Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17222 del 11/08/2011

Cassazione civile sez. II, 11/08/2011, (ud. 18/05/2011, dep. 11/08/2011), n.17222

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30702/2005 proposto da:

B.G. (OMISSIS), A.G.

(OMISSIS), B.D. (OMISSIS) quale erede di

B.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA RUGGERO

FAURO 102, presso lo studio dell’avvocato ROMAGNOLI Italo,

rappresentati e difesi dall’avvocato OLIVA POMPEO;

– ricorrenti –

contro

CONSORZIO AREA SVILUPPO INDUSTRIALE MESSINA C.F. (OMISSIS), in

persona del Direttore Generale Dott. I.S.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 180, presso lo

studio dell’avvocato MARCHETTI ALBERTO, rappresentato e difeso

dall’avvocato SAITTA Giuseppe;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 197/2005 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 31/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato COSTI Daniele, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato OLIVA Pompeo, difensore dei ricorrenti che ha chiesto

accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato SAITTA Giuseppe difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della provincia di Messina, con atto del 12 giugno 1991 proponeva, davanti al Tribunale di Messina, opposizione al decreto ingiuntivo, emessa dal Presidente di quel Tribunale, con il quale, su istanza dell’arch. A. G. e B.B., era stato ingiunto al consorzio il pagamento della somma di L. 80.180.415 per attività professionale svolta, degli opposti.

Si costituivano A.G. e B.B., che chiedevano il rigetto dell’opposizione. Il Tribunale di Messina revocava l’opposta ingiunzione, rideterminava il credito vantato dai professionisti in L. 34.730.000 e condannava il Consorzio al pagamento della superiore somma.

Proponeva appello il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della provincia di Messina per diversi motivi.

Si costituivano l’arch. G.A., il notaio B. G. e il Dott. B.F., questi ultimi quali eredi di B.B., i quali contestavano le argomentazioni dell’appellante e chiedevano, con appello | incidentale, in riforma della sentenza di primo grado, la conferma dell’originario decreto ingiuntivo del 12 giugno 1991.

La Corte di Appello di Messina, con sentenza n. 197 del 2005, intanto, procedeva alla correzione della sentenza di primo grado laddove nell’intestazione e nel dispositivo indicava quale opponente B.B., anche dopo la costituzione in giudizio di B.F. e G., eredi universali di B. B.. Nel merito dichiarava inesistente il credito di L. 34.730.000 riconosciuto dal Tribunale ai professionisti di cui sopra ed, ad un tempo, dichiarava che il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della provincia di Messina non doveva somma alcuna ai professionisti indicati; dichiarava compensate le spese de giudizio e condannava A.G., B.F. e B.G. a restituire al Consorzio eventuali somme ricevute in esecuzione della sentenza di primo grado. A sostegno di questa decisione, la Corte messinese osservava:

a) che i professionisti avevano riscosso quanto era loro dovuto in ragione dell’accordo contrattuale del 28 novembre 1986 registrato il 9 febbraio 1987 e dalla P.A. reso esecutivo con Delib. n. 196 e che all’art. 8 determinava il compenso in L. 108.800.000, comprensive delle spese tutte nessuna esclusa e delle competenze tecniche, dette pur esse onnicomprensive, e che vengono considerate remunerative a tutti gli effetti non sono suscettibili di modifica per alcuna ragione.

La cassazione della sentenza n. 197 del 2005 è stata chiesta da A.G., B.G., B.D., quale erede di B.f. con ricorso affidato a tre motivi. Il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della provincia di Messina ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, questa Corte osserva che il ricorso in esame presenta una numerazione dei motivi non corretta perchè, nonostante siano stati formulati tre motivi di ricorso, l’ultimo motivo (che a ben vedere corrisponde al terzo) è stato numerato come se fosse un quarto motivo.

