Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17212 del 11/07/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 17212 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 25305-2011 proposto da:
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI in
persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;
– ricorrentecontro
RIZZI GIUSEPPE, LI CAUSI PIETRO, CANNIZZARO GIOVAN
MARIA, DAIDONE MARIA ANTONIA, CUSENZA NICOLO’,
MINEO ANTONIO, BARBUTO FRANCESCO, MANUGUERRA

Si E FA N O GALLO ANTONIO, MARRONE SALVATORE,
MIMO GIUSEPPE 2kSTA MARGHERITA

;

– intimati –

Data pubblicazione: 11/07/2013

avverso la sentenza n. 1245/2011 della CORTE D’APPELLO di
PALERMO del 16.6.2011, depositata 11 21/09/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO

VELARDI.

Ric. 2011 n. 25305 sez. ML – ud. 20-05-2013
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Ric. 2011 n. 25305 sez. ML – ud. 20-05-2013
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FATTO E DIRITTO
Atteso che e’ stata depositata relazione del seguente contenuto:
“Numerosi lavoratori dipendenti del Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti, provenienti dal ruolo del Ministero della Marina mercantile a seguito
dell’accorpamento realizzato dal D.Lgs. n. 300 del 1999, adivano il Tribunale
di Trapani al fine di ottenere la condanna dello stesso al pagamento della
differenza tra indennità di amministrazione fruita dal personale ex
Motorizzazione Civile e quella loro erogata da calcolarsi eventualmente in via
equitativa, oltre accessori di legge.
Ciò in ragione della dedotta nullità dell’art. dell’art. 33 del CCNL 1998-2001,
dell’art. 22 biennio 2002-2003.
Il Tribunale di Trapani con sentenza parziale dichiarava la nullità dei suddetti
artt. 33 e 22, tuttavia con la sentenza definitiva rigettava
le domande
affermando che il legislatore aveva rimesso alla contrattazione collettiva la
determinazione delle modalità di omogeneizzazione delle retribuzioni.
Avverso la suddetta sentenza proponevano appello i lavoratori.
La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 1245/11, accoglieva il
ricorso.
Il giudice di appello, premesso che non era venuta a cessare la materia del
contendere, rilevava che non era necessario l’intervento manipolativo o
integrativo della disciplina contrattuale dal momento che l’indennità in
questione era stata chiesta nella misura riconosciuta agli altri dipendenti
dell’ amministrazione.
Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre il Ministero, prospettando due
motivi di impugnazione.
Resistono i lavoratori con controricorso.
Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e/o falsa applicazione
degli artt. 9, comma 5, del dPR n. 177 del 2001 e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001,
anche in combinato disposto con l’art. 4 del d.lgs. n. 300 del 1999 e con gli artt.
33 CCNL 1998-2001 e 22 CCNL 2002-2005.
Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del
decreto n. 165 del 2001, nonché degli artt. 1418 e 1419 cc, in combinato con gli
artt. 9, comma 5 del d.PR n. 177 del 2001 e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001.
Osserva il consigliere
relatore, nel trattare unitamente, secondo le
argomentazioni di seguito esposte, i due motivi in ragione della loro
connessione, che il ricorso appare manifestamente fondato, in ragione dei
principi enunciati da questa Corte con le pronunce: Cass., sentenza n. 4962 del
2012, sentenza n. 4971 del 2012, ord. n. 6681 del 2012, ai quali si intende dare
continuità.
Ai fini della individuazione della disciplina giuridica applicabile alla vicenda
oggetto del giudizio, deve innanzitutto rilevarsi che rispetto alla stessa non
risulta applicabile il principio, operante con riferimento alle ordinarie vicende
di transito (c.d. mobilità) di lavoratori da un’amministrazione a un’altra sia in
via individuale che collettiva, dell’applicabilità del trattamento economico e
normativo vigente presso l’amministrazione di destinazione, salva l’eventuale
applicabilità di regole o principi su forme di conservazione di pregressi
trattamenti di maggior favore (cfr. Cass., S.U., n. 22800 del 2010 e n. 503 del
2011 e le sentenze della Sezione lavoro ivi richiamate). Nel caso in esame,
infatti, a seguito della confluenza presso i Ministeri di nuova istituzione (prima

