Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17211 del 18/08/2020

Cassazione civile sez. II, 18/08/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 18/08/2020), n.17211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 24491 – 2017 R.G. proposto da:

BANCA D’ITALIA, Istituto di diritto pubblico – p.i.v.a. (OMISSIS) –

in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa disgiuntamente e congiuntamente in virtù di procura speciale

in calce al ricorso dall’avvocato Giuseppe Napoletano e

dall’avvocato Donato Messineo (dell’avvocatura della medesima “Banca

d’Italia”) ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Nazionale,

n. 91;

– ricorrente –

contro

S.M., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in Roma,

alla via di Porta Pinciana, n. 6, presso lo studio dell’avvocato

Silvia Venturini, che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato

Monica Squintu, lo rappresenta e difende in virtù di procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso il decreto n. 3113/2017 della corte d’appello di Roma;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 14

novembre 2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. Pepe Alessandro, che ha concluso per il rigetto di

entrambi i ricorsi;

uditi l’avvocato Giuseppe Napoletano e l’avvocato Donato Messineo per

la ricorrente;

udito l’avvocato Silvia Venturini per il controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di accertamenti ispettivi eseguiti presso “Banca Veneto” società cooperativa per azioni nel periodo compreso tra il 15.4.2013 ed il 9.8.2013, con Delib. sanzionatoria n. 424 del 5.8.2014 la “Banca d’Italia” irrogava ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 145 (t.u.b.) a S.M., componente del collegio sindacale di “Banca Veneto”, per le seguenti violazioni “1) carenze nei controlli da parte di componenti ed ex componenti del collegio sindacale; 2) non corrette segnalazioni all’Organo di Vigilanza di posizioni anomale e perdite da parte di componenti ed ex componenti del consiglio di amministrazione e da parte di componenti ed ex componenti del collegio sindacale”, la sanzione pecuniaria di Euro 69.500,00 per la violazione sub 1) e la sanzione pecuniaria di Euro 52.000,00 per la violazione sub 2).

2. S.M. proponeva opposizione innanzi alla corte d’appello di Roma ai sensi dell’art. 145, comma 4 t.u.b.

Chiedeva dichiararsi la nullità o l’inefficacia ovvero pronunciarsi l’annullamento del provvedimento sanzionatorio; in subordine chiedeva ridursi l’ammontare delle sanzioni irrogate.

Resisteva la “Banca d’Italia”.

Il Procuratore Generale presso la corte d’appello di Roma, all’uopo intervenuto, instava per il rigetto dell’opposizione.

3. Con decreto n. 3113/2017 la corte d’appello di Roma accoglieva in parte l’opposizione e, con riferimento alla violazione in precedenza indicata sub 1), rideterminava nel minor importo di Euro 58.000,00 l’ammontare della sanzione.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso la “Banca d’Italia”; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

S.M. ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale articolato in cinque motivi; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso ed, in accoglimento del ricorso incidentale, cassarsi il decreto della corte di Roma con ogni susseguente statuizione anche in tema di spese.

5. Il controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 53, comma 1, lett. d) t.u.b. e del proprio provvedimento in data 30.3.2011, recante disposizioni in materia di politiche e prassi di remunerazione ed incentivazione nelle banche nei gruppi bancari.

Premette che l’impugnato decreto ha assunto che le clausole “malus” (che riducono l’ammontare di spettanze ancora non liquidate) e di restituzione (“claw back”) costituiscono meccanismi che, “uniti alla clausola di differimento, consentono di adeguare nel lungo periodo la componente variabile della remunerazione ai risultati effettivi e ai rischi assunti” (così decreto impugnato, pag. 16).

Indi deduce che le disposizioni di cui al proprio provvedimento del 30.3.2011, dettate sulla base dell’art. 53, comma 1, lett. d) t.u.b., con riferimento alla componente variabile della retribuzione, nel caso de quo, dell’amministratore delegato, esigono, onde assicurarne l’allineamento ai risultati di lungo periodo della gestione, il rispetto in via cumulativa e non alternativa di ben cinque criteri; che segnatamente le stesse disposizioni prefigurano l’assoggettamento della retribuzione variabile sia a meccanismi di correzione ex ante sia a meccanismi di correzione ex post, tra i quali ultimix sono da annoverare quelli cosiddetti di “malus” e di “claw back”.

Deduce dunque che “la mera introduzione di meccanismi di correzione ex post è insufficiente a garantire il rispetto della normativa di settore” (così ricorso principale, pag. 15).

7. Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la manifesta ed irriducibile contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4.

Premette che la corte di merito ha ritenuto fuor di contestazione la corresponsione negli anni 2010/2011 all’amministratore delegato di “Banca Veneto” senza alcun differimento dell’intera componente variabile della retribuzione.

