Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17226 del 11/08/2011

Cassazione civile sez. II, 11/08/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 11/08/2011), n.17226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32055/2005 proposto da:

C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA BUCCARI 11, presso lo studio dell’avvocato PECORARO

FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avvocato FAUGNO Massimo;

– ricorrente –

contro

U.A. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 152/2005 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 02/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2011 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito il P.M., persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, e ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. U.A. conveniva C.G. dinanzi al Pretore di Chieti, sezione distaccata di Francavilla, deducendo d’essere proprietario d’una villetta a schiera confinante con quella del convenuto; che i due immobili erano dotati anche di un giardino ciascuno, a loro volta confinanti ed in origine comunicanti; che da ultimo il convenuto aveva provveduto a dividere le due porzioni, erigendo una rete, ma così facendo s’era appropriato di una parte del suo terreno; che le parti avevano a suo tempo acquistato gli immobili dal costruttore (la s.n.c. Delta), ma che agli atti non era stata allegata alcuna planimetria che consentisse di individuare le rispettive porzioni di giardino; che a tale ultimo fine non erano neppure utilizzabili le piantine che il costruttore aveva depositato presso il catasto, posto che le stesse presentavano evidenti segni di manomissione: dovevano perciò essere utilizzate le piantine che il costruttore aveva depositato presso il Comune di Francavilla, per il rilascio del certificato di abitabilità.

Ciò posto, chiedeva che sulla base di quei documenti venisse giudizialmente accertata la linea di confine e che il C. fosse condannato a restituire la porzione di terreno illecitamente occupata.

Si costituiva il convenuto il quale chiedeva il rigetto della domanda, osservando che per determinare la linea di confine tra i fondi occorreva fare riferimento alle mappe catastali.

Con sentenza del 6 febbraio 98 il Tribunale di Chieti, subentrato al Pretore, condannava il convenuto a rilasciare il terreno occupato, pur avendo identificato la linea di confine con quella di fatto.

Con sentenza dep. il 2 marzo 2005 la Corte di appello di L’Aquila, in accoglimento dell’impugnazione incidentale proposta dall’attore, accertava che la linea di confine andava individuata in base alla planimetria di cui all’allegato 5 della consulenza tecnica d’ufficio;

rigettava l’appello principale.

Dopo avere rilevato che agli atti di acquisto delle parti non era allegata alcuna planimetria nè dagli stessi era possibile determinare il confine, i Giudici di appello osservavano che la documentazione depositata il 31-1-1991 dalla società costruttrice presso l’U.T.E. di Chieti era risultata manomessa, mentre la medesima documentazione depositata il 15-5-1991 presso il Comune di Francavilla per il rilascio di abitabilità consentiva di stabilire la linea di confine e lo sconfinamento operato dal convenuto che era pertanto condannato a restituire la porzione di giardino illecitamente occupata.

2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il C. sulla base di un unico motivo.

Non ha svolto attività difensiva l’intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 221 e 61 cod. proc. civ., nonchè omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, deduce che la planimetria depositata in data successiva presso il Comune – e dalla Corte di appello posta a base della decisione – non poteva inficiare quella originaria depositata per l’accatastamento, trattandosi della medesima planimetria presentata in tempi diversi a due organi diversi; censura la decisione gravata laddove non aveva accolto le conclusioni del consulente tecnico, secondo cui il raffronto fra lo stato dei luoghi e quello ricavato dalla situazione tavolare non evidenziava sostanziali variazioni o differenze. Il consulente aveva poi formulato considerazioni gratuite in ordine alla manomissione della documentazione depositata al catasto, pur non essendo un grafologo inducendo in errore i Giudici; peraltro aveva detto che erano “buone”, riferendosi alle planimetrie, le mappe catastali che, fino a prova contraria, cioè a querela di falso, erano da ritenersi inconfutabili: “nelle conclusioni si legge che la linea di confine reale è quella rappresentata dalla spezzata 4-5-18-13 sulla base delle risultanze del sopralluogo e quella catastale non è attendibile e quindi qual’è la linea di confine di fatto”.

1.1. Il motivo è infondato.

La sentenza, nel determinare la linea di confine, ha dato rilevanza decisiva alla planimetria depositata presso il Comune sul rilievo che, proprio perchè si trattava della medesima planimetria depositata presso il catasto, la stessa non presentava segni di manomissione che invece erano presenti in quest’ ultima.

Il ricorrente, che pure lamenta la mancata adesione alle conclusioni del consulente, censura l’accertamento che peraltro è stato compiuto dalla sentenza impugnata proprio sulla base delle indagini e dei dati forniti dal consulente che ancora vengono criticati con il ricorso laddove il consulente aveva fatto riferimento all’avvenuta manomissione delle mappe catastali.

Orbene, la doglianza si risolve nella censura dell’apprezzamento del materiale probatorio laddove la sentenza – nel procedere alla complessiva valutazione delle contrastanti risultanze istruttorie nell’ambito del giudizio riservato al giudice di merito – ha dato prevalenza alla documentazione priva di manomissione, giudicandola perciò attendibile; d’altra parte, il riferimento alla querela di falso, appare del tutto fuori luogo posto che le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite (come nella specie la documentazione esaminata) costituiscono meri indizi, liberamente valutabili dal giudice e contestabili dalle parti senza necessità di ricorrere alla disciplina prevista in tema di querela di falso o disconoscimento di scrittura privata autenticata. Ne consegue che, sorta controversia sulla autenticità di tali documenti, in applicazione del generale principio di cui all’art. 2697 c.c., l’onere di provarne la genuinità grava su chi la invoca.

Il motivo, che da un lato critica la sentenza per non avere accolto le conclusioni del consulente e poi, dall’altro, censura le considerazioni del consulente invece recepite dalla sentenza impugnata, è privo di autosufficienza laddove non riporta i passi salienti della consulenza tecnica, dovendo qui ricordarsi che, in relazione al vizio di motivazione per omesso o erroneo esame di un documento, di una prova o della consulenza tecnica d’ufficio, il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del motivo di censura, di riprodurre nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza del medesimo, il documento o la prova nella sua integrità ovvero i passi salienti della consulenza tecnica in modo da consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di verificare la decisività della censura (Cass. 14973/2006; 12984/2006; 7610/2006; 10576/2003), tenuto conto che in proposito occorre dimostrare la certezza e non la probabilità che, ove essi fossero stati presi in considerazione, la decisione sarebbe stata diversa.

In realtà la doglianza pur facendo riferimento a violazioni di legge e a vizi di motivazione, da cui la sentenza è immune, si risolve nella censura dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie, che è evidentemente oggetto dell’indagine di fatto riservata al giudice di merito.

Il ricorso va rigettato. Non va adottata alcuna statuizione in ordine alla regolamentazione delle spese relative alla presente fase,non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2011

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