Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17233 del 18/08/2020

Cassazione civile sez. I, 18/08/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 18/08/2020), n.17233

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10320/19 proposto da:

-) D.K., elettivamente domiciliato in Varese, via Robbioni n.

39, difeso dall’avvocato Mario Lotti, in virtù di procura speciale

apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano 23 novembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 febbraio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

RILEVATO

che:

D.K., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui AL D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il (OMISSIS) dopo essere stato rapito dai ribelli, ed essere riuscito a sfuggire ai suoi rapitori corrompendo la persona deputata a sorvegliarlo; soggiunse che in caso di rientro nel suo paese temeva che colui il quale lo fece fuggire avrebbe potuto ucciderlo, per eliminare un pericoloso testimone della corruzione;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento D.K. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che la rigettò con ordinanza 9.6.2017;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Milano con ordinanza 23.11.2018; la Corte d’appello ritenne che il racconto del richiedente era “superficiale, inattendibile e poco dettagliato”; che nella regione di provenienza del richiedente non vi era una situazione di violenza indiscriminata; che la protezione umanitaria non potesse essere concessa, per mancanza di prova di una situazione di vulnerabilità; il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da D.K. con ricorso fondato su tre motivi; il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, là violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; l’illustrazione del motivo contiene varie censure così riassumibili:

a) la Corte d’appello ha illegittimamente ritenuto inattendibile il racconto del richiedente, senza prima procedere ad una sua audizione;

b) in ogni caso la valutazione dell’attendibilità del richiedente asilo era stata compiuta in modo illegittimo, in violazione dei parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3;

la censura sub (a) è infondata, alla luce di quanto già ritenuto da questa Corte, ovvero che “l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori; ne consegue che, in caso di racconto inattendibile e contraddittorio e per di più variato nel tempo, non è nulla la sentenza di merito che – come del resto affermato da Corte di Giustizia U.E., 26 luglio 2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko, e da Corte EDU, 12 novembre 2002, Dory c. Svezia – rigetti la domanda senza che il giudice abbia proceduto a nuova audizione del richiedente per colmare le lacune della narrazione e chiarire la sua posizione” (Sez. 1, Ordinanza n. 33858 del 19/12/2019, Rv. 656566 – 01);

la censura sub (b) è del pari inammissibile;

essa infatti è sorretta unicamente dalla collazione di alcuni brani estratti da sentenze di questa Corte, e da alcuni passi di un rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), ma prescinde del tutto dal contenuto effettivo della sentenza impugnata; si tratta, dunque, d’un motivo di ricorso assertivo, col quale si contrappongono alle valutazioni del giudice di merito altre valutazioni di parte, ma senza denunciare alcun vizio giuridico o logico nella decisione impugnata (vizio che, ovviamente, non può pretendersi consista nel mero fatto che il Giudice abbia valutato prove e fatti in modo contrario a quanto auspicato dalla parte);

ad abundantiam, non sarà superfluo aggiungere che lo stabilire se una persona sia attendibile od inattendibile è un apprezzamentò di fatto, non una valutazione in diritto: ed in quanto tale sfugge al sindacato di questa Corte;

nè a tale secolare principio deroga la legislazione speciale in materia di protezione internazionale;

il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, infatti, non impone affatto al Giudicante – al contrario di quanto mostra di ritenere il ricorrente l’obbligo di credere al richiedente asilo, quando questi abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la sua domanda e non abbia potuto fornire ulteriori prove senza colpa;

il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, impone al giudice soltanto l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate, ed in particolare di stabilire “se le dichiarazioni del richiedente (siano) coerenti e plausibili” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. (c));

da ciò discendono tre conseguenze:

-) la prima è che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non potrà mai dirsi violato sol perchè il giudice di merito abbia ritenuto inattendibile un racconto od inveritiero un fatto;

-) la seconda è che il giudizio sulla credibilità del richiedente asilo non è affatto a rime obbligate, e non sussiste alcun “diritto ad essere creduti” sol perchè si sia presentata una domanda di asilo il prima possibile o si sia fornito un racconto circostanziato (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 20580 del 31/07/2019, Rv. 654946 – 01);