1.- Con il primo motivo A.G., B.G., B.D. lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost., nonchè dell’art. 2233 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte territoriale, secondo i ricorrenti, non avrebbe considerato che la somma di 34.730.000 riconosciuta dal primo giudice di merito, e ricompresa nella parcella definitiva del 12.2.1989, costituiva l’ulteriore compenso rispetto al compenso di cui alla parcella, i preventiva del 17 gennaio 1987, dovuto ai professionisti in rapporto alle prestazioni effettivamente svolte nell’esecuzione dell’incarico della redazione del Piano Particolareggiato dell’Agglomerato Industriale di Patti. Osservano, ancora i ricorrenti, a) che le ulteriori prestazioni sono state rese necessarie per il conseguimento del risultato commissionato, b) che l’esecuzione delle prestazioni per le quali è controversia, non è stata contestata dal Consorzio;

c) che il parere di congruità dell’Ordine Professionale costituiva prova della legittimità della pretesa conseguente ad un’attività svolta nell’interelsse della parte mandante. Sicchè, per queste ragioni, secondo i ricorrenti, la Corte; messinese avrebbe operato una palese violazione della norma costituzionale che prevede per tutti i prestatori di lavoro il diritto al compenso nonchè, più in particolare, dell’art. 2233 c.c., che stabilisce la modalità di determinazione dei compensi derivanti dalla svolgimento di un’attività di opera intellettuale, quale quella oggetto del presente giudizio.

1.1.- La censura non merita di essere accolta perchè la Corte territoriale ha correttamente riferito al rapporto tra le parti (tra il Consorzio e i professionisti) le norme convenzionali, che le stesse parti liberamente avevano stabilito. Come viene specificato dalla sentenza impugnata il compenso per l’attività professionale era stato fissato con l’accordo contrattuale del 28 novembre 1986 e registrato il 9 febbraio 1987 e dalla PA. reso esecutivo con delibera n. 196. Tale accordo, poi, all’art. 8 stabiliva che il compenso di L. 108.800.000 era comprensivo delle spese tutte nessuna esclusa e delle competenze tecniche, dette anche queste onnicomprensive, considerate remunerative a tutti gli effetti e che non sono suscettibili di modifiche per alcuna ragione. La stesso articolo specificava, ancora, letteralmente “che il professionista dichiara di accettarle e si impegna a nulla pretendere oltre tale somma”.

1.2.- Per altro, appare opportuno osservare che il maggior compenso richiesto i dai professionisti -come gli stessi hanno evidenziato- non è correlato ad un’attività professionale autonoma rispetto all’attività professionale concordata tra gli stessi e il Consorzio ASI. Sono gli stessi ricorrenti ad affermare che il corretto svolgimento dell’incarico professionale ha reso necessarie ulteriori prestazioni rispetto a quelle inizialmente preventivate.

1.3.- Secondo un principio ribadito da questa Corte (Cass. sent. n. 21235 del 2009), che qui viene richiamato e confermato: il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera, solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art 2233 cod. civ., pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest’ultima, ed in ordine successivo, alle tariffe e agli usi ed, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all’art. 36 Cost., comma 1, applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato.

1.4.- A sua volta, il compenso stabilito convenzionalmente, nel rapporto tra privati e PA., ai sensi della L. n. 404 del 1977, art. 6, può prescindere dai limiti minimi stabiliti dalle tabelle professionali. La L. 1 luglio 1977, n. 404, art. 6 che (interpretando autenticamente l’articolo unico della L. 5 maggio 1976, n. 340) ha fissato il principio dell’inderogabilità dei minimi delle tariffe professionali degli ingegneri e degli architetti -, ne ha limitato l’applicazione ai rapporti intercorrenti tra privati, deve essere inteso nel senso che, nei rapporti tra ente pubblico e professionista privato cui il primo abbia affidato la progettazione di un’opera pubblica, sono validi gli accordi che prescindono dai limiti minimi stabiliti dalle tabelle, salvo comunque, ove sia certa la natura onerosa del rapporto, il diritto del professionista alla percezione di una somma a titolo di compenso, 2.- Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Avrebbe errato la Corte messinese, secondo i ricorrenti nel non aver considerato che il Consorzio a fronte della somma corrisposta di L. 108.800.000 avrebbe ricevuto una prestazione di valore superiore (corrispondente a L. 143.500.000) con suo conseguente arricchimento. Nel caso in esame, specificano i ricorrenti, la materiale effettuazione dell’opera e il riconoscimento implicito da parte del Consorzio delle utilità delle prestazioni di cui si è chiesto il maggior compenso, fanno sorgere l’obbligo del Consorzio di corrispondere il compenso richiesto. Il mancato pagamento della somma richiesta dai professionisti rappresenterebbe per la P.A. un indubbio ed j illegittimo arricchimento pari al valore delle prestazioni dagli stessi eseguite.

