Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17234 del 22/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 22/08/2016, (ud. 09/03/2016, dep. 22/08/2016), n.17234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22275-2014 proposto da:

VARM SRL, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FULCIERI PAULUCCI

DE’ CALBOLI 1, presso lo studio dell’avvocato DANTE GROSSI,che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.U., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SABOTINO 12, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ANTONIO

ROMITO, che la e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sente a n. 1361/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata i 19/06/2014 r.g.n. 4528/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

Udito l’Avvocato MARVASO TOMMASO per delega verbale Avvocato GROSSI

DANTE;

udito l’Avvocato ROMITO FRANCESCO ANTONIO;

udito il P.M. in Persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SAN

LORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO del PROCESSO

La Corte di Appello di Roma, in riforma dell’impugnata pronuncia, con sentenza n. 1361 del 10 febbraio/19 giugno 2014, dichiarava il diritto dell’appellante M.U. al trattamento retributivo corrispondente all’inquadramento nel livello D 1 dal 1 dicembre 2000 e al trattamento normativo dal primo marzo 2001, condannando l’appellata S.r.l. VARM al pagamento delle relative differenze retributive.

Dichiarava, inoltre, inefficace licenziamento intimato alla FIORETTI con lettera del 23 aprile del 2003 ed ordinava, quindi, la reintegrazione della lavoratrice appellante nel posto di lavoro, condannando la società appellata al pagamento delle retribuzioni dal licenziamento all’effettiva reintegra, detratto il percepito quale risultante dalla documentazione depositata in data 21 gennaio 2014, oltre accessori e al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Condannava, infine, la società appellata al pagamento di spese di lite come ivi liquidate per entrambi i gradi di giudizio.

Secondo la Corte territoriale, in particolare, per il licenziamento, intimato alla M. a seguito di procedura di mobilità ex L. n. 223 del 1991, la comunicazione di avvio era stata indebitamente limitata alle sole associazioni di categoria presenti sul territorio di (OMISSIS). In realtà, l’obbligo di effettuare la comunicazione alle associazione di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative era previsto, nel caso di mancanza delle rappresentanze sindacali aziendali, nei riguardi delle associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva e, a seguito della sentenza della Corte costituzionale numero 231 del 2013, anche nei confronti delle associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, avessero comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori in azienda. Nel caso concreto, dunque, secondo la Corte distrettuale, la limitazione in assenza di RSU o di RSA, della comunicazione alle sole associazioni sindacali presenti sul territorio comunale risultava arbitraria, poichè un così circoscritto ambito territoriale non teneva conto della rilevanza, quantomeno provinciale, delle problematiche afferenti ad una procedura di mobilità (nella quale non a caso l’autorità pubblica era coinvolta a livello regionale) e del sicuro criterio di rappresentatività, costituito dalla sottoscrizione di accordi collettivi applicati in azienda, laddove la norma faceva riferimento ad una dimensione nazionale.

Quindi, alla violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio della procedura di mobilità alle “associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale” per illegittima esclusione di alcune di esse, mediante un criterio di individuazione arbitrario o comunque eccessivamente limitativo, conseguiva l’inefficacia di licenziamento intimato alla lavoratrice, con le conseguenze di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, considerate le dimensioni occupazionali della società all’epoca del licenziamento.

Gli ulteriori motivi di appello restavano così assorbiti, mentre l’appello incidentale andava respinto in conseguenza dell’accoglimento dell’appello principale, relativamente alla contestata limitazione del riconosciuto diritto all’inquadramento superiore.

Avverso la suddetta pronuncia in data 10 febbraio – 19 giugno 2014 proponeva ricorso per cassazione la S.r.l. VARM con due motivi: 1) per violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 19; 2) violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dei suddetti artt. 4 e 19 (avendo la sentenza della Corte distrettuale errato nell’attribuire alle associazioni UIL ceramica e SALC-Cisal organizzazioni provinciali e firmatarie esclusivamente di un accordo integrativo provinciale – le caratteristiche di un’associazione di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale).

Ha resistito all’impugnazione avversaria M.U. mediante controricorso notificato tramite posta elettronica certificata.

