Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17223 del 11/08/2011

Cassazione civile sez. II, 11/08/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 11/08/2011), n.17223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17807/2009 proposto da:

P.M. (OMISSIS), D.M.M.T.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell’avvocato MANDRA’ LIDIA,

rappresentati e difesi dall’avvocato ERAMO Giuseppe;

– ricorrente –

contro

P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CHIANA 48, presso lo studio dell’avvocato ALEANDRI STEFANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato QUADRINI Gianpiero;

– controricorrente –

e contro

V.L., P.D. (OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

P.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato COZZI ARIELLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato BALDASSINI ROCCO;

– ricorrente incidentale –

e contro

V.L., P.A. (OMISSIS), D.M.M.

T. (OMISSIS), P.M. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 2407/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2011 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato ERAMO Giuseppe, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto accoglimento del ricorso e della memoria;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I coniugi P.M. e D.M.M.T. convenivano in giudizio davanti il Tribunale di Cassino V.L., P. A. e P.D. proponendo domanda di indennizzo ex art. 936 cod. civ., per le opere di ampliamento e rifinitura dagli istanti realizzate nel fabbricato rurale sito in (OMISSIS), insistente sul fondo di proprietà dei coniugi P.G. (deceduto) e V.L., genitori dell’attore M. e dei convenuti P.A. e P. D..

A sostegno della domanda, gli attori specificavano che: le predette opere erano state realizzate dal 1974 al 1985 dal solo P. M. e in seguito, fino al 1995, da entrambi i coniugi, con il consenso dei proprietari e con l’accordo (disatteso) che l’immobile sarebbe stato donato agli stessi attori; a seguito del decesso di P.G. in data (OMISSIS), l’immobile era caduto in successione, insieme ad altri beni mobili e immobili, ripartendosi pro quota tra le parti in causa.

I convenuti si costituivano in giudizio contestando la fondatezza della domanda; chiedevano in via riconvenzionale l’apertura della successione di P.G. e la divisione ereditaria.

Con sentenza in data 3 dicembre 2003, il Tribunale: a) rigettava l’eccezione di inammissibilità della domanda riconvenzionale; b) rigettava la domanda proposta da P.M. e D.M.M. T.; c) dichiarava inammissibili le domande proposte da P. M. con le note autorizzate del 18.7.1997; d) dichiarava inammissibili le domande di riduzione delle disposizioni dell’atto di donazione, del 25.11.1991 e di divisione di ulteriori beni mobili proposte da P.D. con la comparsa di costituzione del 17.6.2003; e) disponeva la prosecuzione del giudizio in ordine alla domanda riconvenzionale di divisione ereditaria; f)condannava gli attori al pagamento delle spese di lite sostenute dai convenuti.

Con sentenza dep. il 10 giugno 2008 la Corte di appello di Roma rigettava l’impugnazione principale proposta dagli attori e dichiarava inammissibile quella incidentale spiegata da P. D..

Per quel che interessa nella presente sede, i Giudici di appello, dopo avere premesso che P.M. aveva acquistato la qualità di chiamato all’eredità soltanto dal 1981 e che, pertanto, per il periodo precedente aveva assunto la qualità di terzo prevista dall’art. 936 citato, ritenevano che l’istruttoria espletata in primo grado non aveva consentito di stabilire quali opere avesse realizzato l’attore sia prima che dopo il 1991 nè quali spese avesse il medesimo sopportato; in particolare, dalle risultanze della prova testimoniale, secondo quanto emerso dalla motivazione della decisione di primo grado (il fascicolo d’ufficio conteneva soltanto alcuni dei verbali di udienza) non era emerso che l’attore avesse realizzato i lavori di ampliamento del fabbricato, mentre per le opere di rifinitura che, secondo le deposizioni, sarebbero state effettuate dall’attore, non era stata dimostrata la consistenza nè l’entità delle spese al riguardo sostenute: non potendo scorporare dal computo metrico prodotto dagli istanti quali e quante opere fossero state effettivamente eseguite dai medesimi, dallo stesso non potevano ricavarsi elementi utili.

Veniva infine respinto il motivo di appello con cui gli appellanti principali avevano censurato la declaratoria di inammissibilità della domanda proposta con le note del 18-7-1997 dai medesimi presentata.

L’impugnazione incidentale era dichiarata inammissibile sul rilievo che non era stata presentata nel termine previsto, a pena di decadenza, dall’art. 343 cod. proc. civ..

Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione P. M. e D.M.M.T. sulla base di cinque motivi illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi P.A. e P. D., quest’ultimo proponendo ricorso incidentale affidato a un unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, ex art. 335 cod. proc. civ., perchè sono stati proposti avverso la stessa sentenza.

1. Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando erronea valutazione delle risultanze processuali, vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 347 cod. proc. civ., art. 123 disp. att. cod. proc. civ., denunciano l’omesso esame dei verbali di causa di cui al fascicolo d’ufficio di primo grado che non era stato acquisito agli atti, sicchè – nonostante le deduzioni formulate con l’atto di appello – la Corte non aveva potuto procedere al riesame della prova testimoniale, essendosi limitata a valutare soltanto alcune delle deposizioni, cioè quelle contenute nei soli verbali acquisiti agli atti. La Corte avrebbe dovuto chiedere il fascicolo d’ufficio e comunque non trovava applicazione alla specie l’art. 123 disp. att. cod. proc. civ., tenuto conto che la sentenza emessa dal Tribunale doveva considerarsi definitiva.