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il Ministero dei trasporti e della navigazione e poi il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti) di diversi gruppi di lavoratori fruenti di indennità
di amministrazione di importo diverso, non è risultata individuabile una
disciplina della medesima indennità che potesse ritenersi tipica, normale e
generale del nuovi Ministeri (e per tale ragione non costituisce un precedente
puntuale, alla stregua della sua motivazione, Cass. n. 5097/2011, la cui
decisione è basata sul presupposto che, pacificamente, presso l’amministrazione
di destinazione le misure dell’indennità di amministrazione erano precisamente
determinate).
È poi necessario richiamare gli orientamenti della giurisprudenza di questa
Corte riguardo al rapporto tra la contrattazione collettiva del lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni ed il principio di parità di
trattamento di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, art. 45 (il cui comma 2 recita: “Le
amministrazioni, pubbliche garantiscono ai propri dipendenti di cui all’art. 2,
comma 2, parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non
inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi”). In realtà tale
giurisprudenza risulta ferma nell’affermare, che “il principio di parità di
trattamento nell’ambito dei rapporti di lavoro pubblico, sancito dal citato art.
45, vieta trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli
previsti dal contratto collettivo, ma non costituisce parametro per giudicare
delle eventuali differenziazioni operate in quella sede”, sicché non possono
ritenersi vietati tutti i trattamenti differenziati nei confronti delle singole
categorie di lavoratori, ma soltanto quelli in contrasto specifiche previsioni
normative, restando escluso il sindacato del giudice sulle scelte compiute dalla
contrattazione collettiva (Cass., n. 22437 del 2011).
Deve convenirsi nell’affermazione che i soggetti della contrattazione collettiva
hanno il potere ampiamente discrezionale non solo nel valutare la natura, la
qualità, l’onerosità dei vari tipi di prestazioni nel delineare i livelli di
classificazione del personale e nello stabilire i vari tipi di compensi, ma anche
nel regolare le varie forme di status normativo ed economico dei lavoratori,
eventualmente tenendo presenti le pregresse vicende dei vari rapporti, anche
con norme sostanzialmente transitorie (cfr. al riguardo, ampiamente la già citata
sentenza n. 22437 del 2011, e riguardo alla istituzione di ruoli ad esaurimento al
fine salvaguardare diritti quesiti di natura economica, anche Cass. 9313 del
2011).
E allora, quando la disparità trova titolo non nelle scelte in cui si estrinseca il
potere direttivo del datore di lavoro (sia esso pubblico o privato), ma nelle
pattuizioni dell’autonomia collettiva e in queste non si riscontrano finalità
illecite, bensì mere valutazioni comparative, non ricorre più il conflitto del
lavoratore con l’altrui iniziativa economica (che era alla base della motivazione
della cit. sent. n. 103 del 1989 della Corte cost.), ma, semmai, con l’autonomia
negoziale delle parti collettive. Attraverso quest’ultima si esprime un bisogno di
solidarietà che impone il ricorso a discipline che coinvolgano vaste categorie
cui assicurare più vantaggiose condizioni contrattuali (non solo in campo
lavorativo), solidarietà che, in nome del sostegno alle fasce marginali del
gruppo rappresentato, ridistribuisce in maniera meno differenziata risorse e/o
sacrifici, tenendo conto anche delle compatibilità economico/finanziarie del
momento. Al contrario, la parità di trattamento – al di là delle apparenze proprio perché postula uguale trattamento ad uguali fattispecie e, per converso,