2.1.- Anche questa censura non merita di essere accolta, perchè nell’ipotesi di specie, il maggior compenso è stato chiesto quale adempimento di un’obbligazione contrattuale.

2.2.- A ben vedere, il Giudice di merito aveva il compito -che ha assolto- di accertare se l’opera professionale, oggetto della controversia, rientrasse nell’incarico conferito dal Consorzio ai professionisti e se per tale prestazione fosse stato pattuito un compenso e se il compenso pattuito fosse stato corrisposto. La Corte territoriale ha accertato che tutte le prestazioni svolte dai professionisti, odierni ricorrenti, e anche quelle in contestazione, rientravano come già si è detto- nell’incarico conferito e le stesse erano state compensate, mediante la corresponsione dell’intero compenso convenzionalmente pattuito. Sicchè, ammesso, pure, che questa azione sia stata correttamente proposta nelle fasi del giudizio di merito, le risultanze appena indicate escludono o non legittimano una diversa azione di arricchimento senza causa, avente ad oggetto le prestazioni che sono state correttamente compensate in esecuzione del contratto d’opera intercorso tra i professionisti e il Consorzio.

3.- Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa e/o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato, altresì, la Corte territoriale, secondo il ricorrenti, per aver ritenuto che la sentenza di primo grado, laddove riconosceva ai professionisti, il maggior compenso chiesto, fosse priva di motivazione quando, invece, la perizia aveva dato conferma della fondatezza e legittimità delle pretese avanzate dai progettisti. Di più, ritengono i ricorrenti, la Corte d’Appello avrebbe errato nell’aver ricercato un elemento (un presunto nuovo mandato conferito dall’Ente ai progettisti per lo svolgimento delle attività aggiuntive inserite nella parcella definitiva) sul quale in nessuna occasione l’arch. A. e l’ing. B. hanno inteso fondare le proprie domande. In sostanza, ritengono i ricorrenti, la Corte territoriale è incorsa in un grave errore sia nell’omettere di considerare i l’oggetto e le risultanze della CTU sia nell’aver ritenuto che le domande svolte dai professionisti fossero mancanti di prova perchè non era stato riscontrato un nuovo mandato giustificativo delle prestazioni per le quali si chiedeva il maggior compenso. Da qui deriva, secondo i ricorrenti, una sentenza, quella della Corte messinese, censurabile sotto il profilo della omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.

3.1.- Anche questa censura non merita di essere accolta perchè: a) rimane in buona parte superata da quanto è stato detto in merito agli altri due motivi; b) prospetta questioni di merito e sollecita una nuova e diversa valutazione delle risultanze probatorie, in particolare una nuova e diversa valutazione della CTU, che non può essere compiuta dal giudice di legittimità; c) ma e, soprattutto, perchè la decisione è adeguatamente motivata e sufficientemente chiara.

3.2.- La Corte messinese, a ben vedere, ha escluso il maggior compenso, richiesto dai professionisti, non solo perchè le prestazioni per le quali si chiedeva il maggior compenso facevano parte dell’incarico professionale per il quale era stato concordato un compenso complessivo di L. 108.800.000, ma, anche perchè la richiesta del maggior compenso non trovava giustificazione in altro e diverso accordo tra le parti.

In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannati al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, nella misura in cui verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi e oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2011

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