Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17228 del 22/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 22/07/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 22/07/2010), n.17228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TRIOLO VINCENZO, STUMPO VINCENZO, giusta mandato in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. MERCALLI

6, presso lo studio dell’avvocato LEVANTI ALESSANDRO MARIA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LAMARINA SALVATORE,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1289/2007 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 31/05/2007 r.g.n. 2602/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2010 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito l’Avvocato LEVANTI ALESSANDRO MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il giudice del lavoro di Brindisi, riuniti i ricorsi proposti da P.C. per ottenere, rispettivamente la indennita’ di disoccupazione agricola per l’anno 1995 e la reiscrizione negli elenchi anagrafici, dai quali era stato cancellato per lo stesso anno, dichiarava la nullita’ dei ricorsi medesimi per genericita’.

In riforma di tale decisione, la Corte d’appello di Lecce, respinta l’eccezione di decadenza dall’azione giudiziaria formulata dall’INPS, ha riconosciuto il diritto dell’appellante alla reiscrizione e al pagamento dell’indennita’. In particolare, in punto di decadenza la Corte di merito ha osservato che il termine previsto dal D.L. n. 7 del 1970, art. 22 (conv. in L. n. 83 del 1970) per l’esercizio dell’azione giudiziaria non aveva potuto, nella specie, iniziare il suo decorso, poiche’ il procedimento amministrativo contenzioso, aperto dal ricorso presentato dal P. ai sensi del D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 1 si era concluso senza che la Commissione centrale per la manodopera agricola, adita in seconda istanza, gli avesse notificato un provvedimento formale di rigetto della istanza di reiscrizione.

Contro questa sentenza l’INPS ha proposto ricorso fondato su tre motivi, illustrati con successiva memoria. Il P. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, osserva la Corte che non ricorrono i presupposti per un intervento delle Sezioni Unite sulla questione controversa (intervento sollecitato sia dalla Corte di merito che dall’odierno resistente), dal momento che l’interpretazione delle disposizioni di legge vigenti in materia, espressa nella sentenza n. 813/2007 della Sezione lavoro nella quale si dissentiva dalle due iniziali decisioni della stessa Sezione (cfr. Cass. n. 2853 e 3882 del 2006) – e’ stata seguita da tutte le successive sentenze, che hanno ulteriormente approfondito la questione esaminandone gli aspetti problematici che via via venivano evidenziati e pervenendo, sui vari punti, a un indirizzo consolidato che va ribadito in questa sede (cfr., fra tante, Cass. n. 2373, n. 4819, n. 6709, n. 19111, n. 20668 del 2007; n. 8650 del 2008; n. 4405 del 2009 e numerose successive conformi).

2. L’INPS, nel primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 7 del 1970, art. 22, convenite, con modifiche, dalla L. n. 83 del 1970, e del D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 11 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3). Richiamando la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte sostiene che, ove dal lavoratore agricolo siano stati esperiti i previsti ricorsi amministrativi avverso il provvedimento che ne dispone la cancellazione dagli appositi elenchi anagrafici e l’autorita’ preposta alla decisione non ne abbia comunicato l’esito nei termini previsti dal D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 11 il termine di decadenza dall’azione giudiziaria mirante ad ottenere la reiscrizione decorre dalla scadenza dei termini anzidetti; ha, quindi, ha errato la sentenza impugnata a ritenere non verificata la decadenza, posto che, in relazione all’epoca della presentazione del ricorso amministrativo alla Commissione centrale (21 marzo 1998), la domanda giudiziale avrebbe dovuto essere proposta entro il 17 ottobre 1998 (data in cui si erano compiuti sia il termine di 90 giorni assegnati dalla legge per la decisione del gravame amministrativo, sia il termine di 120 giorni per promuovere l’azione giudiziaria) mentre il ricorso giurisdizionale risulta depositato solamente il 27 ottobre 1998.

Nel secondo motivo, proposto in via subordinata, con denuncia di vizio di motivazione, l’INPS assume che la sentenza impugnata ha riconosciuto il diritto del P. all’indennita’ di disoccupazione agricola per l’anno 1995, omettendo di accertare se le caratteristiche dell’attivita’ lavorativa, che i due testimoni escussi gli avevano visto svolgere, fossero proprie di un rapporto di natura subordinata.

Nel terzo motivo, dedotto in via ulteriormente gradata, con denuncia di violazione della L. n. 264 del 1949, art. 32 come sostituita dal D.P.R. n. 1049 del 1970, art. 1 l’Istituto sostiene che la Corte di merito non ha verificato neppure la sussistenza del requisito dell’anzianita’ assicurativa, essendosi limitata ad accertare il compimento, da parte del P., di 102 giornate lavorative nell’anno (1995) di competenza della prestazione, ma non l’iscrizione nell’elenco dei lavoratori agricoli per l’anno 1994.

