Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17225 del 22/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 22/07/2010, (ud. 11/05/2010, dep. 22/07/2010), n.17225

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via R. R.

Pereira n. 202, presso lo studio dell’Avv. Boffa Franco, che lo

rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via M. Prestinari

n. 15, presso lo studio dell’Avv. Fusillo antonio, che lo rappresenta

e difende, unitamente e disgiuntamente, con gli Avv.ti Giuseppe Speri

e Luisella Speccher Speri del foro di Rovereto come da procura a

margine del ricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 80/05 della Corte di Appello di

Trento del 20.10.2005 2.12.2005 nella causa iscritta al n. 58 R.G.

dell’anno 2005.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 11.05.2010 dal

Cons. Dott. Alessandro De Renzis;

udito l’Avv. Franco Boffa per il ricorrente;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. FUCCI

Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso, depositato il 13.12.2004, D.S. proponeva opposizione contro il decreto ingiuntivo n. 307/2004, con il quale P.G. gli aveva intimato il pagamento della somma di Euro 75.150,00, oltre accessori, a titolo di provvigioni, indennita’ di cessazione del rapporto, clientela ed indennita’ sostitutiva di preavviso. Il tutto in relazione a rapporto intrattenuto da P. in qualita’ di agente della Dino S.r.l. (poi trasformatasi in SAS) per il Triveneto dall’agosto 1995 al luglio 1998.

L’opponente sosteneva che nella fattispecie si ravvisavano i presupposti di cui all’art. 650 c.p.c. legittimanti l’opposizione tardiva; eccepiva quindi l’improcedibilita’ del decreto ingiuntivo, in quanto emesso nei confronti di soggetto terzo rispetto alle parti risultanti dal titolo esecutivo, costituito dalla sentenza del Tribunale di Rovereto n. 20/2001 del 29.03.2001, emessa nei confronti del Pora e della Dino S.r.l.

Nel merito l’opponente deduceva il proprio difetto di legittimazione passiva in relazione alle pretese avanzate dal P. e, in via subordinata, l’infondatezza del credito azionato in via monitoria.

All’esito il Tribunale di Rovereto con sentenza n. 24 del 2005 dichiarava l’inammissibilita’ del ricorso per tardivita’ dell’opposizione a decreto ingiuntivo.

Tale decisione, appellata da D.S., e’ stata confermata dalla Corte di Appello di Trento con sentenza n. 80 di 2005, la quale ha ritenuto non sussistenti i presupposti, concernenti il caso fortuito o la forza maggiore, dell’opposizione tardiva.

La Corte trentina ha sostenuto che dalla ricostruzione dei fatti, rappresentata dall’opponente, emergeva che il decreto ingiuntivo opposto gli era stato notificato ex art. 140 c.p.c. in Roma, Via dell’Appia Antica n. 249/B, in data 3.09.2004 e che la tempestiva mancata conoscenza fu dovuta al comportamento distratto della figlia, la quale aveva male valutato la portata dell’atto. In tale quadro probatorio – ha aggiunto la Corte – era irrilevante l’argomento dedotto dall’appellante circa la mancata affissione dell’avviso sulla porta dell’abitazione, essendo superata tale irregolarita’ dalla spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento, prevista dall’art. 140 c.p.c..

Neppure, secondo la Corte territoriale, aveva rilevanza la contestazione riguardante l’erronea indicazione della persona obbligata, trattandosi di questione attinente al merito , che restava preclusa dalla preliminare statuizione di inammissibilita’.

D.S. propone ricorso per cassazione contro la sentenza di appello con tre motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c. Il P. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 633 e 641 c.p.c., degli artt. 99, 101, 112, 323 c.p.c., nonche’ vizio di motivazione sui primi tre motivi dell’appello.

In particolare il ricorrente deduce l’erronea esclusione da parte del giudice di appello dell’inesistenza – nullita’ – invalidita’ – annullabilita’ del ricorso e del decreto ingiuntivo per essere stata rivolta al giudice del provvedimento monitorio domanda di competenza del giudice ordinario (in primo grado o in appello), con sottoposizione quindi in sede monitoria di questioni attinenti alla legittimazione passiva o al difetto di titolarita’ del rapporto senza il rispetto del principio del contraddittorio.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia illogica, omissiva affermazione che l’esame della contestazione, riguardante l’erronea individuazione della persona obbligata (e quindi del rapporto dedotto in giudizio), attenendo al merito dell’opposizione, e’ precluso dalla statuizione di tardivita’ del ricorso ex art. 650 c.p.c.. Gli esposti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro intima connessione, sono infondati. Invero la dedotta nullita’ o inesistenza del decreto ingiuntivo in questione, emesso dal Presidente del Tribunale di Rovereto su istanza del P., non e’ stata riscontrata dai giudici di merito, in quanto il provvedimento monitorio conteneva tutti i requisiti di cui all’art. 633 c.p.c., ivi compresa la prova scritta del credito vantato, e il difetto di legittimazione passiva, eccepito da D.S., attenendo al merito, avrebbe dovuto essere fatto valere con l’opposizione rituale.

Sul punto quindi la sentenza impugnata e’ immune da vizi logici e giuridici.

Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza di appello per insufficiente e illogica limitazione del caso fortuito e della forza maggiore ad eventi estranei alla volonta’ umana, sostenendo che nel caso di specie erroneamente il giudice di appello ha valutato la condotta della figlia, che non avrebbe potuto essere identificata con quella del padre, potendo essere ritenuta un elemento integrante proprio il caso fortuito o forza maggiore, per avere in concreto impedito la tempestiva conoscenza del decreto ingiuntivo.

Anche questa censura e’ priva di pregio e non merita di essere condivisa.

L’impugnata sentenza con valutazione adeguata e logica ha ricostruito i fatti sulla base di quanto prospettato dall’opponente e ha ritenuto che, in relazione al comportamento negligente della figlia dell’opponente, non sussistessero i presupposti dell’opposizione tardiva.

Tale valutazione e’ rispettosa del dettato normativo di cui all’art. 650 c.p.c. e conforme anche al consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale ai fini dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo la forza maggiore ed il caso fortuito si identificano, rispettivamente, in una forza esterna ostativa in modo assoluto ed in fatto di carattere oggettivo avulso dalla volonta’ umana e causativo dell’evento per forza propria. Tali circostanze:

non sono invocabili nell’ipotesi di mancata conoscenza del decreto determinata da assenza dalla propria residenza, configurandosi l’allontanamento come fatto volontario ed essendo imputabile all’assente il mancato uso di cautele idonee a permettere la ricezione o almeno la conoscenza delle missive pervenutegli nel periodo di assenza (Cass. n. 25737 del 24 ottobre 2008; in senso conforme Cass. n. 3769 de 2001). Ne’ risulta che il ricorrente abbia dedotto o allegato prove a sostegno delle cautele adottate.

D’altro canto il giudice di appello ha sufficientemente spiegato, come gia’ detto, che nel caso di specie non si ravvisava alcuna nullita’ o inesistenza della notificazione, essendo stata effettuata la notificazione presso l’abitazione dell’opponente e potendosi ritenere la mancata affissione dell’avviso sulla porta della stessa abitazione come una mera irregolarita’, superata dalla spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento, prevista dall’art. 140 c.p.c..

3. In conclusione il ricorso e’ destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 20,00, oltre Euro 2.500,00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Cosi’ deciso in Roma, il 11 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2010

 

 

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