Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17237 del 12/07/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 17237 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso 21591-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro
SAN PAOLO IMI SPA in persona del Presidente del

Consiglio di Gestione, elettivamente domiciliato in
ROMA VIALE MAZZINI 11, presso lo studio dell’avvocato
BRANDA GIANCARLA, che lo rappresenta e difende giusta
delega a margine;

Data pubblicazione: 12/07/2013

- controricorrente

avverso la sentenza n. 30/2008 della COMM.TRIB.REG.
di GENOVA, depositata il 20/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/05/2013 dal Consigliere Dott.

udito per il ricorrente l’Avvocato CASELLI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato BRANDA che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

FRANCESCO TERRUSI;

2 15 9 1 – O 8

Svolgimento del processo
La San Paolo Imi (oggi Intesa San Paolo) s.p.a. chiedeva
il rimborso dell’imposta di registro assolta in relazione
a due decreti ingiuntivi emessi, nei confronti della Muzio
Rino s.r.l. e dei suoi fideiussori, per scoperti di conto

corrente, affermando che, in aggiunta all’imposta fissa
sul decreto, di cui all’art. 40 del d.p.r. n. 131 del
1986, era stata applicata illegittimamente, quanto ai
negozi di garanzia, l’imposta proporzionale di cui
all’art. 8, lett. b), della tariffa allegata, essendosi
trattato, invece, di prestazioni soggette a Iva.
Formatosi

il

silenzio-rifiuto

dell’amministrazione

finanziaria, proponeva ricorso innanzi alla commissione
tributaria provinciale di Genova.
Il giudice adito accoglieva il ricorso e l’appello
dell’ufficio veniva respinto dalla commissione tributaria
regionale della Liguria con sentenza depositata il 20-32008.
La commissione regionale, richiamato il principio di
alternatività dell’imposta di registro e dell’Iva, di cui
all’art. 40 del d.p.r. n. 131 del 1986, riteneva che la
fideiussione, in quanto obbligazione accessoria, dovesse
essere considerata alla stregua di operazione soggetta a
Iva secondo quanto disposto dall’art. 5, 2 ° co., e 40, 10
co., del d.p.r. citato, essendo il soggetto creditore un
istituto bancario.

1

L’agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione
con tre motivi.
L’intimata ha replicato con controricorso.
Motivi della decisione
I. – Col primo motivo la ricorrente deduce la violazione
e/o la falsa applicazione degli artt. 5, 2 ° co., del

d.p.r. n. 131 del 1986, 10 del d.p.r. n. 633 del 1972 e 40
del d.p.r. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, n.
3, c.p.c.
Col

secondo motivo,

peraltro connesso,

deduce la

violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 3, 2 °
co., del d.p.r. n. 633 del 1972 e 40 del d.p.r. n. 131 del
1986.
La

doglianza

complessivamente

enunciata

è

che,

diversamente da quanto ritenuto dalla commissione
tributaria regionale, l’art. 5, 2 ° co., del d.p.r. n. 131
del 1986 esclude le operazioni principali di cui all’art.
10 del d.p.r. n. 633 del 1972, e quindi le prestazioni di
servizi concernenti la concessione e la negoziazione di
crediti e le operazioni relative a depositi e a conti
correnti, dall’ambito di applicazione dell’Iva, con
conseguente loro soggezione a imposta proporzionale di
registro giustappunto in virtù del richiamato principio di
alternatività; e inoltre che, in tema di prestito
bancario, nella forma dello scoperto di conto, lo stesso
art. 3, 2 ° co., n. 2, del d.p.r. n. 633 del 1972 esclude
la fattispecie dal campo applicativo dell’Iva.

2

M – Col terzo motivo, invece, la ricorrente deduce il
vizio di omessa motivazione sul fatto controverso se il
prestito bancario con scoperto di conto corrente rientri o
meno tra le operazioni soggette a Iva.
III. – Quest’ultima doglianza è palesemente inammissibile,
essendo rapportata a una questione giuridica soggetta al
diretta espressione del canone

principio iura novit curia,

costituzionale di soggezione del giudice alla legge. Sulla
quale questione giuridica l’eventualità di una errata
motivazione (o di una motivazione carente) dell’impugnata
sentenza non rileva.
Le doglianze formulate con i primi due motivi sono invece
fondate nei termini di seguito esposti.
IV. – La commissione tributaria regionale ha ritenuto che,
essendo l’obbligazione principale attratta nel campo di
applicazione dell’Iva per via della qualità del creditore,
anche l’obbligazione del fideiussore – accessoria – doveva
ritenersi assoggettata alla relativa disciplina. Donde, a
dire del giudice d’appello,