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differente trattamento per fattispecie diverse (unicuique suum), invece di
“compattare” gli interessi dei rappresentati (come tende a fare, per lo più ed
entro certi limiti, la contrattazione collettiva), finisce con articolarli in una
gamma indefinita di distinguo, in proporzione diretta rispetto alla molteplicità
delle situazioni.
In altre parole, il principio di parità nasce storicamente non solo e non tanto
dall’esigenza di recuperare uguaglianza (nell’accezione non solidaristica sopra
evidenziata) o, meglio, esatta giustizia distributiva, quanto dalla necessità di
regolare l’uso d’un potere privato all’interno d’una comunità organizzata.
Questo bisogno si manifesta – cioè – per colmare il vuoto di “contraddittorio”
ove manchi istituzionalmente la possibilità che il soggetto in posizione
subalterna faccia valere le proprie ragioni contro le scelte discrezionali del
soggetto in posizione preminente. Ma ciò non si verifica rispetto alla
contrattazione collettiva, in cui le parti operano su un piano tendenzialmente
paritario e sufficientemente istituzionalizzato (citata Cass., n. 22437 del 2011).
Può, altresì, osservarsi che il d.lgs. n. 300 del 1999, nel prevedere
l’accorpamento del Ministero dei lavori pubblici e del Ministero dei trasporti e
della navigazione, ha stabilito all’al-t. 4, nel testo applicabile ratione temporis:
l’organizzazione, la dotazione organica, l’individuazione degli uffici di livello
dirigenziale generale ed il loro numero, le relative funzioni e la distribuzione
dei posti di funzione dirigenziale, l’individuazione dei dipartimenti…, sono
stabiliti con regolamenti o sono decreti del Ministro. I regolamenti prevedono la
soppressione dei ruoli esistenti e l’istituzione di un ruolo unico del personale
non dirigenziale di ciascun Ministero, articolato in aree dipartimentali e per
direzioni generali…. La nuova organizzazione e la dotazione organica del
personale non devono comunque comportare incrementi di spesa.
Il successivo d.P.R. n. 177 del 2001, art. 9, ha poi precisato: con le modalità di
cui al d.lgs. n. 29 del 1993, art. 45, è avviata la omogeneizzazione delle
indennità di amministrazione corrisposte al personale confluito nel Ministero
dai Ministeri soppressi. Come correttamente ritenuto dalla Corte d’Appello, con
congrua motivazione, la chiarezza dei dati normativi di riferimento rende
evidente quale sia stato l’intento del legislatore che, con il decreto legislativo
citato, da un lato ha voluto procedere all’accorpamento tra diverse strutture
ministeriali, mantenendo gli inquadramenti ed i trattamenti giuridici economici
dei ruoli di provenienza si da garantire il principio, espressamente enunciato
nella norma citata, della “invarianza della spesa”, dall’altro ha rinviato alla
contrattazione collettiva il compito di procedere alla progressiva
omogeneizzazione dei trattamenti.
Diversamente da quanto asserito dalla difesa dei ricorrenti, le norme che hanno
disciplinato il processo di riorganizzazione delle strutture ministeriali non
hanno imposto l’immediata equiparazione dei trattamenti economici corrisposti
ai dipendenti confluiti nel medesimo ministero da ministeri diversi, bensì hanno
delegato alle parti collettive l’avvio di un processo di progressiva perequazione
dei trattamenti medesimi in funzione del riallineamento retributivo.
E non potrebbe essere diversamente anche tenuto conto tenuto conto dei
meccanismi introdotti con la privatizzazione del pubblico impiego, come
chiaramente delineato dalla Corte Cost. nella sentenza n. 309 del 1997.
Detta pronuncia ricostruisce le linee portanti del nuovo sistema, affermando che
il generale criterio della contrattualizzazione dei rapporti d’impiego, che