La sola parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Entrambe le parti, peraltro, sono comparse alla pubblica udienza fissata per il nove marzo 2016.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente contesta l’interpretazione della normativa di riferimento data dalla Corte capitolina, nel senso che tale normativa non si limiterebbe a stabilire che la comunicazione debba effettuarsi alle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, ma fisserebbe un ulteriore irrevocabile requisito, secondo cui tali associazioni non debbano comunque essere quelle di ambito territoriale comunale sub provinciale e non metropolitano. Quindi, la Corte di Appello, benchè nella specie risultasse in atti l’invio della comunicazione alla FLEMCA/CISL e alla FILCEA/CGIL (entrambe appartenenti alle Confederazioni più rappresentative sul piano nazionale dei lavoratori del settore e le uniche presenti nel Comune di (OMISSIS), dove sede la VARM S.r.l. e dove era ubicato lo stabilimento presso cui lavoravano i dipendenti della medesima società), aveva ritenuto che, essendo stata la notifica eseguita presso la sede delle associazioni in ambito comunale, la comunicazione non poteva considerarsi idonea al corretto avvio della procedura di mobilità, in quanto la comunicazione alle sole organizzazioni sindacali comunali risultava arbitraria, atteso che un così circoscritto ambito territoriale non teneva conto della rilevanza, quanto meno provinciale, delle problematiche afferenti ad una procedura di mobilità.

Dunque, ad avviso della società ricorrente, la sentenza impugnata da un lato delimitato indebitamente la portata della L. n. 223 del 1991, art. 4, escludendo che una comunicazione alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale situate nel luogo in cui l’impresa opera, rispettasse i requisiti legali, e dall’altro circoscritto l’ambito applicativo della norma, al punto che la stessa risulterebbe rispettata soltanto se la comunicazione fosse rivolta a livello provinciale delle organizzazioni sindacali. L’interpretazione dell’art. 4, fornita dalla Corte territoriale ne violava palesemente il contenuto:

a) Il requisito stabilito dalla norma per la comunicazione di avvio non individuava il livello territoriale delle organizzazioni sindacali, poichè si limitava a richiedere che le associazioni di categoria coinvolte dovessero essere comunque aderenti alle confederazioni più rappresentative sul piano nazionale; ciò che costituiva l’unico essenziale requisito. Per contro, l’impugnata sentenza si allontanava, in definitiva, profondamente dal principio ispiratore del citato art. 4, che per garantire la massima attenzione alle procedure inerenti ai licenziamenti collettivi, richiedeva l’interpello delle organizzazioni dei lavoratori che avessero maturato un’ampia capacità di gestione delle contrattazioni collettive a livello nazionale e che fossero, per questo, rappresentative dei sindacati maggiori;

b) l’unico parametro indicato dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, concernente il territorio, era quello nazionale, non quello provinciale, nè quello regionale. Tale precetto normativo era stato osservato, come accertato dal giudice di primo grado, avendo essa VARM comunicato l’avvio della procedura di mobilità alle uniche associazioni (aderenti alla CISL ed alla CGIL), che avevano sede nel territorio comunale dove operava l’impresa;

c) se dalla L. n. 223 del 1991, si fosse voluto ricavare un criterio generale, sarebbe stato in senso diverso da quello individuato dalla Corte distrettuale, ossia che l’omissione alle associazioni più prossime territorialmente all’impresa avrebbe prodotto l’illegittimità della comunicazione eventualmente rivolta ad organizzazioni di livello provinciale e regionale, senza legami diretti o addentellati sul territorio di riferimento.

La comunicazione di avviso della procedura, inoltrata dalla VARM il 25 settembre 2002 era, anche sotto questo profilo, efficace, perchè perfettamente coerente con il disposto legislativo, malamente inteso nel provvedimento impugnato.

Era evidente, secondo la ricorrente, che se le comunicazioni degli avvisi di mobilità in assenza di rappresentanze aziendali non potessero validamente eseguirsi presso le associazioni di categoria più vicine al territorio di crisi, pur facendo esse parte dei sindacati più rappresentativi a livello nazionale, si costringerebbero le imprese in crisi ad un affannosa, ed incerta quanto agli esiti, ricerca delle diverse organizzazioni dislocate sul territorio provinciale o regionale, andando tra l’altro a recidere il vitale collegamento tra azienda e territorio, tra organicazione sindacale e l’Impresa dislocata su quel territorio, imponendo irragionevolmente l’intervento di rappresentanze sindacali lontane dallo stato di crisi.

