Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1724 del 29/01/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 1724 Anno 2015
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA

sul ricorso 14550-2007 proposto da:
PROVINCIA DI FOGGIA (P.I. 00374200715), in persona
del Presidente pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ANGELO EMO 56, presso
l’avvocato SERGIO DELVINO, che la rappresenta e
difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

2014
1515

contro

FALLIMENTO RIZZI DOMENICO (C.F. 00088100714), in
persona del Curatore dott. SAVERIO CATALANO,

(1/

Data pubblicazione: 29/01/2015

elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE
MARZIO 1, presso l’avvocato MACARIO FRANCESCO,
rappresentato e difeso dall’avvocato MANGIOLFI
ANTONIO, giusta procura a margine del
controricorso;
controricorrente-

avverso la sentenza n. 1138/2006 della CORTE
D’APPELLO di BARI, depositata il 29/11/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 17/09/2014 dal Consigliere
Dott. SERGIO DI AMATO;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato BULTRINI
NICOLA, con delega, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

4

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 29 novembre 2006 la Corte di appello di
Bari, in riforma della sentenza del Tribunale di Foggia n.
2435/2003, accoglieva la domanda con cui il fallimento di

Domenico Rizzi aveva chiesto la declaratoria di inefficacia
del pagamento di e 19.898,93 effettuato dalla Provincia di
Foggia nelle mani del fallito dopo la dichiarazione di
fallimento ed in relazione al corrispettivo da essa dovuto
per lavori svolti dal fallito nell’esercizio di una nuova
attività d’impresa.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione la Provincia di Foggia, deducendo: 1) la
violazione dell’art. 44 1. fall., atteso che tale
disposizione non trova applicazione nell’ipotesi,
ricorrente nella specie, di beni sopravvenuti dopo la
dichiarazione di fallimento ed atteso che, comunque, le
somme guadagnate dal fallito con la sua attività possono
essere acquisite dal fallimento soltanto detraendo le
passività incontrate; 2) la violazione dell’art. 42, comma
2, 1. fall., per le stesse ragioni esposte nel primo
motivo.
Il fallimento resiste con controricorso
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono

fondati.

Invero,

il regime di inefficacia previsto
3

dall’art.

44,

comma

2,

1.

fall.

trova

integrale

applicazione soltanto per i pagamenti ricevuti dal fallito
per titoli anteriori al fallimento e si ricollega tanto
alla cristallizzazione del patrimonio del debitore, quanto
allo spossessamento conseguenti alla dichiarazione di

fallimento e cioè al fatto che quest’ultima priva il
fallito, dalla data di deposito della sentenza, dei poteri
di amministrazione e disposizione del suo patrimonio,
trasferendoli agli organi della procedura fallimentare,
nell’interesse della massa dei creditori*
Rispetto ai pagamenti ricevuti dal fallito per titoli
sorti dopo la dichiarazione di fallimento e collegati ad
una sua nuova attività, la disposizione dettata dall’art.
44, comma 2, 1. fall. deve essere coordinata con le
disposizioni dettate dagli artt. 42, comma 2, e 46, comma l
n. 2, l. fall. La prima disposizione («sono compresi nel
fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante
il fallimento, dedotte le passività incontrate per
l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi»), pur
sembrando riferirsi ai soli acquisti del fallito, esprime
chiaramente il noto principio secondo cui le attività non
possono acquisirsi separatamente dalle passività che ad
esse ineriscono
impensis)

(fructus non intelleguntur nisi deductis

e trova in realtà applicazione a tutti i beni

pervenuti al fallito e perciò anche quando i beni pervenuti
consistono in somme di denaro, come è reso evidente dal
4

fatto che il successivo art. 46 1. fall. non esita ad
• annoverare tra i «beni» non compresi nel fallimento anche
somme di denaro. Dal menzionato principio discende che
anche il corrispettivo pagato al fallito per una attività
da lui svolta dopo la dichiarazione di fallimento non può

