possa considerarsi sproporzionato rispetto al fine perseguito dall’azione di recupero di ripristino della situazione concorrenziale precedente; dall’altro dimostra che, per converso, una diversa opzione renderebbe il recupero inidoneo ad un pieno conseguimento dello scopo e, dunque, non varrebbe a sanare l’illegalità insita nella concessione dell’aiuto di Stato, il che non può non riverberarsi anche sul tema prima esaminato (rispetto del principio di pari trattamento) nel senso che, quand’anche possano ipotizzarsi scelte del legislatore interno discriminatorie circa le modalità attuative del recupero di aiuti di Stato, quella più favorevole al beneficiario, in quanto adottata attraverso un’opzione che non consente di sanare integralmente l’illegalità commessa, non potrebbe comunque costituire valido elemento di comparazione in quanto incoerente con il principio di legalità (come ricordato dalla Corte di Giustizia nel già sopra ricordato pt. 46 della sentenza citata).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

In considerazione dell’epoca di formazione della giurisprudenza di riferimento e della peculiarità dei temi coinvolti, il Collegio ritiene di compensare le spese del giudizio.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017

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