Come secondo motivo, la società ricorrente ha denunziato violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, della L. n. 223 del 1991, art. 4, nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 19, avendo l’impugnata sentenza attribuito alle associazioni UIL-Ceramica e SALC-Crtal (organizzazioni provinciali e firmatarie esclusivamente di un accordo integrativo provinciale) le caratteristiche di associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. D’altro canto, il giudice di primo grado in ragione della ratio del citato art. 4 (esigenza di consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale) aveva individuato la necessità di valutare l’osservanza della procedura e l’adeguatezza delle informazioni fornite, di modo che era del tutto ragionevole che i destinatari della comunicazione fossero individuati in quegli organismi di carattere sindacale che per essere territorialmente interessati agli accadimenti in grado di incidere sul livello occupazionale dell’area e di mutare la struttura aziendale avrebbero potuto proficuamente inserirsi ed interloquire. Per contro, la Corte di Appello spostato la cura di questi interessi al piano provinciale, cosi pervenendo ad una conclusione irragionevole e totalmente arbitraria, oltre che in conflitto con il testo legislativo.

Del tutto apodittica, poi, era anche l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’avviso de quo, rivolto alle organizzazioni sindacali presenti sul territorio comunale, non avrebbe tenuto conto della rilevanza quantomeno provinciale delle problematiche afferenti ad una procedura di mobilità e del sicuro criterio di rappresentatività, costituito dalla sottoscrizione di accordi collettivi applicati all’azienda, valendo piuttosto il principio secondo cui la rappresentatività a livello nazionale, dovuta alla partecipazione a confederazioni operanti in ambito nazionale da parte delle associazioni di categoria, si combina perfettamente con l’esigenza che la comunicazione di avvio tenga conto del radicamento territoriale delle stesse.

A prescindere dal fatto che la qualificazione di entrambe le sigle sindacali indicate dalla M. (UIL Ceramica e Salc-CISAL) era espressamente circoscritta al piano provinciale (di modo che si sarebbe potuto desumere che le stesse non operassero sul plano nazionale), del livello di rappresentatività delle due sigle non era stata data alcuna dimostrazione dall’attrice, come sarebbe stato suo onere e come in tal sensi era stato già evidenziato dal giudice del lavoro di Viterbo. Pertanto, male aveva fatto la Corte dl Appello, che aveva svalutato il livello di rappresentatività delle associazioni aderenti alla CISL e alla CGIL, operanti nel territorio comunale di (OMISSIS), per attribuire l’idoneità di rappresentanza alla UIL-Ceramica e alla Salc-CISAL operanti su dl un più lontano ambito territoriale.

Tanto premesso, le anzidette censure, che le per loro connessione possono essere esaminate congiuntamente, non meritano pregio, non sussistendo le ipotizzate violazioni o false applicazioni dl legge, atteso che l’impugnata decisione appare perfettamente aderente al testo delle disposizioni legislative, che regolano la materia in questione dei licenziamenti collettivi laddove, escluso ogni sindacato di merito da parte del giudice adito in ordine alle cause comportanti la riduzione di personale, va però rigorosamente rispettato il dettato normativo circa la procedura all’uopo disciplinata dal legislatore, per cui tra l’altro in base all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, circa l’interpretazione della legge, alla legge non si può attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.

Ed invero, con la L. 23 luglio 1991, n. 223, sono stati previste puntuali, complete e cadenzate procedimentalizzazioni dei provvedimenti datorlali di licenziamento collettivo, messa in mobilità e cassa integrazione – situazioni che, nonostante la loro diversità, sono poste dal legislatore sullo stesso piano, da questo punto di vista – introducendosi un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. Pertanto, i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale delle diverse operazioni (arg. ex Cass. lav. 3 marzo 2009, n. 5089, conforme Id. n. 21541 del 6/10/2006, Cass. 28 ottobre 2009, n. 22825). Ed è stato anche precisato che la suddetta impostazione non risponde ad un “vuoto formalismo”, ma al rispetto della volontà del legislatore, che ha posto a base dell’assetto normativo della L. n. 223 del 1991, (anche dopo l’emanazione della normativa regolamentare di cui al D.P.R. 10 giugno 2000, a 218, vedi: Cass. n. 11322/2015, Cass. n. 26587/2011; Cass. n. 20391/2011; Cass. n. 13240/2009) la trasparenza dell’esercizio del potere privato del datore di lavoro di assumere “decisioni volte a incidere pesantemente sulla posizione” dei lavoratori (vedi, per tutte: Cass. n. 2555/2006, n. 2555 e Cass. n. 6841/2010), richiedendo l’effettuazione di precise scansioni procedimentali, dirette a tutelare sia l’attività sindacale sia i diritti dei lavoratori (Cass. S.U. n. 302/2000; Cass. S.U. n. 461/2000; Cass. n. 8353/2004; Cass. n. 10236/2009.