3. Il primo motivo di ricorso e’ fondato, restando cosi’ assorbite le ulteriori censure, proposte dall’INPS solo in via subordinata.

4. Come gia’ rilevato in premessa, la giurisprudenza di questa Corte e’ ormai consolidata nel considerare la disposizione del convertito D.L. n. 7 del 1970, art. 22 tuttora vigente (non essendo stata implicitamente abrogata, in particolare, dall’art. 148 disp. att. c.p.c.); nell’affermare, altresi’, che l’ivi indicato termine di 120 giorni ha natura di decadenza sostanziale (in quanto relativo al compimento di un atto di esercizio di un diritto soggettivo), cosi’ da non essere suscettibile di sanatoria ai sensi della L. n. 533 del 1973, art. 8 nel ritenere, infine, che la prevista decadenza, salvo il limite del giudicato interno, e’ rilevabile dal giudice di ufficio in ogni stato e grado, ai sensi dell’art. 2969 c.c. riguardando una materia di “ordine pubblico” sottratta, come tale, alla disponibilita’ delle parti (fra tante, Cass. 1 ottobre 1997 n. 9595, 21 aprile 2001 n. 5942, 8 novembre 2003 n. 16803, 10 agosto 2004 n. 15460, 18 maggio 2005 n. 10393).

5. Questa interpretazione e’ stata ritenuta dalla Corte costituzionale (sentenza n. 192 del 2005) non confliggente con i precetti degli artt. 3 e 38 Cost., in base al rilievo che la previsione degli indicati termini decadenziali e’ giustificata dall’esigenza di verificare nel piu’ breve tempo possibile la ricorrenza, in concreto, del diritto all’iscrizione, avuto riguardo al fatto che questa costituisce presupposto per l’accesso alle prestazioni previdenziali (quali l’indennita’ di malattia e di maternita’) collegate al solo requisito assicurativo e titolo per l’accredito, in ciascun anno, dei contributi (corrispondenti al numero di giornate risultanti dagli elenchi).

6. Per le considerazioni che precedono e’ da ritenere privo di fondamento il rilievo dell’odierno controricorrente, il quale sostiene che era precluso alla Corte d’appello l’esame della eccezione di decadenza dall’azione giudiziaria, perche’ (tardivamente) formulata dall’INPS solo nel giudizio di secondo grado.

7. Cio’ posto, il riferimento del ripetuto D.L. n. 7 del 1970, art. 22 ai “provvedimenti definitivi adottati in applicazione del presente decreto” va inteso come comprensivo sia dei provvedimenti degli organi preposti alla gestione degli elenchi, che siano divenuti definitivi perche’ non fatti oggetto dei previsti gravami amministrativi, sia dei provvedimenti che abbiano acquisito la suddetta caratteristica di definitivita’ in esito al procedimento amministrativo contenzioso aperto su ricorso dell’ interessato.

8. Per questo secondo caso viene in considerazione la disposizione del D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 11 la quale, modificando la disciplina posta dal D.L. n. 7 del 1970, art. 17 che assegnava alla mancata decisione del ricorso nei prescritti termini valore di accoglimento del ricorso medesimo – attribuisce al silenzio dell’amministrazione il valore legale tipico di un provvedimento di rigetto.

9. Ne discende che, per le decisioni espresse, vale la regola della decorrenza del termine di decadenza dalla data della loro comunicazione all’interessato (salva la possibilita’, per chi eccepisca la decadenza, di provare che costui ne ha acquisito conoscenza in un momento precedente) mentre, per l’ipotesi di decisione tacita (di rigetto), vale la regola della decorrenza del termine di decadenza dalla scadenza dei termini assegnati dal D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 1 all’autorita’ competente per decidere il proposto gravame amministrativo, essendo questa una scadenza che, per essere direttamente prevista dalla legge, deve intendersi conosciuta o, comunque, conoscibile dall’interessato.

10. Tanto comporta che la presentazione di un ricorso amministrativo tardivo rispetto ai termini legislativamente definiti utili, pur restando rilevante ai fini della procedibilita’ dell’azione giudiziaria, non puo’ essere recuperata per lo spostamento in avanti del dies a quo del ripetuto termine di decadenza; cosi’ come irrilevante, agli stessi fini, resta la decisione tardiva sul ricorso, a sua volta inidonea a consentire una “riapertura” del termine decadenziale.

