Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17232 del 18/08/2020

Cassazione civile sez. I, 18/08/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 18/08/2020), n.17232

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8688/19 proposto da:

-) H.J., elettivamente domiciliato in Varese, via Robbioni

n. 39, difeso dall’avvocato Mario Lotti in virtù di procura

speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano 14 settembre

2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 febbraio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

RILEVATO

che:

H.J., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis); a fondamento della domanda dedusse di avere lasciato la (OMISSIS) dopo che alcuni creditori di suo fratello, per ottenere il pagamento di quanto loro dovuto, lo percossero e minacciarono lui ed i suoi familiari; la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento H.J. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo rigettò con ordinanza 19.7.2017;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, fu confermata dalla Corte d’appello di Milano con sentenza 14.9.2018;

la Corte d’appello ritenne che il rifugio non potesse essere concesso perchè dal racconto stesso del richiedente non emergeva alcuna ipotesi di persecuzione, ma solo vicende strettamente private; la protezione sussidiaria non potesse essere concessa perchè dallo stesso racconto del richiedente non emergeva alcun elemento da cui desumere la possibilità di una condanna a morte, o di iniziative giudiziarie disumane nei suoi confronti; infine, la zona di provenienza del richiedente ((OMISSIS)) non era interessata da violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; la protezione per motivi umanitari non potesse essere concessa perchè non era stata nè allegata, nè dimostrata l’esistenza di alcuna situazione di vulnerabilità;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da H.J. con ricorso fondato su quattro motivi; il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2697 c.c.; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; deduce che tale norma sarebbe stata violata sia perchè la Corte d’appello sarebbe “venuta completamente meno al proprio dovere di cooperazione istruttoria, non assumendo adeguate informazioni in merito al contesto presente nel paese di origine”; sia perchè avrebbe “omesso di valutare o ha valutato in modo superficiale quanto ampiamente allegato al richiedente”;

il motivo è inammissibile;

esso infatti è sorretto unicamente dalla collazione di alcuni brani estratti da una sentenza di questa Corte, e da alcuni passi di un rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), ma prescinde del tutto dal contenuto effettivo della sentenza impugnata; si tratta, dunque, d’un motivo di ricorso assertivo, col quale si contrappongono alle valutazioni del giudice di merito altre valutazioni di parte, ma senza denunciare alcun vizio giuridico o logico nella decisione impugnata (vizio che, ovviamente, non può pretendersi consista nel mero fatto che il Giudice abbia valutato prove e fatti in modo contrario a quanto auspicato dalla parte); in ogni caso il primo motivo di ricorso sarebbe altresì inammissibile per estraneità alla ratio decidendi;

la Corte d’appello, infatti, ha rigettato la domanda di asilo osservando che la vicenda narrata dal ricorrente aveva carattere strettamente privatistico. Tale censura non viene neanche sfiorata dal primo motivo di ricorso, il quale si dilunga a sostenere che il giudice aveva l’obbligo di approfondire d’ufficio l’analisi del contesto socioeconomico di provenienza del richiedente. Ma va da sè che, dinanzi alla narrazione di un fatto privato, v’era ben poco da approfondire, e tantomeno d’ufficio;

col secondo motivo il ricorrente lamenta sia il vizio di violazione di legge (le norme violate vengono ravvisate nell’art. 1, lett. a), della Convenzione di Ginevra del 1951; nel D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,7,8) sia quello di omesso esame d’un fatto decisivo;

l’illustrazione del motivo contiene quattro diverse censure, così riassumibili:

a) la Corte d’appello ha omesso di considerate due fatti decisivi, rappresentati dalle violenze fisiche subite dal richiedente e dalla sua famiglia, e dalla circostanza che tali violenze erano state da lui denunciate alla polizia, la quale tuttavia non gli garantì alcuna protezione;

b) la Corte d’appello ha omesso di prendere in considerazione l’assoluta inefficacia del sistema giudiziario (OMISSIS), “ampiamente documentata da fonti nazionali e internazionali”;

c) la Corte d’appello ha illegittimamente rigettato la domanda di protezione, sul presupposto che per sfuggire ai suoi persecutori il richiedente avrebbe potuto trasferirsi in un’altra città;

d) la Corte d’appello ha trascurato di considerare che il richiedente, dopo aver lasciato il proprio paese, aveva vissuto due anni in Libia, paese fortemente instabile “ove gli immigrati provenienti dall’Africa subsahariana subiscono torture e gravissime violazioni dei diritti umani”;

le censure sub (a) e (b) sono inammissibili per estraneità alla ratio decidendi;