Premette che la corte di merito ha ritenuto al contempo che i meccanismi di correzione ex post della componente variabile della retribuzione dell’amministratore delegato, unitamente alle clausole di differimento, fossero tali da consentire l’adeguamento nel lungo periodo della medesima componente ai risultati effettivi e ai rischi assunti.

Deduce quindi che, in tal guisa, ovvero in dipendenza del riscontro del mancato differimento dell’erogazione della componente variabile della retribuzione, la corte di merito è incorsa in irriducibile ed insanabile contraddizione.

8. Con il primo motivo il ricorrente incidentale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 13,14,18 e 19.

Deduce che l’attività vincolata di accertamento delle infrazioni si è fondata tout court sull’attività altamente discrezionale di vigilanza e a tal ultima ha fatto integrale rinvio mediante l’apposizione di un semplice “visto”.

Deduce dunque che la separazione tra attività ispettiva e di accertamento si è limitata ad un semplice “visto” e che al riguardo nulla ha detto l’impugnato decreto della corte di Roma.

9. Con il secondo motivo il ricorrente incidentale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 262 del 2005, art. 24 dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6C.E.D.U.; la violazione dell’art. 25 Cost., comma 2, dell’art. 7C.E.D.U., dell’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., dell’art. 2 c.p. e del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2 e comma 8.

Deduce in primo luogo che ha errato la corte distrettuale a respingere il motivo di opposizione con il quale aveva censurato la violazione delle garanzie del “giusto processo” in relazione al procedimento sanzionatorio innanzi alla “Banca d’Italia”, viepiù che con riferimento alla lamentata violazione della L. n. 262 del 2005, art. 24 il Consiglio di Stato ha reputato illegittimo il regolamento sanzionatorio “Consob”.

Deduce in secondo luogo che ha errato la corte distrettuale a disconoscere il carattere punitivo, sostanziale e funzionale, delle sanzioni irrogate dalla “Banca d’Italia”.

Deduce in terzo luogo che ha errato la corte distrettuale a decidere con procedimento in camera di consiglio, per giunta in violazione della disciplina transitoria di cui al D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, commi 2 e 8, disciplina che impone per i giudizi pendenti alla data della sua entrata in vigore la garanzia della pubblica udienza.

Deduce in quarto luogo che il D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, nell’escludere l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate al parte VIII del t.u.b., viola il principio del favor rei, principio generale dell’ordinamento, ed è quindi costituzionalmente illegittimo.

10. Con il terzo motivo il ricorrente incidentale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1091, art. 11.

Deduce che la corte territoriale, allorchè ha respinto il motivo di opposizione con cui era stata censurata la quantificazione della sanzione, nulla ha esplicitato in ordine ai criteri da valutare ai fini della determinazione della sanzione.

Deduce segnatamente, in ordine al criterio della gravità della violazione, che è del tutto ingiustificata l’irrogazione della stessa sanzione ai membri del collegio sindacale, preposti unicamente a compiti di controllo, ed ai membri del consiglio di amministrazione, preposti a compiti di gestione dell’impresa societaria.

Deduce segnatamente, in ordine al criterio dell’opera svolta ai fini dell’eliminazione ovvero dell’attenuazione delle conseguenze della violazione, che la corte territoriale per nulla ha vagliato le note difensive e le relative allegazioni, idonee a comprovare che aveva ottemperato alle richieste formulate dalla “Banca d’Italia” all’esito della prima ispezione.

Deduce segnatamente, in ordine al criterio della personalità del preteso trasgressore, che la corte territoriale non ha considerato che, all’esito del procedimento ispettivo avviato nel 2009, nessuno dei sindaci era stato sanzionato.

Deduce segnatamente, in ordine al criterio delle condizioni economiche del preteso trasgressore, criterio che involge il profilo della differente remunerazione corrisposta ai consiglieri di amministrazione ed ai sindaci, che nulla in proposito la corte territoriale ha esplicitato.

11. Con il quarto motivo il ricorrente incidentale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 111 Cost., comma 7 e dell’art. 132 c.p.c.

Deduce che la corte di Roma per nulla ha dato conto dei criteri ai quali deve essere ancorata la graduazione della sanzione.

12. Con il quinto motivo il ricorrente incidentale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che la corte romana non ha considerato che nel caso di specie parte della struttura della banca dolosamente e sistematicamente sottraeva al controllo anche del collegio sindacale una serie di situazioni ed operazioni critiche; che del resto siffatte criticità non sono state rilevate nè dalla società di revisione nè dalla “Banca d’Italia” nel corso di precedenti ispezioni.

Deduce che in questo quadro sia il provvedimento sanzionatorio sia la corte romana hanno inteso, per un verso, in modo non corretto il ruolo e le funzioni del collegio sindacale, hanno commesso, per altro verso, errori nella ricostruzione e valutazione dei fatti.