essere acquisito per intero, ma soltanto dopo la deduzione
delle passività incontrate dal fallito per generare il
corrispettivo in questione.
D’altro canto, una volta depurato il corrispettivo delle
spese sostenute dal fallito per produrlo, la somma residua
rappresenta «ciò che il fallito guadagna con la sua
attività» e cioè uno dei «beni» che la seconda delle

ricordate disposizioni esclude dal fallimento («non sono
compresi nel fallimento: 1) …; 2) gli assegni aventi
carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò
che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti
di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia;
…»), non essendo dubbio che il guadagno conseguito dal
fallito con la sua attività sia da intendere come guadagno
netto, e ciò non solo per il collegamento con «quanto
occorre per il mantenimento suo e della famiglia», ma anche
per la considerazione del guadagno unitamente ad introiti
certamente netti quali «gli assegni aventi carattere
alimentare, gli stipendi, pensioni, salari».
A tale ultimo riguardo, poiché il secondo comma
dell’art. 46 1. fall. prevede che «i limiti di quanto
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occorre per il mantenimento suo e della famiglia» siano
stabiliti dal giudice delegato con decreto motivato, si
deve rammentare che questa Corte, superando una risalente
giurisprudenza, ha chiarito la natura soltanto dichiarativa
del decreto, in quanto destinato ad individuare i limiti

quantitativi di un diritto che ad esso preesiste; con la
conseguenza che non può esser dichiarata l’inefficacia dei
pagamenti compiuti dal debitore direttamente al fallito
prima dell’emanazione del decreto (Cass. 27 settembre 2007,
n. 20325) ovvero senza che il decreto sia stato mai emanato
(Cass. 31 ottobre 2012, n. 18843). Il riconoscimento della
natura meramente dichiarativa del suddetto decreto, trova,
. poi, conferma in quella giurisprudenza che attribuisce al
decreto un’efficacia retroattiva (v. Cass. 2 settembre
1995, n. 9268, e Cass. 30 luglio 2009, n. 17751).
Da quanto sinora detto discende, da un lato, che
l’acquisizione del corrispettivo conseguito dal fallito per
una attività svolta dopo il fallimento presuppone
l’efficacia nei confronti del fallimento del pagamento
delle spese incontrate per produrre il reddito ovvero,
alternativamente, il pagamento delle dette spese da parte
del fallimento. L’acquisizione del guadagno netto, d’altro
lato, è possibile soltanto nella parte in cui supera i
limiti eventualmente fissati dal

giudice delegato. Ne

consegue che dopo il fallimento il fallito, che mantiene
capacità giuridica e capacità di agire, può, con efficacia
6

verso il fallimento, destinare le somme ricevute quale
,
.

corrispettivo di una sua attività al pagamento delle
passività incontrate per generare il reddito e, quanto al
residuo netto, al mantenimento suo e della sua famiglia.
Dalla efficacia verso il fallimento della destinazione

attribuita dal fallito alle somme ricevute discende
logicamente l’efficacia dei pagamenti ricevuti dal fallito
stesso. Sarebbe, infatti, del tutto incongruo escludere la
possibilità di acquisire presso il fallito le predette
somme ed affermare che le stesse potrebbero essere ripetute
presso il terzo che ha effettuato il pagamento al fallito.
In conclusione, poiché la disposizione dettata dall’art.
z.
‘gra

44, coma 2, 1. fall. deve essere coordinata con le
disposizioni dettate dagli artt. 42, coma 2, e 46, comma l
n. 2, 1. fall., il pagamento ricevuto dal fallito quale
corrispettivo per una attività svolta dopo la dichiarazione
di fallimento non è inefficace quanto all’importo delle
passività connesse a detta attività e neppure quanto al
residuo netto, ove non sia stato emesso il decreto con cui
il giudice delegato fissa i limiti entro i quali ciò che il
fallito guadagna con la sua attività occorre al
mantenimento suo e della sua famiglia.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata e,
non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, la
causa può essere decisa nel merito con il rigetto della
domanda.
7

In relazione alla novità della questione, soccorrono
giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, rigetta la domanda.

Così deciso in Roma nella camera
di consiglio del 17
P

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