Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17215 del 19/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 19/08/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 19/08/2016), n.17215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3488-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui uffici domicilia in ROMA, alla VIA

DEI PORTOGHESI, 12;

– ricorrente –

contro

A.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEL TRITONE 102, presso lo studio dell’avvocato VITO

NANNA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2357/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 31/10/2014, R.G. N. 2584/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato GIAMMARIO ROCCHITTA;

udito l’Avvocato VITO NANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza 2357 del 14, ha rigettato in parte l’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di A.N. avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Bari. Il giudice di secondo grado confermava la statuizione con la quale veniva dichiarata l’illegittimità del licenziamento irrogato al ricorrente in ragione dell’incompetenza dell’organo che lo aveva adottato, e riformava in parte la regolamentazione delle spese di giudizio.

1.1. Il lavoratore era stato licenziato in data 11 settembre 2009, con provvedimento del Direttore Regionale Generale, per aver svolto attività incompatibili con la propria attività istituzionale, quale socio di fatto della Fiscalservice s.a.s.

1.2. Il Tribunale di Bari, con sentenza del 2 maggio 2012, accoglieva per quanto di ragione la impugnazione del licenziamento proposta dall’ A., ritenendo che sia l’atto di contestazione che il licenziamento erano stati adottati dal Direttore Generale incompetente in merito, e respingeva soltanto la richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali.

1.3. La Corte d’Appello richiamava il contenuto precettivo del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 4, secondo il quale “Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari. Tale ufficio, su segnalazione del capo della struttura in cui il dipendente lavora, contesta l’addebito al dipendente medesimo, istruisce il procedimento disciplinare e applica la sanzione. Quando le sanzioni da applicare siano rimprovero verbale e censura, il capo della struttura in cui il dipendente lavora provvede direttamente”. Affermava, quindi che, in ragione di quanto stabilito dal regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, per struttura si deve intendere la Direzione (centrale, regionale e provinciale), la quale, poi, al suo interno, è suddivisa in vari uffici. Il Capo della struttura dunque è il capo di una di quelle Direzioni. Da ciò discendeva che il responsabile della struttura era, nella specie il Direttore Regionale Generale, il quale non poteva disporre il licenziamento di competenza di un ufficio necessariamente distinto, secondo quanto previsto della disposizione sopra richiamata.

2. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre l’Agenzia delle Entrate con un articolato motivo di impugnazione.

3. Resiste con controricorso il lavoratore.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, occorre premettere che il controricorrente, nel contestare l’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, deduce che la stessa avrebbe introdotto “nova” in appello, assumendo la vigenza del D.M. 22 settembre 1995, che avrebbe prospettato come abrogato nelle difese di primo grado. Tale eccezione non può essere accolta per un duplice ordine di motivi.

In primo luogo il lavoratore, pur deducendo la novità degli elementi prospettati dalla ricorrente, non riproduce la difesa di primo grado della stessa posta a fondamento della propria deduzione. In secondo luogo, in materia di procedimento civile, l’applicazione del principio “iura novit curia”, di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, fa salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonchè all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (Cass., n. 12943 del 2012).

2. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Assume la ricorrente che il disposto del D.M. 22 settembre 1995, art. 1, come novellato dal D.M. 461/S, stabilisce che per la sanzione del licenziamento senza preavviso l’Ufficio istruttore è individuato, per il personale non dirigenziale in servizio presso gli Uffici periferici del Dipartimento delle Entrate, nella Direzione Regionale. Tale disposizione integra l’art. 55, comma 4, cit., che richiede che la fase istruttoria e quella decisoria facciano capo ad un unico ufficio, con la conseguenza che la Direzione regionale oltre a compiere l’istruttoria può irrogare la sanzione. Contesta quindi che il capo della struttura debba essere individuato nel Direttore Regionale e non nel capo dell’Ufficio locale.

2. Il motivo è fondato e deve essere accolto.

La fattispecie in esame, poichè il licenziamento è stato irrogato l’11 settembre 2009, è disciplinata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, in vigore dal 15 novembre 2009.

Come affermato da questa Corte (Cass., n.11632 del 2016), infatti, la regola del tempus regit actum va riferita, trattandosi di normativa regolante il procedimento disciplinare, al tempo del procedimento disciplinare.

Dispone il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 4, (nel testo vigente all’epoca dei fatti, prima della novella di cui al D.Lgs. n. 150 del 2009): “Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari. Tale ufficio, su segnalazione del capo della struttura in cui il dipendente lavora, contesta l’addebito al dipendente medesimo, istruisce il procedimento disciplinare e applica la sanzione. Quando le sanzioni da applicare siano rimprovero verbale e censura, il capo della struttura in cui il dipendente lavora provvede direttamente”.

