Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17234 del 22/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 22/07/2010, (ud. 09/06/2010, dep. 22/07/2010), n.17234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31506/2006 proposto da:

MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, già Ministero dell’Istruzione,

dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

C.K.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 809/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 06/06/2006 R.G.N. 1124/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 124/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Arezzo, in accoglimento della domanda proposta da C.K. nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dichiarava che la C., per i periodi di astensione per maternità obbligatoria e facoltativa goduti tra l'(OMISSIS) (nonchè per gli ulteriori otto giorni di congedo per malattia del bambino goduti nel maggio 2002) aveva diritto all’intera retribuzione e condannava il Ministero al pagamento in favore della ricorrente delle differenze retributive rispetto agli importi effettivamente corrisposti (ragguagliati all’80% della retribuzione per il periodo di astensione obbligatoria ed al 30% per il periodo di astensione facoltativa).

Avverso la detta sentenza proponeva appello il detto Ministero chiedendone la riforma, con il rigetto della domanda.

In sostanza l’appellante sosteneva che l’art. 11 del ccnl del comparto scuola del 15-3-2001, applicato dal primo giudice non trovava applicazione per il personale a tempo determinato, come la appellata, per la quale, viceversa, era ancora vigente la disciplina dell’art. 25 del ccnl del 4-8-1995.

La C. si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza depositata il 6-6-2006, rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

In sintesi la Corte territoriale rilevava che la espressa differenziazione di disciplina tra personale a termine e personale di ruolo, contenuta nel ccnl del 1995 non si rinveniva più nel ccnl del 2001, per cui era ragionevole ritenere che le parti collettive avessero in tal modo inteso estendere il trattamento di miglior favore anche al personale a termine. Tale estensione, evincibile già nella formulazione dell’art. 11 del ccnl 2001, era stata poi chiaramente esplicitata con l’art. 19, comma 14, del ccnl del 24-7-2003, proprio per rendere indiscutibile la volontà delle parti.

Per la cassazione della detta sentenza il Ministero (ora della Pubblica Istruzione) ha proposto ricorso con un motivo, corredato dal relativo quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., applicabile nella fattispecie ratione temporis.

La C. è rimasta intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il Ministero ricorrente, denunciando violazione dell’art. 11, commi 3 e 5, e art. 17 del ccnl del comparto Scuola del 15-3-2001, dell’art. 21, comma 5, art. 23, art. 25, commi 12 e 16, art. 26 del ccnl stesso comparto del 4-8-1995, dell’art. 19, comma 14 del ccnl medesimo comparto del 16-5-2003 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 22, comma 2, nonchè vizio di motivazione, deduce che la interpretazione della norma del ccnl del 2001 accolta dalla Corte territoriale è smentita dalla norma del successivo ccnl del 2003, essendo evidente che, se già al momento della stipula del ccnl del 2001 le parti avessero inteso in tutto e per tutto equiparare la disciplina del congedo parentale per tutto il personale, non avrebbero avuto alcuna necessità di introdurre nel successivo CCNL una disposizione come quella dell’art. 19, comma 14 (“Al personale di cui al presente articolo (a tempo determinato) si applicano le disposizioni relative ai congedi parentali come disciplinati dall’art. 12”), poichè sarebbe stato sufficiente riprodurre puramente e semplicemente il testo dell’art. 11 (del ccnl del 2001).

Il ricorrente deduce, poi, che quest’ultimo articolo, “seppure con una formulazione leggermente diversa, non ha fatto altro che ribadire la disciplina che già regolava il congedo obbligatorio per maternità delle lavoratrici a tempo indeterminato”.

Il Ministero formula quindi il seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c., applicabile nella fattispecie ratione temporis: “se per l’art. 11 del Contratto Collettivo Nazionale per il Comparto Scuola sottoscritto il 15 marzo 2001 il biennio economico, tenuto conto di quanto si evince dalla sua formulazione letterale, dalle altre disposizioni del predetto CCNL e dalle disposizioni del CCNL del Comparto Scuola del 4 agosto 1995 (in particolare artt. 21, 23, 25 e 26) e dalle disposizioni del CCNL del Comparto Scuola del 16 maggio 2003. sia da ritenersi applicabile sia al personale della scuola con contratto di lavoro a tempo indeterminato che al personale della scuola con contratto di lavoro a tempo determinato ovvero al solo personale con contratto di lavoro a tempo indeterminato”.

Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che la normativa di legge vigente e già in vigore all’epoca dei congedi de quibus (D.lgs. 26-3-2001 n. 151, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, che ha innovato ed in parte trasfuso la precedente disciplina del 1971, modificata ed integrata nel 1977 e nel 2000) dispone che per quanto riguarda il congedo di maternità (ex astensione obbligatoria ai sensi della legge 1204 del 1971) “le lavoratrici hanno diritto ad un’indennità giornaliera pari all’80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità” (art. 22, comma 1), e per quanto riguarda i congedi parentali (e fra questi quello “alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità” ex art. 32, comma 1, lett. a) – ex astensione facoltativa -) “è dovuta fino al terzo anno di vita del bambino un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi”.