13. Il primo motivo ed il secondo motivo del ricorso principale sono strettamente connessi.

Invero ambedue i mezzi della principale impugnazione veicolano, sotto titoli (rubriche) formalmente diversi, la stessa doglianza a censura del giudizio “di fatto” espresso dalla corte d’appello, allorchè – dopo aver dato atto dell’adeguatezza delle clausole “malus” e “claw back” unitamente alle clausole di differimento – ha puntualizzato che “dagli atti non emerge, poi, che i correttivi adottati fossero in concreto inidonei a garantire il rispetto delle prescrizioni di vigilanza del 30 marzo 2011” (così decreto impugnato, pag. 16. Si condividono pertanto i rilievi di cui alle pagg. 11 – 12 del controricorso).

Di talchè entrambi i mezzi di impugnazione si qualificano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Del resto è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

14. Ambedue i motivi comunque sono destituiti di fondamento.

Le addotte censure dunque – debitamente riqualificate – sono da vagliare nel solco della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

In quest’ottica si osserva quanto segue.

Da un canto è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” – tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – destinate ad acquisire significato alla stregua della summenzionata pronuncia delle sezioni unite, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte distrettuale ha ancorato il suo dictum.

Segnatamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte territoriale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

D’altro canto la corte di Roma ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante, in parte qua, la res litigiosa ovvero la concreta idoneità dei correttivi adottati ad assicurare il rispetto delle prescrizioni di vigilanza.

15. In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di merito, risulta ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.

In particolare è da disconoscere senz’altro l’asserito “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” con riferimento, da un lato, al dato meramente “fattuale” “dell’avvenuta immediata corresponsione per due anni (2010 e 2011) all’Amministratore delegato di Banca Veneto dell’intera componente variabile della retribuzione senza alcun differimento” (così ricorso principale, pag. 16), con riferimento, dall’altro, al dato propriamente “valutativo”, dell’idoneità dei meccanismi di correzione adottati.

16. Il primo motivo del ricorso incidentale va respinto.

Innegabilmente con il mezzo in disamina S.M. prospetta che il procedimento amministrativo, poi culminato nella Delib. sanzionatoria 5 agosto 2014, n. 424 di “Banca d’Italia”, sia stato inficiato da un vizio (“nel caso di specie, questa sequenza non è stata seguita”: così ricorso incidentale, pag. 15).

E tuttavia gli eventuali vizi del procedimento amministrativo non hanno, in questa sede, alcuna rilevanza, siccome in tema di sanzioni amministrative il giudizio di opposizione non ha ad oggetto il procedimento e l’atto che lo conclude, ma il rapporto, con susseguente cognizione piena del giudice (cfr. Cass. sez. un. 28.1.2010, n. 1786; Cass. 21.5.2018, n. 12503).

Ineccepibilmente quindi la corte capitolina ha puntualizzato che “in sede di giudizio di opposizione ex art. 145 t.u.b. hanno rilievo solo i fatti accertati e contestati in sede ispettiva sotto il profilo della sussistenza del fatto, della previsione dello stesso come illecito amministrativo (…) e della commissione del fatto da parte del soggetto sanzionato con volontà colpevole” (così decreto impugnato, pag. 3).

17. Il secondo motivo del ricorso incidentale del pari va respinto.

18. In ordine al primo profilo di censura (veicolato dal mezzo in esame) è sufficiente reiterare l’insegnamento di questa Corte, seppur espresso con riferimento al procedimento sanzionatorio della “Banca d’Italia” ai sensi dell’art. 195 t.u.f., secondo cui siffatto procedimento non viola l’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, perchè questo esige solo che, ove il procedimento amministrativo sanzionatorio non offra garanzie equiparabili a quelle del processo giurisdizionale, l’incolpato possa sottoporre la questione della fondatezza dell'”accusa penale” a un organo indipendente e imparziale, dotato di piena giurisdizione, come la disciplina nazionale gli consente di fare tramite l’opposizione alla corte d’appello (cfr. Cass. 14.12.2015, n. 25141; altresì Cass. 3.1.2019, n. 4, secondo cui il procedimento sanzionatorio di cui alla L. n. 262 del 2005 non partecipa della natura giurisdizionale del processo tipicamente inteso, che è solo quello che si svolge davanti ad un giudice, e le sanzioni applicate dalla “Banca d’Italia” ai sensi dell’art. 195 t.u.f. non hanno natura penale, con la conseguenza che non è violato l’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ben potendo l’incolpato esercitare tutti i suoi diritti di difesa nella successiva eventuale fase di opposizione, ove si realizza un pieno sindacato giurisdizionale, fino al vaglio di legittimità. Si veda anche Cass. 9.8.2018, n. 20689, con riferimento al procedimento amministrativo sanzionatorio della “Consob” del pari ai sensi dell’art. 195 t.u.f.).