Pertanto, chiedono alla Corte, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., se:

“Se nel caso di appello avverso una sentenza non definitiva, a fronte di specifica richiesta di riesame dell’intero quadro probatorio, il Giudice del gravame possa e debba procedere ad una valutai ione diretta delle fonti di prova già assunte in primo grado, al fine di quanto chiesto e quindi debba chiedere ex art. 123 bis disp. att. cod. proc. civ., la trasmissione del fascicolo ai sensi dell’art. 347 cod. proc. civ., ovvero ordinarne la produzione alla parte interessata.

Se il combinato disposto di cui all’art. 123 bis disp. att. cod. proc. e art. 347 cod. proc. civ., debba applicarsi necessariamente anche a quelle sentenze parziali chti benchè indicate come tali, vanno qualificate come definitive allorchè definiscono compietamente nel merito una o più domande.

I iquidando anche le spese di lite, rimettendo la causa sul ruolo per l’istruzione di altre e diverse questioni da quella cosi decisa”.

Il motivo è inammissibile.

Ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, ratione temporis applicabile, i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati,a pena di inammissibilità (art. 375 cod. proc. civ., n. 5) dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1), 2), 3), 4), e qualora il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

A. Orbene, nel caso di violazioni denunciate ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 1), 2), 3), 4), il motivo deve concludersi con la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (SU 23732/07): non può, infatti, ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie, perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., secondo cui è,invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre all’effetto deflattivo del carico pendente, aveva inteso valorizzare, secondo quanto formulato in maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato sopra richiamato.

In tal modo il legislatore si era proposto l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati. In effetti, la ratio ispiratrice dell’art. 366 bis cod. proc. civ., era quella di assicurare pienamente la funzione, del tutto peculiare, del ricorso per cassazione, che non è solo quella di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una corretta decisione di quella controversia ma anche di enucleare il corretto principio di diritto applicabile in casi simili.

B. Analogamente, nell’ipotesi in cui il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto),separatamente indicato in una parte del ricorso a ciò specificamente deputata e distinta dall’esposizione del motivo, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (S.U. 20603/07). In tal caso, l’illustrazione del motivo deve contenere la indicazione del fatto controverso con la precisazione del vizio del procedimento logico-giuridico che, incidendo nella erronea ricostruzione del fatto, sia stato determinante della decisione impugnata. Pertanto, non è sufficiente che il fatto controverso sia indicato nel motivo o possa desumersi dalla sua esposizione. La norma aveva evidentemente la finalità di consentire la verifica che la denuncia sia ricondotta nell’ambito delle attribuzioni conferite dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, al giudice di legittimità, che deve accertare la correttezza dell’iter logico-giuridico seguito dal giudice esclusivamente attraverso l’analisi del provvedimento impugnato, non essendo compito del giudice di legittimità quello di controllare l’esattezza o la corrispondenza della decisione attraverso l’esame e la valutazione delle risultanze processuali che non sono consentiti alla Corte, ad eccezione dei casi in cui essa è anche giudice del fatto. Si era, così, inteso precludere l’esame di ricorsi che, stravolgendo il ruolo e la funzione della Corte di Cassazione, sollecitano al giudice di legittimità un inammissibile riesame del merito della causa.

Nella specie, il “quesito” formulato è del tutto inconferente.

In sostanza la doglianza, censurando la mancata valutazione delle deposizioni testimoniali verbalizzate nel fascicolo d’ufficio non acquisito, deduce il vizio di motivazione per omesso esame delle prove decisive, di cui con l’atto di appello si sarebbe invocata l’erronea o mancata valutazione da parte del giudice di primo grado:

dunque, i ricorrenti denunciano la erronea ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di merito, che in sede di legittimità è censurabile ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5. Ciò posto, e considerato che l’acquisizione del fascicolo d’ufficio è rimessa alla discrezionalità del giudice di appello, il motivo non contiene la sintesi del fatto controverso ovvero la specificazione degli elementi di prova decisivi indicati nell’atto di appello ed erroneamente o non esaminati dal Tribunale: in sostanza, il motivo si sarebbe dovuto concludere con la indicazione di quelle circostanze specificamente menzionate nei motivi di appello – motivi, peraltro, che avrebbero dovuto essere trascritti nel ricorso – in modo da dimostrare il carattere decisivo di tali circostanze ovvero che il loro esame avrebbe con certezza portato a una diversa soluzione della controversia; al riguardo, appare generica e non determinante al fine di individuare il vizio di motivazione, la richiesta di valutazione dell’ intero quadro probatorio che sarebbe stata formulata con il gravame, così come del tutto ininfluente per le stesse ragioni, è la istanza di verifica dei presupposti di cui all’art. 123 bis disp. att. e art. 347 cod. proc. civ..