I congedi per la malattia del figlio sono, poi, previsti dall’art. 47, ed il trattamento economico e normativo è disciplinato dall’art. 48.

Lo stesso D.Lgs. all’art. 1, comma 2, stabilisce però che “Sono fatte salve le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi, e da ogni altra disposizione”.

Orbene l’art. 11 (“Congedi parentali”) del ccnl del 15-3-2001 del Comparto Scuola (successivo alla L. 8 marzo 2000, n. 53, ma anteriore al D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151), premesso che (commi 1 e 2) “Al personale dipendente si applicano le vigenti disposizioni in materia di tutela della maternità contenute nella L. n. 1204 del 1971, come modificata ed integrata dalle L. n. 903 del 1977, e L. n. 53 del 2000” e che “Nel presente articolo tutti i richiami alle disposizioni della L. n. 1204 del 1971, e della L. n. 903 del 1977, si intendono riferiti al testo degli articoli di tali leggi risultante dalle modificazioni, integrazioni e sostituzioni introdotte dalla L. n. 53 del 2000”, al comma 3 stabilisce che “Nel periodo di astensione obbligatoria, ai sensi della L. n. 1204 del 1971, artt. 4 e 5, alla lavoratrice o al lavoratore…spetta l’intera retribuzione fissa mensile nonchè le quote di salario accessorio fisse e ricorrenti che competono nei casi di malattia superiore a 15 giorni consecutivi o in caso di ricovero ospedaliero e per il successivo periodo di convalescenza posi-ricovero, secondo la disciplina di cui all’art. 23 del CCNL 4-8-1995” ed al comma 5, dispone che “Nell’ambito del periodo di astensione dal lavoro previsto dalla L. n. 1204 del 1971, art. 7, comma 1, lett. a), e successive modificazioni e integrazioni, per le lavoratrici madri o in alternativa per i lavoratori padri, i primi trenta giorni, computati complessivamente per entrambi i genitori e fruibili anche in modo frazionato, non riducono le ferie, sono valutati ai fini dell’anzianità di servizio e sono retribuiti per intero, con esclusione dei compensi per lavoro straordinario e le indennità per prestazioni disagiate, pericolose o dannose per la salute”.

Analogamente il comma 6 prescrive che “Successivamente al periodo di astensione di cui al comma 3 e sino al compimento del terzo anno di vita del bambino, nei casi previsti dalla L. n. 1204 del 1971, art. 7, comma 4, e successive modificazioni e integrazioni, alle lavoratrici madri ed ai lavoratori padri sono riconosciuti trenta giorni per ciascun anno di età del bambino, computati complessivamente per entrambi i genitori, di assenza retribuita secondo le modalità indicate nello stesso comma 3”.

Orbene osserva il Collegio che la disciplina prevista dal ccnl del 2001, è chiaramente più favorevole rispetto alla disciplina legale (sia anteriore che successiva al D.Lgs. citato), prevedendo, in sostanza l’intera retribuzione sia per il periodo del congedo di maternità, sia per i primi trenta giorni del periodo di congedo parentale successivo, sia per i congedi per la malattia del bambino (nei limiti fissati).

Premesso che le parti collettive, ovviamente, alla data della stipula del ccnl si sono riferite alla disciplina legale del momento e cioè “alle disposizioni contenute nella L. n. 1204 del 1971, come modificata e integrata dalle L. n. 903 del 1977, e L. n. 53 del 2000”, non essendo stato ancora emanato il Testo unico in base alla delega contenuta nell’art. 15 di quest’ultima legge, osserva il Collegio che il dato letterale risulta inequivoco e pienamente conforme con il quadro sistematico e con la comune volontà delle parti che emerge chiaramente da tutti gli elementi, nel senso affermato nella sentenza impugnata.

In primo luogo appare evidente che il CCNL del 2001 con l’art. 11 disciplina unitariamente i “Congedi parentali” con riferimento comune a tutto il “personale dipendente”, attribuendo espressamente alle “lavoratrici” (ed ai “lavoratori”) il miglior trattamento previsto, senza specificazione nè distinzione alcuna all’interno del personale stesso.

Il rilievo assume nella specie particolare significato proprio alla luce della pregressa disciplina collettiva del 1995, che invece espressamente differenziava il trattamento retributivo in materia a seconda che del congedo usufruisse il personale dipendente a tempo indeterminato o quello con rapporto a tempo determinato.