l’imposta proporzionale

pretesa dall’ufficio finanziario non era dovuta.
Così decidendo, la commissione regionale è incorsa in un
evidente errore di diritto, che prescinde finanche dalla
complessiva questione afferente il non considerato
rapporto dei richiamati artt. 3 e 10 del d.p.r. n. 633 del
1972, da un lato, e 5 e 40 del d.p.r. n. 131 del 1986,
dall’altro.
L’art. 22, l ° co., del d.p.r. ora citato stabilisce che se
in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti

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scritti o contratti verbali non registrati e posti in
essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che
contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle
disposizioni enunciate.
Nella specie non è controverso che, nei decreti ingiuntivi
presi dall’istituto creditore contro la società debitrice

e contro i garanti, siano stati enunciati i contratti di
fideiussione.
Per ciò solo corretta era, quindi, la sottoposizione dei
contratti de quibus a imposta proporzionale, attesa, da un
lato, l’ identità delle parti dei contratti di garanzia e
di quelle evocate nel provvedimento monitorio che tali
contratti aveva enunciato; e considerato, dall’altro, che
l’atto costitutivo della fideiussione era da registrare in
sé a termine fisso (art. 5 d.p.r. 131/1986), in quanto
compreso nella tariffa, parte prima, allegata al d.p.r.
citato (art. 6).
La natura accessoria del contratto di fideiussione, su cui
l’impugnata sentenza ha fatto leva (e su cui ancora le
parti si soffermano), non rileva affatto.
Tale natura accessoria ha una valenza civilistica (artt.
1939 e 1941 c.c.), mentre – come già da questa corte
affermato (v. Sez. 5^ n. 17899-05) – in ambito tributario,
e segnatamente nell’ambito della imposta di registro, in
cui viene colpita la singola manifestazione di ricchezza e
la connessa capacità contributiva, viene in questione il
principio dell’autonomia dei singoli negozi (v. Sez. 5^ n.
6585-08; nonché, per analoga premessa, Sez. 6^ n. 4096-

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12), come d’altronde in modo inequivoco si desume proprio
dalla previsione dell’artt. 22 del d.p.r. 131 del 1986.
Sicché

resta

inficiato da errore di diritto

il

convincimento espresso dal giudice d’appello, a misura del
fatto che dalla affermata natura accessoria della
fideiussione è stata desunta la conseguenza che la

relativa disciplina tributaria doveva ritenersi attratta
in quella dell’Iva, per essere l’ente creditore (la banca)
un soggetto d’Iva. Mentre semmai una verifica circa la
qualità di soggetto passivo dell’Iva avrebbe avuto senso,
nell’ottica dell’alternativa d’imposta unicamente alla
fideiussione correlata, se riferita al prestatore della
garanzia.
V. – Il ricorso, nei termini che precedono, deve essere
dunque accolto.
L’impugnata sentenza va cassata previa enunciazione del
seguente principio di diritto: “la natura accessoria del
contratto di fideiussione in campo civilistico (art. 1939
e 1941 c.c.) non può essere riportata nell’ambito
tributario, e segnatamente nell’ambito della disciplina
dell’imposta di registro, per la quale, ai sensi dell’
art. art. 22 d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131, vale invece il
principio dell’autonomia dei singoli negozi; la relativa
tassazione non resta, quindi, attratta nella disciplina
tributaria dell’Iva per il solo fatto che il creditore sia
un soggetto Iva”.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può
la corte decidere la controversia anche nel merito,

5

CSINTE REGIsmet.AVONIR
Al SF.Nsi
N. 13LT
)
MA1,-.1- 1,t’fRI3LITAK1A
rigettando il ricorso della banca avverso il silenziorifiuto.
Le spese del giudizio di merito possono essere compensate
per giusti motivi, considerata la mancanza di precedenti
giurisprudenziali di questa corte al momento
dell’instaurazione della lite.

soccombenza.
p.q.m.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo; dichiara
inammissibile il terzo; cassa l’impugnata sentenza e,
decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione proposta
contro il silenzio-rifiuto; compensa le spese processuali
relativamente ai gradi del giudizio di merito e condanna
l’intimata al pagamento di quelle relative al giudizio di
legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi,
oltre le spese prenotate a debito.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta

Le spese del giudizio di cassazione seguono invece la

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