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esprime sul piano della fonte regolatrice la scelta del legislatore di trasformare
la natura giuridica dei rapporti stessi, è sancito, quale principio fondamentale
dalla legge delega n. 421 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), trovando poi
attuazione nel d.lgs. n. 29 del 1993, art. 2, comma 3.
In conformità alle direttive di cui alla delega, tale decreto, dopo aver
individuato le materie sottratte alla contrattazione collettiva, ha sub art. 45 del
d.lgs. n. 29 del 1993, strutturato questa su due livelli (nazionale e decentrato),
con una ripartizione per comparti ed aree separate, attribuendo poi all’Agenzia
per la rappresentanza negoziale (A.R.A.N.), istituita dal successivo del d.lgs. n.
29 del 1993, art. 50, la rappresentanza delle pubbliche amministrazioni (in una
configurazione tuttavia destinata a trasformarsi: da agenzia dello Stato ad
agenzia dell’intero sistema pubblico, secondo la previsione di cui alla legge n.
59 del 1997, art. 11, comma 4, lett. c). Sono appunto codeste amministrazioni le
destinatane esclusive del dovere, previsto dal comma 9 del citato art. 45 del
d.lgs. n. 29 del 1993, di osservare gli impegni assunti con i C.C.N.L.. Sicché
l’applicazione del contratto collettivo deriva, non già da una generalizzata
previsione di obbligatorietà di questo, bensì dal su indicato dovere gravante
sulle Pubbliche Amministrazioni. L’osservanza, da parte delle amministrazioni,
degli obblighi assunti con i contratti collettivi rappresenta il conseguente e non
irragionevole esito dell’intera procedura di contrattazione, la quale prende le
mosse dalla determinazione dei comparti e si conclude con l’autorizzazione
governativa alla sottoscrizione delle ipotesi di accordo, che, almeno sin quando
verrà esercitata la delega “ex lege” n. 59 del 1997, interessa a sua volta
molteplici profili, non solo di controllo ma anche di verifica della compatibilità
finanziaria. La forza cogente che a questo punto si produce nei confronti delle
Pubbliche Amministrazioni costituisce, a sua volta, la premessa per realizzare la
garanzia della parità di trattamento contrattuale, affermata dal d.lgs. n. 29 del
1993, art. 49, comma 2, e contestualmente rafforzata dall’ultima parte della
norma stessa, che impone di assicurare “trattamenti non inferiori a quelli
previsti dai rispettivi contratti collettivi”.
Il processo di riorganizzazione operato con le norme in esame nella presente
fattispecie è stato in effetti attuato e realizzato attraverso le previsioni
dell’articolo 22 del CCNL biennio economico 2002-2003, sottoscritto il 12
giugno 2003, e del successivo articolo 31 del CCNL 2006-2007, sottoscritto il
14 settembre 2007.
Afferma la Corte d’Appello, quindi, che le parti collettive, dunque, in occasione
del primo rinnovo contrattuale successivo alla pubblicazione del D.P.R. 26
marzo 2001 n. 177, hanno raccolto l’invito del legislatore, iniziando il processo
di perequazione delle retribuzioni complessivamente spettanti al personale del
comparto, avvertendo, però, la necessità di chiarire che la totale equiparazione
richiedeva risorse aggiuntive non potendo il contratto collettivo provvedere al
raggiungimento di tale obiettivo con le risorse derivanti dall’applicazione
dell’accordo sul costo del lavoro del 23 luglio 1993.
L’esame delle disposizioni normative rilevanti e dei contratti collettivi
succedutisi nel tempo induce, quindi, ad escludere qualsiasi contrasto fra il
precetto dettato dall’art. 9 del D.P.R. citato (che, ha delegato alle parti collettive
solo la progressiva perequazione dei trattamenti economici e non l’immediata
equiparazione degli stessi) e le norme contrattuali sottoscritte in data successiva