2.1. Il secondo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata che aveva rigettato la domanda, non essendo dato comprendere se la decisione si fosse basata sulle stesse considerazioni e argomentazioni del Tribunale o non avesse piuttosto fondato il proprio convincimento sulle dichiarazioni rese dai convenuti; la motivazione era risultata carente, in quanto la decisione non aveva proceduto al richiesto esame del materiale probatorio in ordine alla posizione sostanziale delle parti, non aveva esaminato la relazione e il computo metrico prodotti dagli attori, pur avendo lo stesso trovato conferma nell’accertamento compiuto dal c.t.u. e non contestato da alcuno. La sentenza era caduta in errore quando non aveva considerato che gli attori avevano agito chiedendo gli esborsi per i lavori di ampliamento ex novo del fabbricato de quo, e non per lavori di ristrutturazione, e dei quali era stata fornita la prova.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Anche il secondo motivo in sostanza denuncia la ricostruzione in fatto compiuta dalla sentenza impugnata che, come si è detto sopra, in sede di legittimità è censurabile sotto il profilo del vizio di motivazione. Ai sensi dell’art. 366 bis citato, manca la sintesi contenente la indicazione del fatto controverso e la precisazione del vizio del procedimento logico-giuridico: infatti, il motivo non specifica i fatti e le ragioni dai quali dovrebbe ricavarsi l’illogicità della motivazione, concludendosi con il generico riferimento all’assiomatica e non meglio precisata incongruità delle motivazioni in ordine alle predette relazioni tecniche, oltrechè a quanto dedotto con il primo motivo.

3. Il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., deduce che la sentenza impugnata non si era pronunciata sulla domanda di indennizzo ex art. 936 cod. civ., proposta da D.M.T., sulla quale avrebbe dovuto decidere separatamente indipendentemente dalla decisione sulla domanda del marito, attesa la diversità delle posizioni sostanziali.

I ricorrenti formulano il seguente quesito: “Se il giudice a cui è stata formulata una identica domanda in favore di due soggetti – persone fisiche diverse fra loro, anche per posizione di diritto sostanziale vantata in giudizio rispetto alle parti convenute, incorra nell’omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ., qualora non esamini e qualifichi separatamente la domanda dei medesimi soggetti-persone fisiche e non si pronunci separatamente in proposito; se nel caso in cui una identica domanda di credito venga avanzata da due coniugi, possa farsi ricorso alle presunzioni in favore di quello, nel caso la moglie, che non ha partecipato in prima persona alle trattative e/o ai fatti dedotti in giudizio ma che, nell’economia familiare, ha sostenuto gli stessi esborsi del marito o se invece, occorra la prova rigorosa della fondatezza del diritto per entrambi”.

3.1. Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 “bis” cod. proc. civ.: la formulazione del quesito di diritto si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta; inoltre la risposta non consente di risolvere il caso “sub iudice”, attesa la genericità del quesito che è privo di alcun riferimento concreto alla posizione delle parti e alle risultanze processuali.

4. Il quarto motivo denuncia l’omessa pronuncia in merito alla posizione della convenuta V. la quale era comproprie tarla dell’immobile de quo.

I ricorrenti formulano il seguente quesito:”se in un giudizio in cui sono convenute più persone fisiche, portatrici di interessi e posizioni sostanziali in parte analoghe e in parte differenti;

tra loro (nella fattispecie, di cui una chiamata sia in proprio, quale proprietaria di alcuni cespiti che in relazione alla chiamata alla successione del defunto coniuge) il Giudice incorra nell’omessa pronuncia e nella violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c. qualora non interpreti il petitum e la causa petendi sottesi alla domanda attrice avendo riguardo alla diversità delle posizioni sostanziali afferenti ad ogni convenuto e non statuisca separatamente in merito, neanche implicitamente”.

4.1. Il motivo è inammissibile, dovendo qui ribadirsi le considerazioni formulate a proposito del motivo precedente in merito alla inadeguatezza del quesito.

5. Il quinto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 cod. proc. civ.), deduce che, ove si volesse ritenere che la sentenza avesse rigettato implicitamente la domanda proposta nei confronti della V., la decisione sarebbe comunque affetta dal vizio di motivazione per avere i Giudici omesso di valutare le emergenze istruttorie relativamente alla qualità della predetta di comproprietaria per dei cespiti oggetto del giudizio.

5.1. Anche questo motivo è inammissibile, perchè non contiene la indicazione del fatto controverso, non essendo indicati quali sarebbero gli elementi di prova di cui sarebbe stato omesso l’esame.

RICORSO INCIDENTALE Il ricorso incidentale censura la sentenza impugnata laddove aveva dichiarato inammissibili le domande proposte nelle note autorizzate del 18-7-1989.

Il ricorso è inammissibile.

Il resistente non censura la ratio decidendi della sentenza impugnata che aveva dichiarato inammissibile l’appello incidentale dal medesimo proposto.

Le spese della presente fase vanno poste a carico del ricorrente e del resistente P.M. a favore di P.A., atteso il comune interesse nella causa.

PQM

Riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili.

Condanna il ricorrente e il resistente in solido al pagamento in favore della resistente P.A. delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2011

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