-) la terza è che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. (c) lascia libero il giudice di merito di credere o non credere al richiedente asilo, secondo il suo prudente apprezzamento, che in quanto tale non è sindacabile in questa sede (Sez. 1, Ordinanza n. 21283 del 9.8.2019; Sez. 1 -, Ordinanza n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 21128 del 7.8.2019; Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361 – 01);

cibi secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; anche in questo caso l’illustrazione del motivo contiene plurime censure, così riassumibili:

a) avrebbe errato la Corte d’appello nel rigettare la domanda di protezione sussidiaria per le ragioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), in quanto il racconto del richiedente asilo doveva ritenersi attendibile;

b) la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che la regione di provenienza del richiedente (città di (OMISSIS)) non fosse interessata da una situazione di conflitto armato, trascurando di considerare che sia davanti alla commissione, sia dinanzi al Tribunale, il richiedente aveva dichiarato di essersi trasferito nella regione settentrionale del Niger, che invece era interessata da un grave conflitto armato;

c) la Corte d’appello ha comunque errato nel ritenere che in (OMISSIS) esistano “zone tranquille”, in quanto il conflitto fra il governo e le milizie armate interessa non solo il nord del Paese, ma anche il centro ed il sud;

il motivo è inammissibile in tutte le censure in cui si articola;

la prima censura è ovviamente inammissibile, in quanto assorbita dal rigetto del primo motivo di ricorso;

la seconda censura trascura di considerare che, avendo la Corte d’appello ritenuto – con giudizio non sindacabile in questa sede – inattendibile il racconto del richiedente, coerentemente non ha prestato fede nemmeno all’affermazione secondo cui, prima di lasciare il Paese, si era trasferito proprio nella regione interessata dal conflitto;

la terza censura, infine, è inammissibile in quanto investe un accertamento di fatto, adeguatamente motivato dalla Corte d’appello con rinvio a COI aggiornate ed attendibili;

col terzo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di permesso di soggiorno per motivi umanitari;

lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5;

nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe “omesso di compiere alcuna valutazione circa la sussistenza” nel caso di specie di seri motivi di carattere umanitario; che la Corte d’appello avrebbe trascurato di considerare sia il livello di integrazione sociale realizzato in Italia dal richiedente, sia l’estesa violazione dei diritti umani nel paese di provenienza ed in quello di transito; che la Corte d’appello non avrebbe compiuto il giudizio comparativo tra la situazione del paese di origine e quella conseguita in Italia dal richiedente; il motivo è inammissibile, e comunque infondato;

innanzitutto esso è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi; la Corte d’appello infatti, come già detto, ha ritenuto i fatti narrati dal richiedente inattendibili, e ciò la esonerava da qualsiasi approfondimento istruttorio e da qualsiasi comparazione fra la situazione del ricorrente e quella del paese di provenienza ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

questa Corte ha infatti già ripetutamente affermato che se l’inattendibilità soggettiva del richiedente è ostativa a qualsiasi approfondimento istruttorio d’ufficio, al fine della concessione del rifugio e della protezione sussidiaria (quanto meno con riferimento alle ipotesi di cui all’art. 14, lett. (a) e (b) D.Lgs. cit.), a fortiori quella inattendibilità soggettiva renderà superflua la c.d. “cooperazione istruttoria” officiosa del giudice, al fine del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

in ogni caso, per i fini di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, il ricorrente neanche nel ricorso per cassazione indica quali sarebbero i fattori individuali e personali di vulnerabilità posti a fondamento della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ovviamente diversi da quelli posti a fondament6 della domanda di asilo e i protezione sussidiaria, limitandosi a sostenere la inammissibile equazione per cui la condizione di vulnerabilità dovrebbe ritenersi sussistente tutte le volte in cui il richiedente la protezione umanitaria provenga da un paese “difficile”;

non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata;

il rigetto del ricorso non comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): infatti -, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 11 il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non sia stata revocata del giudice competente.

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, sempre, che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non sia stata revocata dai giudice competente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2020

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