V. altresì Cass. lav. n. 11455 del 12/10/1999, secondo cui la L. n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5, la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato “ex post” nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto “ex ante” alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale – a differenza dl quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo- ma la correttezza procedurale dell’operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5, e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di op iscriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva).

Orbene, l’art. 4 più volte citato (v. il testo in vigore dal 27.06.1997 al 27.10.2008 – procedura per la dichiarazione di mobilità) cosi recita: “1. L’impresa che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel corso di attuazione del programma di cui all’art. 1, ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative, ha facoltà di avviare le procedure di mobilità ai sensi del presente articolo. 2. Le imprese che intendano esercitare la facoltà di cui al comma 1 sono tenute a darne comunicazione preventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma della L. 20 mangio 1970, n. 300, art. 19, nonchè alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti Alla confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effettuata tra il tramite dell’associazione dei datori di lavoro alla quale l’impresa aderisce o conferisce mandato. 3. La comunicazione di cui al comma 2 deve contenere indicazione: dei motivi che determinano la situazione di eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi e produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare in tutto o in parte, la dichiarazione di mobilità; del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente ((nonchè del personale abitualmente impiegato)); dei tempi di attuazione del programma di mobilità delle eventuali misure programmate per fronteggiare la conseguenza sul piano sociale della attuazione del programma medesimo ((del metodo di calcolo dl tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva)). Alla comunicazione va allegata copia dalla ricevuta del versamento dell’INPS a titolo di anticipazione sulla somma di cui all’art. 5, comma 4, di una somma pari al trattamento massimo mensile di integrazione salariale moltiplicato per il numero dei lavoratori ritenuti eccedenti…. OMISSIS”.

A sua volta, in origine l’art. 19 (Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali) L. n. 300/70 risultava così formulato: “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito: a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva.

Nell’ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento”.

Il D.P.R. 28 luglio 1995, n. 312, a seguito di referendum popolare, ha disposto (con l’art. 1, comma 2) che l’abrogazione di cui alla lettera a) e l’abrogazione parziale di cui all’art. 19, lett. b), hanno effetto decorsi sessanta giorni dalla data di pubblicazione del medesimo decreto nella Gazzetta Ufficiale, per cui alla lettera b) residua il testo delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva (in vigore dal 13-8-1995 al 31-7-2013).

Inoltre, l’art. 19 ha subito ulteriore modifica per effetto della sentenza della Corte costituzionale, in data 3 – 23 luglio 2013, n. 231 (in G.U. la s.s. 31/7/2013, n. 31), che ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 19, primo comma, lettera b), nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda” (per violazione degli artt. 2, 3 e 39 Cost., in quanto l’aporia indotta dalla esclusione dal godimento del diritti in azienda del sindacato non firmatario di alcun contratto collettivo, ma dotato dell’effettivo consenso da parte dei lavoratori, che ne permette e al tempo stesso rende non eludibile l’accesso alle trattative, già in passato rilevata dalla giurisprudenza costituzionale, rappresenta un vulnus alla rappresentatività sostanziale del sindacato. Infatti, il dato sostanziale della rappresentatività non può essere eluso – nè in eccesso nè in difetto – da elementi meramente formali quali, da un lato, la sola formale sottoscrizione oppure, dall’altro, la sola mancata sottoscrizione del contratto, da parte di un sindacato che abbia partecipato alle relative trattative, grazie alla sua rappresentatività).

Nella specie la Corte capitolina ha accertato (risulta dagli atti…) che la comunicazione di avvio della procedura fu invita soltanto a FEMCA CISL e a FLICEA CGIL di (OMISSIS), alla Federlazio di Viterbo, al competente Assessorato della Regione Lazio, per cui tuttavia la ricorrente appellante aveva contestato tra l’altro la violazione dell’art. 4 cit. per l’invio soltanto a due oo.ss. di categoria con sede in (OMISSIS).

Nella specie, la Corte territoriale, richiamati i principi di diritto vigenti in materia, sulla scorta dei citati precedenti giurisprudenziali di legittimità, ha rilevato, quindi, che nella specie la comunicazione di avvio della procedura era stata limitata alle sole associazioni sindacali di categoria presenti sul territorio di (OMISSIS), laddove l’obbligo di effettuare le comunicazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative in ambito nazionale, era previsto, in caso di mancanza delle rappresentanze sindacali aziendali, nell’ambito di associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva e a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 231/13 anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, avessero comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentati dei lavoratori in azienda.

