Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17213 del 18/08/2020

Cassazione civile sez. II, 18/08/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 18/08/2020), n.17213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6139-2016 proposto da:

N.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIOVANNI

PESCE, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in ROMA,

VIA PROBA PETRONIA 22;

– ricorrente –

contro

P.F., e P.A., rappresentati e difesi

dall’Avvocato FRANCESCO DI CIOLLO, ed elettivamente domiciliati,

presso lo studio dell’Avv. Pierluigi Panici, in ROMA, VIALE

GERMANICO 172;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

C.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato VIRGINIO

PALAZZO ed elettivamente domiciliato, presso lo studio dell’Avv.

Carmela Del Prete, in ROMA, VIALE dell’UMANESIMO 69;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

D.M.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIOVANNI DI

BERNARDO, ed elettivamente domiciliato, presso lo studio dell’Avv.

Massimo Muscella, in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 15;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4882/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 1/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/11/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e dei ricorsi incidentali;

udito l’Avv. PAOLO CANONICO, per delega dell’Avv. GIOVANNI PESCE, per

N.A.; gli avv. GIOVANNI DI BERNARDO, e MASSIMO

MUSCELLA, per D.M.A.; gli Avv. FRANCESCO DI CIOLLO, e

PIERLUIGI PANICI, per P.F. e A.; gli Avv.

VIRGINIO PALAZZO, e CARMELA DEL PRETE, per C.A., i

quali hanno ciascuno rispettivamente concluso come in atti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.F. e P.A. premettevano di essersi avvalsi dell’attività professionale del geom. C.A. per l’espletamento di tutti gli adempimenti funzionali al rilascio del permesso di costruire su terreno di loro proprietà, sito in (OMISSIS); di avere poi designato questi quale direttore dei lavori e l’ing. D.M.A. quale collaudatore della struttura in cemento armato; di avere appaltato l’esecuzione del fabbricato, costituito da un villino bifamiliare, ad N.A., il quale aveva subappaltato i lavori a terzi.

Esponevano che, ultimata la struttura e rilasciato il certificato di collaudo, avevano promosso un accertamento tecnico preventivo volto ad accertare la corretta esecuzione dell’opera, che aveva evidenziato esclusivamente alcune problematiche afferenti alla copertura eliminabili con una spesa di Euro 6.594,85, mentre i propri C.T.P. avevano accertato sia difformità rispetto al progetto architettonico, sia gravi difformità strutturali, oltre che carenze di natura progettuale afferenti le fondazioni. Tali difformità sarebbero state imputabili sia al D.L. (che aveva omesso di presentare il progetto di variante, L. n. 47 del 1985, ex art. 15 e il progetto esecutivo, presso l’Assessorato dei Lavori e Opere Pubbliche della Regione Lazio per rendere compatibile l’intervento con la normativa antisismica vigente nella zona); sia alla ditta esecutrice dei lavori; sia ancora, al tecnico incaricato del collaudo sismico, che aveva rilasciato la relativa certificazione.

Ciò premesso, i P. avevano convenuto in giudizio C.A., N.A. e D.M.A. per ottenere la condanna, in solido, al ripristino della staticità del fabbricato e al risarcimento del danno nella misura di Euro 82.803,74, o nella diversa somma ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento del danno subito per il mancato utilizzo dell’edificio.

Si erano costituiti in giudizio i convenuti, contestando gli assunti attorei; e il C. svolgeva anche domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c..

Il giudizio si era svolto con l’interpello dei convenuti e mediante l’espletamento di CTU.

Con la sentenza n. 194/2007, depositata in data 24.9.2007, il Tribunale di Latina, Sezione Distaccata di Terracina, aveva rigettato la domanda nei confronti dell’appaltatore e del tecnico collaudatore; aveva condannato il C. al pagamento della somma di Euro 36.331,54, indicata dal CTU quale spesa necessaria per l’eliminazione delle difformità riscontrate; aveva rigettato la domanda riconvenzionale per lite temeraria; aveva condannato il C. alle spese di lite, disponendo la compensazione delle spese tra le altre parti.

Contro la sentenza aveva proposto appello C.A. deducendo l’insussistenza della propria responsabilità quale direttore dei lavori e l’esclusiva responsabilità della ditta esecutrice delle opere appaltate; in via subordinata, la responsabilità solidale della ditta appaltatrice e l’eccessiva entità del risarcimento.