la Corte d’appello ha infatti ritenuto che la vicenda narrata dal richiedente era nel suo complesso “priva di riferimenti fattuali credibili e stereotipata”: pertanto, dinanzi al giudizio di inattendibilità del racconto del richiedente asilo, la Corte d’appello non era tenuta ad alcun approfondimento istruttorio officioso,. come ripetutamente stabilito da questa Corte (ex permultis, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 4892 del 19/02/2019, Rv. 652755 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01; Stz. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697 – 01);

nè può dirsi sussistente il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, dal momento che il fatto che si assume trascurato è stato invece tenuto ben presente dal giudice di merito, il quale l’ha ritenuto inveritiero;

la censura sub (c) resta assorbita dal rigetto delle precedenti; e comunque vale la pena rilevare che il passaggio motivazionale in cui si afferma che il richiedente avrebbe potuto, per sottrarsi alle lamentate violenze, trasferirsi in un’altra città, costituisce un mero obiter dictum e non l’effettiva ratio decidendi; sicchè, pur essendo vero che quella affermazione fu giuridicamente scorretta, tale errore è stato ininfluente sull’esito della lite;

la censura sub (d) è irrilevante, in quanto la persecuzione o il rischio di gravi danni alla persona, ai fini della concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 va apprezzato con riferimento al paese di provenienza, e non a quello di transito (Sez. 1 -, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018, Rv. 651895 – 01);

col terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3;

nella illustrazione del motivo si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che in (OMISSIS) non esista una situazione di violenza indiscriminata. Osserva in contrario il ricorrente che “la (OMISSIS) nel suo complesso è sconvolta dalla violenza indiscriminata è presenta una situazione. di conflitto interno”;

il motivo è inammissibile per due indipendenti ragioni;

la prima ragione è che il ricorrente lamenta l’erroneità del giudizio formulato dalla Corte d’appello circa l’assenza di violenza indiscriminata in (OMISSIS), ma non si duole nè della mancata citazione, da parte della Corte d’appello, di Country of Origin Informations (COI) aggiornate, nè del mancato ricorso ai poteri istruttori officiosi su questo. aspetto;

il motivo è dunque inammissibile perchè censura un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, quale è lo stabilire se in una certa area della (OMISSIS) vi sia o non vi sia una violenza indiscriminata;

la seconda ragione di inammissibilità è che il ricorrente a sostegno della propria censura cita una serie di fonti giurisprudenziali in parte aspecifiche (p. 20-21 del ricorso); in parte riferite all'(OMISSIS), che il ricorrente dichiara essere la sua regione di provenienza; tuttavia dalle pp. 3 e 5 della sentenza impugnata risulta che il ricorrente proviene dal (OMISSIS), rispetto alle cui condizioni il ricorrente nulla riferisce, impedendo così a questa Corte di valutare la decisività dell’errore che assume essere stato commesso dalla Corte d’appello;

col quarto motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di protezione umanitaria;

lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1;

nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe “omesso di compiere alcuna valutazione circa la sussistenza” nel caso di specie di seri motivi di carattere umanitario; che la Corte d’appello avrebbe trascurato di considerare sia il livello di integrazione sociale realizzato in Italia dal richiedente, sia l’estesa violazione dei diritti umani nel paese di provenienza ed in quello di transito; che la Corte d’appello non avrebbe compiuto il giudizio comparativo tra la situazione del paese di origine e quella conseguita in Italia dal richiedente;

il motivo è inammissibile, e comunque infondato;

innanzitutto esso è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi;

la Corte d’appello infatti, come già detto, ha ritenuto i fatti narrati dal richiedente “privi di riferimenti fattuali credibili”, e ciò la esonerava da qualsiasi approfondimento istruttorio e da qualsiasi comparazione fra la situazione del ricorrente e quella del paese di provenienza ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

questa Corte ha infatti già ripetutamente affermato che se l’inattendibilità soggettiva del richiedente è ostativa a qualsiasi approfondimento istruttorio d’ufficio, al fine della concessione del rifugio e della protezione sussidiaria (quanto meno con riferimento alle ipotesi di cui all’art. 14, lett. (a) e (b) D.Lgs. cit.), a fortiori quella inattendibilità soggettiva renderà superflua la c.d. “cooperazione istruttoria” officiosa del giudice, al fine del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (ex multis, Sez. 1, Ordinanza n. 21128 del 7.8.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 16465 del 19.6.2019);

in ogni caso, per i fini di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, il ricorrente neanche nel ricorso per cassazione indica quali sarebbero i fattori individuali personali di vulnerabilità posti a fondamento della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, limitandosi a sostenere la inammissibile equazione per cui la condizione di vulnerabilità dovrebbe ritenersi sussistente tutte le volte in cui il richiedente la protezione umanitaria provenga da un paese “difficile”; non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata;

il rigetto del ricorso non comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): infatti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 11 il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non sia stata revocata dal giudice competente.

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non sia stata revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2020

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