Pertanto, in ragione della suddetta disciplina, in materia di pubblico impiego privatizzato, ciascuna amministrazione ha il potere di individuare, secondo il proprio ordinamento, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, sicchè esso non deve necessariamente essere integrato da un ufficio articolato e plurisoggettivo, ma può essere rappresentato anche da una sola persona, interna all’ente (Cass. 12245 del 2015).

Il contenuto della citata disposizione viene ripreso dalla giurisprudenza di questa Corte nel momento in cui statuisce che, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 cit., la violazione delle norme sulla competenza interna dell’ufficio per i procedimenti disciplinari implica nullità della sanzione applicata da altro soggetto (Cass., n. 27128 del 2013, n.16190 del 2011, n. 14628 del 2010). Si è poi chiarito che ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 4 cit., nel testo in vigore anteriormente alla novella di cui al D.Lgs. n. 150 del 2009, al capo della struttura ove il dipendente svolge le sue mansioni spetta non solo applicare la sanzione del rimprovero verbale o della censura, ma anche istruire il relativo procedimento disciplinare (Cass., n. 21646 del 2015), concentrandosi anche nel caso dell’applicazione delle sanzioni meno gravi, in un unico soggetto sia l’attività istruttoria che l’irrogazione della sanzione.

2.1. Nella specie, come dedotto dalla ricorrente, l’Amministrazione con il D.M. 22 settembre 1995, come modificato dal D.M. n. 461/S del 1996 aveva individuato l’Ufficio istruttore per le sanzioni, tra l’altro, del licenziamento con o senza preavviso, per il personale non dirigenziale in servizio presso gli Uffici periferici del Dipartimento delle entrate, a Direzione Regionale delle Entrate. Detto Ufficio istruttore provvedeva alla contestazione scritta dell’addebito, alla convocazione scritta del dipendente e all’irrogazione della sanzione.

Tale previsione, attuativa di quanto stabilito dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 59, non può intendersi abrogata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, nel testo anteriore al D.Lgs. n. 150 del 2009, che nella rubrica dell’art. 55, nel testo originario, peraltro, richiama il suddetto art. 59.

La stessa, invece, concorre a integrare la disciplina primaria in materia, in ragione della espressa previsione in tal senso contenuta nell’art. 55.

Deve in proposito richiamarsi quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 24828 del 2015, che sul punto può trovare applicazione anche riguardo alla fattispecie in esame disciplinata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, nel testo anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. n. 150 del 3009, che il Direttore Regionale, soggetto apicale al quale afferiscono tutti gli uffici presenti nella Direzione Regionale, non può identificarsi, come ritenuto dalla Corte d’Appello, nel capo della struttura presso la quale lavora il dipendente sottoposto al procedimento disciplinare.

L’identificazione dell’UPD con il Direttore Regionale, garantisce, per la posizione di vertice di quest’ultimo, un sufficiente distacco dalla struttura lavorativa alla quale è addetto il dipendente sottoposto a procedimento disciplinare. Viene così rispettata l’esigenza di evitare che la cognizione disciplinare avvenga nell’ambito dell’ufficio di appartenenza del lavoratore, ossia in un luogo dove lo stesso dirigente dell’ufficio ha un coinvolgimento diretto con l’autore dell’infrazione disciplinare, per cui appaiono infondate le allegazioni del ricorrente in punto violazione del principio di terzietà dell’Ufficio disciplinare.

Nè argomenti di segno contrario come esposto dalla Corte d’Appello, si traggono dalla mera terminologia lessicale del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate del Comitato direttivo n. 4 del 30 novembre 2000.

2.3. Tale interpretazione trova, peraltro, conforto in quanto previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, commi 2 e 4, come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2009, nonchè dalla disciplina regolamentare adottata in materia di procedimento disciplinare dall’Agenzia delle Entrate a seguito della suddetta riforma, secondo quanto affermato dalla suddetta Cass. n. 24828 del 2015.

2.4. Ed infatti, come si è accennato, questa Corte ha avuto modo di statuire, in fattispecie analoga a quella in esame (citata Cass., n. 24828 del 2015), sia pure regolata, ratione temporis, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis e dall’atto del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 2009/183775, con riferimento al personale non dirigente, che l’individuazione dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari (UPD), in forma monocratica, nella persona del Direttore Regionale della Direzione Regionale nella quale è compreso l’ufficio nel quale il dipendente presta servizio è una scelta assolutamente logica e coerente con i principi di buona amministrazione e di garanzia del diritto di difesa in quanto facilita, da un lato, l’espletamento dell’indagine disciplinare, e, dall’altro, il reperimento, anche da parte del lavoratore, degli eventuali elementi finalizzati a discolparsi.

2.5. Il ricorso deve essere accolto. La sentenza di appello deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2016

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