Si erano costituiti in giudizio i P., i quali avevano chiesto la rinnovazione della CTU, censurando la sentenza nella parte in cui aveva escluso la corresponsabilità della ditta appaltatrice e del tecnico collaudatore, nonchè il capo di condanna relativo alle spese di lite, liquidate in misura non adeguata all’entità dell’attività difensiva e non comprensive sia delle spese vive che delle spese sostenute per la C.T.P.

Si era costituito in giudizio N.A., contestando le domande svolte dal C. e dai P. nei propri confronti, concludendo per la conferma della sentenza di primo grado.

Si era costituito altresì D.M.A., il quale chiedeva la conferma della sentenza gravata, lamentando, tuttavia, la disposta compensazione delle spese di lite e chiedendo la riforma di tale capo.

Con sentenza n. 4882/2015, depositata in data 1.9.2015, la Corte d’Appello di Roma condannava C.A. e N.A., in solido tra loro, al pagamento in favore dei P. della somma di Euro 40.331,54, oltre interessi legali al saldo; li condannava in solido a rifondere ai P. le spese di lite del primo grado e le spese di C.T.P., oltre al pagamento delle spese di lite del grado di appello; condannava i P., in solido tra loro, al pagamento in favore di D.M.A. delle spese dei due gradi di giudizio.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione N.A. sulla base di due motivi; resistono F. e P.A. con controricorso e ricorso incidentale sulla base di tre motivi; resiste C.A., con controricorso e con ricorso incidentale sulla base di un motivo; resiste D.M.A., con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente principale N.A. lamenta l'”Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e, segnatamente, del fatto che il geom. C., quale progettista-direttore dei lavori della committenza, aveva, da un lato, comunicato al Comune di Fondi il completamento delle opere strutturali alla data del 14.4.1999, dando atto che le predette opere strutturali corrispondevano al progetto approvato, quando la committenza aveva chiuso il cantiere; dall’altro, nella medesima data del 14.4.1999, aveva impartito all’appaltatore l’ordine di correzione del solaio a integrazione e completamento della struttura relativa alla copertura del fabbricato”. Osserva il ricorrente che il suddetto fatto storico, di cui è stato omesso l’esame da parte del Giudice d’Appello, risulta dal testo della stessa sentenza impugnata (pag. 8, righe 20-23 e 26-27) ed ha costituito oggetto di discussione (comparsa di costituzione e comparsa conclusionale in appello del ricorrente); tale fatto, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso del giudizio. In sostanza, dapprima il D.L. avrebbe ordinato di realizzare il tetto in un determinato modo (diverso dal progetto) e, poi, ripensandoci, avrebbe impartito le necessarie correzioni a cantiere chiuso dai committenti. Di tale ripensamento del D.L. vi è prova nell’interrogatorio formale del medesimo, nel quale il C. specificava di essersi posto il problema di come ancorare i travi, ma che tale ancoraggio non era avvenuto nonostante l’ordine di servizio all’impresa N. essendo il cantiere chiuso. Pertanto, lo stesso D.L. confessava l’intempestività di tale ordine essendo il cantiere chiuso e il ripensamento dei precedenti ordini. Di conseguenza, l’appaltatore non aveva alcuna responsabilità, avendo sempre e solo eseguito gli ordini del progettista-direttore dei lavori dei committenti e non avrebbe potuto eseguire le correzioni, di cui all’ordine di servizio del 14.4.1999, in quanto i committenti avevano chiuso il cantiere e quindi impedito la correzione del solaio.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Costituisce principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 1 sttembre 2015) consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel motivo in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non v’è idonea indicazione. Laddove, poi, va rilevato che è altrettanto inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), o per lamentarsi di una “motivazione non corretta” (Cass. n. 27415 del 2018, cit.); giacchè nel paradigma di cui al citato art. 360 c.p.c., n. 5 non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018).

Viceversa, oltre che privo di specificità, nonchè di autosufficienza, in mancanza di adeguati riscontri circa l’esatto contenuto della missiva del 14.4.1999, peraltro diretta all’appaltatore a cantiere chiuso, il motivo – rispetto al quale non risulta affatto l’omesso esame da parte della Corte di merito, che ne ha invece specificamente esaminato e circosscritto le ricadute proprio in termini di mancanza di decisività (sentenza impugnata, pagg.8-10) – si sostanzia in una richiesta di riesame della valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla Corte di merito; che risulta congrua e plausibile e, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità.

Vale, infatti, il consolidato principio secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013).