Nel caso concreto, dunque, la limitazione, in assenza di RSA o RSU, della comunicazione alle sole organizzazioni sindacali per così dire comunali risultava arbitraria, poichè un così circoscritto ambito territoriale non teneva conto della rilevanza quantomeno provinciale delle problematiche afferenti una procedura di mobilità e del sicuro criterio di rappresentatività costituito dalla sottoscrizione di accordi collettivi applicati in azienda, laddove la norma faceva riferimento ad una dimensionale nazionale.

Pertanto, alla violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio della procedura di mobilità alle associazioni di categoria aderenti alla confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, per i/legittima esclusione di alcune di esse mediante un criterio d’individuazione arbitrario o comunque eccessivamente limitativo, conseguiva l’inefficacia del licenziamento intimato alla lavoratrice.

Orbene, va anche rilevato quanto precisato con il controricorso dalla M., circa il ricorso introduttivo del giudizio, laddove costei aveva dedotto che la comunicazione di avvio della procedura non era stata mai inviata alle RSA delle 00.55. FILCEA-CGIL e FELM-CISL ed alle organizzazioni maggiormente rappresentative L. n. 300 del 1970, ex art. 19, così come previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 4; che, in particolare, tale comunicazione non era stata mai inviata alle 00.55. firmatarie del C.CN.L. UIL CER (UIL) e SALC/CISAL, quest’ultima firmataria anche dell’accordo integrativo provinciale, nè alla D.P.L. ex art. 4 cit..

Tale circostanza è stata nuovamente dedotta in relazione all’appello, successivamente proposto dalla M. avverso la sentenza di primo grado (cfr. in part. pagine 3 e 5 del controricorso:… 9. la società resistente con lettera inviata alle sole OO.SS. provinciali di CGIL e CISL ed all’assessorato della Regione Lazio per le politiche formative e del lavoro datata 25 novembre 2002 – doc. n. 3 bis. – 10. la comunicazione non è stata mal inviata alle RSA… e alle OO.SS. maggiormente rappresentative … 11. tale comunicazione non è stata mai inviata alle OO.SS. firmatarie del c.c.n.l. UIL CER e SALC/CISAL, quest’ultima firmataria anche dell’accordo integrativo provinciale – doc. n. 4 -).

Inoltre, con il suo controricorso la M., nel controdedurre (cfr. in part. pagg. 10-11) ai motivi del ricorso avversario, richiamando in particolare le anzidette circostanze di cui ai punti 9, 10 e 11, contestava In particolare il motivo sub 2 lett. c) della controparte, laddove non era stato riprodotto il testo del ricorso introduttivo, nè di quello in appello circa il livello di rappresentatività delle sigle sindacali (pretermesse), aggiungendo inoltre che sulla rappresentatività delle indicate sigle UIL e CISAL, di cui ai precedenti punti 9, 10 e 11, stante la mancata presa di posizione di parte datarlae in primo grado che aveva dato per pacifico quanto dedotto, si era formato il giudicato, con impossibilità d’impugnazione davanti al giudice di legittimità, richiamando altresì la pagina 7 dell’atto di appello, di cui anche in corsivo veniva riprodotto il testo (cfr. in part. … Queste deduzioni e allegazioni, invero, non sono state contestate da controparte nella memoria di costituzione, che ha soltanto precisato come nell’azienda non erano costituite r.s.a….).

A sua volta, con la memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c., VARM S.r.l. sul punto si è limitata ad osservare (pag. 2) quanto segue: “Controparte eccepisce che la questione di rappresentatività a livello nazionale delle sigle UIL e CISAL dovrebbe darsi come pacifica, perchè non vi sarebbe stata una “presa di posizione di parte datoriale…”. A prescindere dalla rilevanza della questione in relazione ai vizi della sentenza di secondo grado dedotti nel ricorso per cassazione nel motivi 1 e 2 dell’atto stesso, si osserva che l’unica prova del livello di rappresentatività delle sigle in questione si ricava dall’acconto integrativo provinciale dove, tra le organizzazioni sindacali aziendali, figurano anche la UIL e la CISAL” depositato dalla Sig.ra M. nel ricorso in primo grado.

