Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17231 del 19/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 19/08/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 19/08/2016), n.17231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21296/2014 proposto da:

TELECOM ITALIA SPA, (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio degli Avvocati ARTURO

MARESCA, ENZO MORRICO, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la

rappresentano e difendono, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

J.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATANASIO

KIRCHER 7, presso lo studio dell’Avvocato STEFANIA IASONNA,

rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONIO TOFFOLETTO, ANDREA

BALLABIO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 154/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

13/02/2014, depositata il 15/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/06/2016 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato SCETTI ROBERTO, difensore del controricorrente,

delega scritta dell’Avvocato TOFFOLETTO ANTONIO, il quale si riporta

agli scritti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio.

2. La Corte d’appello di Milano, respingendo il gravame dell’attuale ricorrente, ha confermato la decisione di primo grado, modificando la motivazione nel senso di ritenere inapplicabile l’invocata disposizione del contratto collettivo nazionale in tema di spese legali per la difesa nel processo penale, per fatti che si assumono illeciti, in difetto di allegazione e prova di un’autonoma ricostruzione dei fatti.

3. Avverso detta sentenza Telecom Italia s.p.a. ha proposto ricorso affidato a due motivi con i quali è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e, ferma l’interpretazione della contrattazione collettiva evocata, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

4. La parte intimata ha resistito con controricorso.

5. L’illustrazione del primo mezzo d’impugnazione si risolve nella denuncia dell’ambito di applicazione e dell’interpretazione dell’art. 15 del CCNL Dirigenti Aziende Industriali.

6. La denuncia di violazione o di falsa applicazione dei “contratti o accordi collettivi di lavoro”, aggiunta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 (sostitutivo del precedente testo dell’art. 360 c.p.c., ed in particolare modificativo del suo comma 1, n. 3) a quella delle “norme di diritto”, così parificando i primi alle seconde sul piano processuale, si accompagna all’introduzione dell’art. 420-bis c.p.c. (ad opera dell’art. 18 D.Lgs. cit.), in coerente simmetria con quanto già previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 5 e art. 64, in materia di controversie nel lavoro pubblico contrattualizzato, segna il punto di approdo del movimento di distacco (sul piano processuale) del contratto collettivo dallo schema del negozio giuridico con conseguente allontanamento dall'”assolutismo legislativo” ed estensione della funzione nomofilattica della Corte di cassazione a quella che è stata definita quale “tutela dello svolgimento ragionevole e ragionevolmente prevedibile dell’intero ordinamento della collettività, in tutte le sue espressioni normative”.

7. Ciò comporta, come è stato precisato, la necessità di ascrivere la doglianza all’errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione senza (più) la necessità di indicazione, a pena di inammissibilità della doglianza stessa, del criterio ermeneutico violato (artt. 1362 c.c. e segg.), così come analoga indicazione non è necessaria per le altre norme di diritto (con riferimento, in particolare, all’art. 12 preleggi).

8. La parificazione, sul piano processuale, dei “contratti o accordi collettivi di lavoro” alle “norme di diritto” ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, comporta, per la cassazione della sentenza impugnata per violazione del c.c.n.l., l’enunciazione del principio di diritto ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, e la decisione della causa nel merito, ai sensi del comma 2, quando non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.

9. A tale enunciazione la Corte di legittimità può pervenire anche esaminando altre clausole (diverse da quella specificamente oggetto di rilievo) del contratto collettivo nazionale ovvero attraverso una interpretazione mediante collegamento con altri contratti collettivi, conclusi in tempi diversi.

10. Il suddetto materiale interpretativo è tuttavia conoscibile d’ufficio dalla Corte di legittimità solo in quanto ufficialmente pubblicato (così i c.c.n.l. del pubblico impiego).

11. Per il resto è necessario che la norma pattizia (oggetto di diretta interpretazione ovvero elemento interpretativo esterno) non solo risulti ritualmente acquisita al fascicolo di parte nel giudizio di merito ma, laddove il ricorso per cassazione si fondi su di essa, che venga anche prodotta in uno con il ricorso stesso (art. 369 c.p.c., n. 4).

12. Va, poi, considerato che, se pure è vero che la Corte di legittimità, nell’esercizio del potere di interpretare i contratti collettivi nazionali, deve potere disporre di tutti gli elementi occorrenti per la ricostruzione della volontà contrattuale, per decidere una volta per tutte sull’interpretazione delle clausole, onde assicurare quell’uniformità e certezza che è lo scopo dell’art. 360 c.p.c., n. 3, come attualmente formulato, tuttavia vi è un diverso atteggiarsi del concetto di “conoscibilità” della fonte normativa (quanto ad esistenza e a contenuto) – che, in ragione delle sopra espresse considerazioni, non sembra possa essere considerato più un “fatto”, almeno nel giudizio di cassazione -, da parte del giudice esclusivamente con mezzi propri, jura novit curia) a seconda che si versi in una ipotesi di violazione del c.c.n.l. privatistico rispetto ad una in cui le questioni attengano ad un c.c.n.l. del pubblico impiego.

13. Ed infatti, a differenza della legge e dei contratti collettivi del pubblico impiego (pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale), il c.c.n.l. privatistico non è conoscibile se non con la collaborazione (onere di allegazione e di produzione) delle parti.

14. Rilevante è, dunque, che la fonte normativa possa essere conosciuta dal giudice a prescindere dall’iniziativa di parte la quale, laddove necessaria (come nel caso del c.c.n.l. privato), resta assoggetta alle regole processuali sulla distribuzione dell’onere della prova e sul contraddittorio.

15. Se è vero, poi, che ai sensi dell’art. 420 c.p.c., comma 5, il giudice può richiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti e accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, da applicare nella causa, tale potere non può che essere esercitato in base alle allegazioni e deduzioni delle parti, restando la relativa eventualità pur sempre nell’ambito di applicazione del principio dispositivo e permanendo l’onere delle parti, che vogliano far valere l’applicazione di un determinato contratto collettivo, di provarne l’esistenza e di produrlo in giudizio (si tratta, dunque, di una discrezionalità limitata alla rilevanza del contratto o accordo collettivo ai fini della decisione e solo il giudizio positivo di rilevanza dà luogo ad un dovere di acquisizione).

16. Nè questa Corte può esaminare il contenuto di contratti collettivi nazionali in virtù del principio jura novit curia che, come detto, presuppone una conoscibilità della fonte normativa rispetto alla quale non risultino di ostacolo preclusioni allegative e deduttive.

17. Nella specie il predetto contratto collettivo nazionale non risulta prodotto con il ricorso per cassazione e si è omesso di precisare in quale sede processuale sarebbe stato eventualmente prodotto, nelle fasi di merito, e dove, quindi, la Corte potrebbe esaminarlo in questa sede, per effetto della relativa già avvenuta produzione nelle fasi di merito.

18. In definitiva il ricorso deve dichiararsi improcedibile, l’ulteriore censura risultando assorbita dalla declaratoria, in rito, sul primo mezzo d’impugnazione.

19. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

20. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi).

21. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) da dichiararsi improcedibile, deve provvedersi in conformità.

PQM

La Corte dichiara improcedibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfettario del 15 per cento. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, cit..

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2016

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