L’art. 21 del ccnl 4-8-1995 che disciplinava i “Permessi retribuiti” con riferimento al “dipendente della scuoia con contratto di lavoro a tempo indeterminato”, al comma 7 stabiliva infatti che “alle lavoratrici madri in astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi della L. n. 1204 del 1971, art. 4, spetta l’intera retribuzione fissa mensile nonchè le quote di salario accessorio fisse e ricorrenti” e che “nell’ambito del periodo complessivo di astensione facoltativa dal lavoro previsto per le lavoratrici madri o, in alternativa, per i lavoratori padri dal la L. 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 7, comma 1, integrata dalla L. 9 dicembre 1977, n. 903, fermo restando il trattamento economico del 30 % previsto dalla legge per il restante periodo, i primi trenta giorni, fruibili anche frazionatamente, sono considerati permessi per i quali spetta il trattamento di cui ai commi 4 e 5 (e cioè “l’intera retribuzione esclusi i compensi per attività aggiuntive…”). Dopo il compimento del primo anno di vita del bambino e fino al terzo anno, nei casi previsti dalla L. n. 1204 del 1971, art. 7, comma 2, alle lavoratici madri ed ai lavoratori padri sono concessi, con le stesse modalità gg. 30 per anno di permesso retribuito. ” Per quanto riguardava invece il “personale assunto a tempo determinato”, il ccnl del 1995 all’art. 25, comma 16, prevedeva semplicemente che allo stesso “si applicano le norme per la tutela delle lavoratrici madri e dei padri lavoratori poste dalla L. n. 1204 del 1971, e dalla L. n. 903 del 1977”.

La chiara espressione letterale del CCNL del 2001 e la scomparsa della differenziazione pregressa inducono a ritenere che le parti collettive abbiano senz’altro voluto uniformare la disciplina dei congedi parentali con riferimento sia al personale a tempo indeterminato sia a quello a tempo determinato.

In senso contrario non può invocarsi il richiamo all’art. 23 del CCNL del 1995 contenuto nell’art. 11, comma 3, del CCNL del 2001, trattandosi di rinvio diretto semplicemente a determinare l’entità del trattamento retributivo, spettante a tutto il “personale dipendente”, precedentemente spettante soltanto al personale “con contratto a tempo indeterminato”.

Del resto, significativamente l’art. 11 del CCNL del 2001 non contiene alcun rinvio all’art. 25 del CCNL del 1995, che, come si è visto, prevedeva appunto per il personale a tempo determinato la semplice applicazione della disciplina di cui alle L. n. 1204 del 1971, e L. n. 903 del 1977.

Parimenti non può assumere alcun significato contrario neppure il richiamo all’art. 26 del CCNL del 1995 contenuto nell’art. 17 del CCNL del 2001 (“Le disposizioni di cui all’art. 26 del CCNL 4-8-1995 in materia di infortunio sul lavoro e malattie dovute a causa di servizio, in quanto dirette alla generalità del personale della scuola, si applicano anche ai dipendenti con contratto a tempo determinato, nei limiti della durata della nominà).

Considerato, infatti, che la disciplina degli infortuni sul lavoro e delle malattie dovute a causa di servizio, nel ccnl del 1995 non prevedeva alcuna differenziazione tra personale a tempo indeterminato e personale a tempo determinato, le parti nel 2001 hanno inteso distinguere e chiarire, sul piano applicativo, che la tutela contrattuale (intera retribuzione fino alla guarigione clinica e garanzia della conservazione del posto di lavoro), nel caso di personale a tempo determinato, viene a cessare allo scadere del termine.

Una tale esigenza, invece, non ricorreva affatto nel caso della maternità e dei congedi parentali, giacchè, come si è detto, il ccnl del 1995 al riguardo prevedeva una disciplina differenziata.

In sostanza, mentre l’art. 11 del ccnl del 2001 contiene una regolamentazione innovativa e complessiva del trattamento economico della maternità e dei congedi parentali, che ha parificato le due categorie di personale, l’art. 17 dello stesso ccnl si limita a chiarire che le disposizioni pregresse, in materia di infortunio sul lavoro e malattie dovute a causa di servizio (già “dirette alla generalità del personale della scuola”) si applica ai dipendenti con contratto a tempo determinato “nei limiti di durata della nomina”.

Infine parimenti inconcludente è anche l’argomento fondato sulla previsione dell’art. 19 comma 14 del successivo ccnl del 2003 che espressamente stabilisce che “Al personale di cui al presente articolo (a tempo determinato) si applicano le disposizioni relative ai congedi parentali come disciplinati dall’art. 12”.

Tale previsione, senza per nulla smentire quanto già previsto, come sopra, dall’art. 11 del ccnl del 2001, al pari di altre in materia di “ferie, permessi ed assenze del personale assunto a tempo determinato” contenute nello stesso articolo 19, assume, infatti, il significato di una semplice “precisazione” (vedi in tal senso anche il medesimo art. 19, comma 1) esplicitata dalle parti collettive al fine di rendere indiscutibile la loro volontà.

Va pertanto respinto il ricorso enunciandosi ex art. 384 c.p.c., il seguente principio di diritto: “le disposizioni in tema di congedi parentali di cui all’art. 11 del ccnl 15-3-2001 del personale del Comparto Scuola (nella fattispecie commi 3, 5 e 6), fatte salve, quali condizioni di maggior favore, dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 1, comma 2, vanno interpretate nel senso che sono dirette a tutto il personale dipendente, senza distinzione alcuna tra personale a tempo indeterminato e personale a tempo determinato”.

Infine non deve provvedersi sulle spese non avendo la intimata svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2010

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