Al contrario, così come articolate, le censure portate dal motivo si risolvono sostanzialmente nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, così mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente principale deduce la “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e, segnatamente, erronea applicazione alla fattispecie concreta dell’art. 1669 c.c., anzichè dell’art. 1667 c.c. e art. 1668 c.c., comma 1, con applicazione del diverso contenuto delle rispettive garanzie: a) nel primo caso (art. 1669 c.c.), la garanzia decennale a carico dell’appaltatore non ha natura di garanzia per la riparazione dei vizi, ma è tesa al mero risarcimento dei danni; b) nel secondo caso (art. 1667 c.c. e art. 1668 c.c., comma 1), la tutela apprestata, inquadrandosi nell’ambito della normale responsabilità contrattuale per inadempimento, importa, solo nel caso in cui l’appaltatore non provveda direttamente all’eliminazione dei vizi e dei difetti dell’opera, che il committente possa sempre richiedere il risarcimento del danno nella misura corrispondente alla spesa necessaria all’eliminazione dei vizi”. Secondo la CTU di primo grado, che la sentenza impugnata pone a fondamento delle pretese risarcitorie dei committenti, l’immobile, eseguito al grezzo, non poteva essere abitato perchè non ultimato e l’unico elemento che doveva essere rifatto era il tetto in legno riportato sull’ultimo solaio, operazione eseguibile anche dopo l’ultimazione del fabbricato e pari ad Euro 36.331,54. Nella fattispecie, la committenza, ex art. 1667 c.c. e ex art. 1668 c.c., comma 1, poteva richiedere il risarcimento del danno all’appaltatore solo nel caso in cui questi non avesse provveduto direttamente all’eliminazione dei vizi e dei difetti dell’opera, ipotesi esclusa da tutti gli atti processuali posto che è fatto non contestato che la committenza chiudeva il cantiere prima che l’appaltatore potesse eseguire le correzioni del tetto.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – L’appaltatore è obbligato a controllare la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità solo ove dimostri di aver manifestato il proprio dissenso e di essere stato costretto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente e rischio di quest’ultimo; pertanto, in mancanza di tale prova l’appaltatore è tenuto all’intera garanzia per i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, nè eventuali errori nelle istruzioni impartite dal D.L. (Cass. n. 9152 del 2019; Cass. n. 8016 del 2012; cfr. anche Cass. n. 1611 del 2015).

Al contrario, il principio dell’esclusione di responsabilità per danni in caso di soggetto ridotto a mero esecutore di ordini (nudus minister) non si applica al direttore dei lavori che, per le sue peculiari capacità tecniche, assume nei confronti del committente precisi doveri di vigilanza, correlati alla particolare diligenza richiestagli, gravando su di lui l’obbligazione di accertare la conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera appaltata al progetto sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, sicchè non è esclusa la sua responsabilità nel caso ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo nonchè di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente (Cass. n. 8700 del 2016).

Poichè nella premessa del contratto conclusa tra i P. e l’appaltatore, richiamata all’art. 1 come patto vincolante tra le parti, si faceva espresso riferimento alla concessione edilizia rilasciata dal Comune di Fondi e al progetto, per cui l’obbligo di eseguire l’opera in conformità al progetto era anche contrattualmente previsto, correttamente la Corte di merito ha, correttamente; affermato che l’assunto del N., secondo cui la decisione di eliminare il cordolo sarebbe stata presa dai committenti in accordo con il D.L. e gli sarebbe stata imposta, avrebbe dovuto essere provata; in difetto dovendo egli essere ritenuto corresponsabile unitamente al D.L., in coerenza al principio per cui, qualora il danno risentito dal committente di un contratto di appalto sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti, ancorchè di contratti differenti, rispettivamente d’appalto e di opera professionale, dell’appaltatore e del progettista-direttore dei lavori, entrambi ne rispondono solidalmente Cass. n. 5193 del 1995; conf. Cass. n. 3651 del 2016; Cass. n. 20294 del 2004).

3.1. – Con il primo motivo di ricorso incidentale, F. e P.A. lamentano la (IIIA) “Nullità della sentenza per vizio in procedendo per violazione dell’art. 196 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sull’omessa pronuncia in ordine alla censura di nullità/o inadeguatezza della CTU in relazione all’articolazione del primo motivo di gravame Vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio”; chiedendo la rinnovazione della CTU, che aveva escluso ulteriori difformità (mancata realizzazione di abbaini, conformità delle fondazioni al progetto), al contrario negate dalla Corte di merito, la quale ha affermato che non vi fosse ragione per discostarsi dalle sue conclusioni.