4. La questione ha rilevanza esclusivamente perchè pone la questione se, in presenza di sigle sindacali che operano nell’ambito territoriale più vicino all’impresa che ha avviato la procedura di licenziamento – cioè il livello comunale nel quale figuravano le due sigle nazionali aderenti alla CGIL e alla CISL come rappresentati dei lavoratori), l’invio delle comunicazioni previste dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, sia sufficiente o si debba invece comunicare l’avvio della procedura anche alle sigle che operano sul piano provinciale”.

Orbene, a parte talune Inesattezze e imprecisioni rilevabili nella sentenza di appello, la decisione ivi contenuta appare nelle conclusioni però comunque corretta, perciò meritevole di conferma, ancorchè con opportune integrazioni.

Infatti, va rilevato In primo luogo come a fronte delle anzidette specifiche contestazioni da parte dell’attrice, poi appellante, circa le rilevate manchevolezze nella comunicazioni di avvio della procedura de qua, parte datoriale fosse interamente onerata di fornire adeguata e completa prova in senso contrario; ciò che non può dirsi, in base alle risultanze in atti, avvenuto.

Inoltre, proprio alla stregua delle surriferite precise indicazioni non risultano altrettante specifiche, tempestive e rituali contestazioni da parte convenuta – appellata, che soltanto poi con il suo ricorso (motivo sub 2) ha posto, ma ormai tardivamente rispetto a quanto in punto di fatto accertato dalla Corte di merito, la questione della rappresentatività di UIL-Ceramica e di Salc-CISAL, peraltro nell’ambito di quanto previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e non già come sarebbe stato forse più pertinente ai sensi dello stesso art. 360, comma 1, ma sub n. 5 (omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, secondo la versione di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, testo nella specie catione temporis applicabile per espressa previsione dell’art. 54, comma 3, D.L. cit. alle sentenze pubblicate dal imo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, avvenuta il 12 agosto 2012 laddove la sentenza qui impugnata risale come visto all’anno 2014).

Dunque, a parte ogni altra considerazione circa la prova della sussistenza o meno delle rappresentanze sindacali aziendali, costituite presso la VARM, cui inviare la comunicazione di avvio, dal complesso degli elementi disponibili e dalle conduzioni finali cui è pervenuta la sentenza qui impugnata, deve ritenersi che la comunicazione di cui al più volte citato art. 4 non venne ad ogni modo indirizzata pure alla UIL-Ceramica (UIL C.E.R.) ed alla Salc/CISAL, firmatane del C.C.N.L., nonchè quest’ultima anche dell’accordo integrativo provinciale (laddove, tra l’altro, con la memoria ex cit. art. 378 la ricorrente ha incidentalmente indicato tra le organizzazioni sindacali aziendali anche la UIL e la CISAL).

Pertanto, la sentenza de qua deve ritenersi corretta laddove ha ritenuto la sicura rappresentatività delle associazioni pretermesse nella comunicazione di avvio, attesa la sottoscrizione, pure da parte di queste, di accordi collettivi nazionali (ed anche provinciali) applicati in azienda, avuto riguardo alla dimensione nazionale desumibile dal contesto dell’art. 4, donde la violazione dell’obbligo di comunicazione a tutte le associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente racicutsentative sul piano nazionaleò ciò che per tabulas non risulta avvenuto, atteso che la comunicazione in parola venne limitata soltanto a due organizzazioni sindacali (facenti capo alla CISL ed alla CGIL), e non anche alla UIL C.E.R. (Uil Ceramica) ed alla Salc CISAL, firmatarie del contratto collettivo nazionale (e la seconda anche dell’accordo integrativo provinciale).

Ogni altra opzione ermeneutica di tipo restrittivo, d’altro canto, risulterebbe in contrasto anche con i principi di effettività della tutela sindacale, ossia di rappresentatività sostanziale del sindacato, nei sensi altresì indicati dalla succiata sentenza n. 231/2013 della Corte costituzionale, sicchè non può limitarsi l’ambito dei destinatari di comunicazione così rilevante L. n. 223 del 1991, ex art. 4, se non in presenza di sicuri ed univoci elementi che ne individuino con certezza i legittimati a riceverla.

Pertanto, nei sensi anzidetti va confermata l’impugnata sentenza, con conseguente rigetto del ricorso. La soccombente, quindi, va pure condannata alle spese, in favore di parte controricorrente, di guisa che inoltre ricorrono i presupposti di legge per il pagamento dell’ulteriore contributo unificato.

PQM

la Corte RIGETTA il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle relative spese, che liquida in Euro 4500,00 per compensi professionali ed in Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2016

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