11. Deve aggiungersi che in questa materia, stante la sua innegabile specialita’, correlata alle peculiari esigenze di celerita’ della procedura di accertamento dei lavoratori agricoli (evidenziate, come gia’ detto, anche dalla Corte costituzionale), non opera la regola prescritta, in via generale, dal L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 4 (che prevede il dovere dell’amministrazione di indicare, in ogni atto amministrativo notificato al destinatario, il termine e l’autorita’ cui e’ possibile ricorrere), non essendo l’imposizione di un obbligo siffatto compatibile con una disciplina legale dei ricorsi amministrativi (addirittura successiva alla L. n. 241 del 1990) che ne ammette la decisione nella forma di provvedimenti taciti e automatici (rispetto ai quali sarebbe inconcepibile un’ indicazione dei termini da osservare per l’esercizio, in sede giudiziaria, del diritto invocato). Inoltre, contrariamente a quanto afferma la sentenza impugnata, deve escludersi che, in materia di accertamento delle giornate di lavoro nel settore agricolo, oggetto di una regolamentazione in tutto diversa e speciale rispetto a quella relativa alle domande delle prestazioni previdenziali facenti carico all’INPS, possa trovare applicazione il D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 e, con esso, la prescrizione di cui al comma 5, che impone all’Istituto previdenziale l’onere di indicare ai richiedenti le prestazioni i gravami amministrativi che possono essere proposti, a quali organi devono essere presentati e entro quali termini, nonche’ di precisare i presupposti e i termini per l’esperimento dell’azione giudiziaria. Senza dire che, con la recente sentenza n. 12718 del 2009, le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che l’inosservanza, da parte dell’Istituto previdenziale, del detto comma 5 costituisce una mera irregolarita’ e non e’, comunque, di ostacolo al decorso del termine di decadenza (anch’esso di carattere sostanziale) previsto dallo stesso art. 47 per l’esercizio dell’azione giudiziaria.

12. Alla stregua dei principi sopra esposti deve ritenersi giuridicamente errata la sentenza della Corte di Lecce per aver fondato la statuizione relativa alla tempestivita’ dell’ azione giudiziaria sulla mancanza di una decisione sul ricorso amministrativo espressa e formalmente comunicata al P..

13. Inammissibile, infine, e’ il rilievo dell’ odierno resistente, il quale sostiene che, in ogni caso, l’azione giudiziaria da esso proposta sarebbe tempestiva, dovendo aversi riguardo, a tal fine, non gia’ alla data di presentazione del ricorso amministrativo, bensi’ a quella della sua ricezione da parte della autorita’ preposta alla decisione (nella specie, il 22.4.1998, come attestato dalla ricevuta di ritorno della raccomandata di spedizione dell’atto alla Commissione centrale, che si dice prodotta nel giudizio di merito).

Trattandosi, invero, di questione giuridica che implica un accertamento di fatto e che non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il resistente aveva l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione davanti al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente l’avesse fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare “ex actis” la veridicita’ dell’ asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr., fra tante, Cass. n. 20518 del 2008). E cio’ senza trascurare che il P. si limita ad affermare, del tutto genericamente, che il documento su cui fonda la propria difesa sarebbe rinvenibile “nel fascicolo di secondo grado” , ma omette di trascriverne il contenuto nel controricorso, anche sotto questo profilo contravvenendo a un preciso onere che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, grava – giusta il principio di autosufficienza dell’atto – sia sul ricorrente per cassazione che sul resistente, essendo istituzionalmente vietato al giudice di legittimita’ di ricercare direttamente le prove nei fascicoli del giudizio di merito o di compiere indagini integrative rispetto ai fatti prospettati dalle parti (cfr., fra tante, Cass. n. 6972 del 2005, n. 4840 del 2006, n. 14973 del 2006, n. 653 del 2007, n. 11460 del 2007).

14. In conclusione, il primo motivo del ricorso dell’INPS va accolto, restando assorbite le ulteriori censure proposte dall’Istituto. Per l’effetto va cassata la sentenza impugnata, mentre la causa puo’ essere decisa direttamente nel merito da questa Corte (art. 384 c.p.c., comma 2) con il rigetto della domanda del P..

15. Nulla deve disporsi relativamente alle spese dell’intero processo ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 269 del 2003, nella specie inapplicabile ratione temporis).

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il primo motivo di ricorso con assorbimento degli altri.

Cassa la sentenza impugnata e,decidendo nel merito, rigetta la domanda. Nulla per le spese dell’intero processo.

Cosi’ deciso in Roma, il 26 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2010

 

 

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