3.2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti incidentali P. deducono la (IIIB) “Nullità della sentenza per vizio in procedendo per violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per erronea pronuncia in ordine alla richiesta di affermazione della responsabilità per inadempimento contrattuale del collaudatore ing. D.M. in relazione al D.M. 14 settembre 2005 e in forza degli artt. 1667 e 1668 c.c. – Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – Vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio Travisamento”, rilevando che il collaudatore non aveva mai ispezionato il cantiere, nonostante al momento del conferimento di incarico il medesimo si fosse obbligato ad eseguire il collaudo entro 60 giorni dalla comunicazione del D.L. attestante che la struttura e la copertura dell’edificio erano state completate. Sicchè anche il collaudatore avrebbe dovuto essere condannato in solido con l’appaltatore e il D.L..

3.3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti incidentali P. deducono la (IIIC) “Nullità della sentenza per vizio in procedendo e in iudicando per violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per erronea pronuncia in ordine alla richiesta di condanna dei convenuti: direttore dei lavori e appaltatore in solido con altri responsabili al risarcimento del danno per mancato utilizzo del bene quale conseguenza dell’inadempimento contrattuale dell’appaltatore e del D.L. – Violazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. in relazione agli artt. 1226 e 2056 c.c. – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio Travisamento – Contraddittorietà”. In appello i P. chiedevano la riforma della sentenza del Tribunale nella parte in cui era stata rigettata la richiesta di risarcimento dei danni per il mancato utilizzo dell’immobile da parte dei committenti, nonostante fosse documentata l’incompletezza dell’opera. Il danno poteva essere liquidato in via equitativa tenuto conto del valore locativo del bene, che era indicato nella misura di Euro 2.000,00 mensili. Con riguardo alla prova dell’an debeatur la stessa Corte territoriale aveva ritenuto che la censura dei P., circa l’omessa pronuncia sulla richiesta di risarcimento del danno per mancata fruizione del bene, fosse fondata (ben proposta in astratto), e tuttavia, in quanto formulata in termini assolutamente generici andasse respinta nel merito (in concreto) sul duplice rilievo del difetto di prova dell’an e del quantum (sentenza impugnata, pagina 15).

3.4. – In ragione della loro connessione, nonchè delle modalità di prospettazione delle censure, i tre motivi di ricorso incidentale dei P. vanno congiuntamente esaminati e decisi.

3.5. – Detti motivi sono inammissibili.

3.6. – La formulazione dei medesimi, infatti, risulta connotata da una pluralità di questioni asseritamente riguardanti, nel medesimo contesto, tanto vizi in iudicando quanto vizi in procedendo, ovvero riferite alla dedotta violazione contestuale dei parametri di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5; i motivi sono caratterizzati da una confusa articolazione di censure eterogenee – riferite contemporaneamente tutte, congiuntamente ed indistintamente, ad asseriti vizi di violazione e/o falsa applicazione di plurime norme di legge, di nullità della sentenza o del procedimento e di omessa pronuncia su fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti – prive di una precisa identificazione, necessaria, appunto, per evidenziarne e compiutamente individuarne il contenuto ed analizzarne la rispettiva fondatezza o meno.

Ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. E, se è vero che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014).

Ciò richiede che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014). E comporta, tra l’altro, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle singole dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015). Sicchè l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira impropriamente a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874 del 2018).

4. – Con un unico motivo, il ricorrente incidentale C.A., lamenta la “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, segnatamente, l’assenza di responsabilità del D.L. derivante dal corretto svolgimento della sua opera professionale, relativamente all’impartizione di ordine tecnico alla ditta appaltatrice per l’eliminazione della difformità da essa realizzata”.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

4.2. – La denuncia di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, non è più riconducibile al modello proposto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 nella nuova formulazione prevista dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 1 settembre 2015 (v. sub 1.2., cui si rinvia, quanto alla diversità del parametro così come novellato).

5. – Il ricorso principale proposto da N.A. va dunque rigettato, mentre vanno dichiarati inammissibili i ricorsi incidentali proposti da F. e P.A. e da C.A.. Ai sensi dell’art. 92 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis riguardo alla controversia in esame istaurata con atto di citazione del 26.2.2002, le spese di lite vengono integralmente compensate tra tutte le parti soccombenti, nonchè nei confronti del controricorrente D.M.A., sussistendone i giusti motivi in ragione della complessità della fattispecie. Va emessa la dichiarazione D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, con riguardo al ricorrente principale ed ai ricorrenti incidentali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibili i ricorso incidentali. Dispone l’integrale compensazione delle spese tra tutte le parti. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, ciascuno dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto rispettivamente per il ricorso principale e per i ricorsi incidentali, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuti. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2020

 

 

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