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all’approvazione del regolamento. Ne può ritenersi violato, per le ragioni
anzidette il d.lgs. n. 165 del 2001, art. 45.
In proposito, è altresì corretto e conforme ai principi sopra richiamato
l’affermazione della Corte d’Appello che la norma in parola, nell’imporre alla
pubblica amministrazione di garantire ai propri dipendenti parità di trattamento
contrattuale, esclude che possano essere adottati trattamenti differenziati in
modo ingiustificato e discriminatorio, e, conseguentemente, richiede l’identità
delle situazioni, in presenza della quale non è ravvisabile un oggettivo
fondamento della differenziazione retributiva.
Detta assoluta identità non è riscontrabile allorquando il mantenimento
momentaneo di posizioni retributive differenziate trovi la sua giustificazione in
un complesso processo di riorganizzazione amministrativa, comportante la
creazione.
La sentenza della Corte d’Appello di Palermo, non fa corretta e congrua
applicazione dei suddetti principi di diritto.
Alla luce dei principi esposti, vi è stato un esercizio della discrezionalità che
loro compete da parte degli agenti contrattuali nell’affrontare il problema della
misura dell’indennità di amministrazione nell’ambito dei nuovi Ministeri,
rispetto alla quale non sono ravvisabili profili di illegittimità, in particolare con
riferimento alle posizioni dei lavoratori in considerazione nella presente causa.
Le ragioni alla base di tale statuizione possono essere riassunte enunciando il
seguente principio già affermato da Cass. n. 4962 del 2012: “In relazione alla
confluenza di dipendenti provenienti da varie amministrazioni nel Ministero, di
nuova istituzione (legge n. 537 del 1993, ex art. 1), dei trasporti e della
navigazione e successivamente nel Ministero, analogamente di nuova
istituzione (d.lgs. n. 300 del 1999, ex art. 41), delle infrastrutture e dei trasporti,
non sono identificabili misure dell’indennità di amministrazione riferibili al
personale in genere di detti Ministeri, e la perdurante previsione, da parte del
CCNL del comparto ministeri 12 giugno 2003 per il quadriennio normativo
2002- 2005 e il biennio economico 2002-2003, di misure differenziate di tale
indennità a seconda delle amministrazioni di provenienza non può considerarsi
discriminatoria, in particolare in relazione al principio di parità di trattamento di
cui al d.lgs. n. 165 del 2001, art. 45, che non esclude la possibilità della
contrattazione collettiva di attribuire rilievo anche alle pregresse vicende dei
rapporti di lavoro, ne’ illegittima per violazione del d.P.R. n. 177 del 2001, art.
9, comma 5, che ha previsto l’avvio, da parte della contrattazione collettiva,
dell’omogeneizzazione delle indennità di amministrazione corrisposte al
personale confluito nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dai Ministeri
soppressi (avendo tale contratto nazionale accordato lo stesso aumento in cifra
per i lavoratori provenienti dalle varie amministrazione e avendo quindi ridotto,
sia pure in misura modesta, le differenze in percentuale, essendo stata poi
realizzata la parificazione al livello più vantaggioso dal CCNL 14 settembre
2007 per il quadriennio normativo 2006-2009 e il biennio economico 20062007)”.
Il Collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e le conclusioni
che precedono. Pertanto accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
decidendo nel merito rigetta le domande proposte con il ricorso introduttivo del
giudizio. Condanna i soccombenti al pagamento d e che liquida come
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in dispositivo.
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La Corte accoglie il ricorso e decidendo nel merito rigetta le domande
proposte con il ricorso introduttivo del giudizio. Condanna i soccombenti in
solido al pagamento delle spese che liquida per il primo grado in euro 1000
(200 diritti e 800 onorari) per l’appello in euro 1290 (200 diritti, 1000 onorari) e
per il presente giudizio in euro 2500 per compenso professionale, oltre le spese
prenotate a debito f) (,o,9covtr_v J e
Così deciso in Roma il 20 maggio 2013

Il Presidente

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