Al contempo soccorre l’insegnamento di questa Corte (richiamato pur dalla corte romana: cfr. decreto impugnato, pag. 7) secondo cui, in tema di sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 144 nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo di istituti bancari, il rispetto dei principi del contraddittorio e della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie, previsti dalla L. n. 262 del 2005, art. 24 non comporta la necessità che gli incolpati vengano ascoltati durante la discussione orale innanzi all’organo decidente (nella specie, direttorio della “Banca d’Italia”), essendo sufficiente che a quest’ultimo siano rimesse le difese scritte degli incolpati ed i verbali delle dichiarazioni rilasciate, quando gli stessi chiedano di essere sentiti personalmente (cfr. Cass. 3.12.2013, n. 27038).

In questi termini va debitamente posto in risalto che lo stesso controricorrente ha dato atto che “con riferimento in particolare al punto 8 delle contestazioni, confluito poi nelle presunte violazioni n. 4 e 5 del provvedimento sanzionatorio, il Collegio sindacale nelle controdeduzioni inviate il 3 gennaio ha illustrato e documentato l’incisiva attività svolta con riferimento ai temi oggetto di contestazione” (così controricorso, pag. 7).

19. In ordine al secondo profilo di censura è sufficiente similmente reiterare l’insegnamento di questa Corte, a tenor del quale le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla “Banca d’Italia” ai sensi dell’art. 144 t.u.b. per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle irrogate dalla “Consob” ai sensi dell’art. 187 ter t.u.f. per manipolazione del mercato, sicchè esse non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, nè pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 C.E.D.U. (cfr. Cass. 24.2.2016, n. 3656. Si veda anche Cass. 5.4.2017, n. 8855, seppur con riferimento alle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla “Consob” ai sensi dell’art. 190 t.u.f.).

20. In ordine al terzo profilo di censura non può non darsi atto che nel corso dell’udienza pubblica tenuta dinanzi a questa Corte i difensori di “Banca d’Italia” hanno riferito che il decreto n. 3113/2017 della corte d’appello di Roma è stato corretto, siccome inficiato da errore materiale, nella parte in cui, a pagina 1, recita “posto in decisione all’udienza camerale del 9 maggio 2016”, anzichè “posto in decisione all’udienza pubblica del 9 maggio 2016”.

20.1. In ogni caso è innegabile, certo, che, in virtù della previsione del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 2, comman 5 l’art. 145, comma 6 t.u.b., come modificato dallo stesso D.Lgs. n. 72 del 2015, nella parte in cui prefigura la fissazione della pubblica udienza ai fini della discussione dell’opposizione, si applica ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 72 del 2015 e dunque al caso de quo.

E tuttavia la denuncia di pretese violazioni di norme processuali non si giustifica a tutela dell’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, sibbene unicamente onde porre rimedio alla menomazione che al proprio diritto di difesa la parte ha subito in conseguenza della denunciata violazione; cosicchè è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26831).

In tal guisa del tutto generica ed aspecifica è la doglianza secondo cui “il procedimento in camera di consiglio non ha fornito le garanzie tipiche della giurisdizione piena” (così ricorso incidentale, pag. 22), secondo cui la mancata celebrazione del giudizio in pubblica udienza avrebbe impedito l’esperimento di non meglio precisati mezzi di prova e l’audizione delle parti (cfr. ricorso incidentale, pag. 22).

Tanto ben vero, a prescindere dall’insegnamento di questa Corte secondo cui le forme del rito camerale disciplinato dagli artt. 737 c.p.c. e ss. consentono, nei procedimenti di natura contenziosa, il pieno dispiegamento del contraddittorio e dell’iniziativa istruttoria delle parti anche quando difetti la celebrazione di una udienza (cfr. Cass. 21.3.2019, n. 8046).

21. In ordine al quarto profilo di censura si evidenzia che, ai sensi del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 2, comma 3, “le modifiche apportate al titolo VIII del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Banca d’Italia ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 145 quater. Alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Banca d’Italia continuano ad applicarsi le norme del titolo VIII del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto legislativo”.

Nel caso di specie si è innegabilmente al cospetto di violazioni commesse prima della data di entrata in vigore delle disposizioni che la “Banca d’Italia” è deputata ad emanare (il provvedimento sanzionatorio è del 5.8.2014), il cui varo, cioè, è ai sensi dell’art. 145 quater t.u.b. alla stessa “Banca d’Italia” demandato.

Cosicchè il riferimento ratione temporis è da farsi alla disciplina del t.u.b. antecedente alla novella di cui al D.Lgs. 12 maggio 2015, n. 72.

21.1. Nondimeno questa Corte di legittimità non può che ribadire il proprio insegnamento, quantunque espresso con riferimento alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 72 del 2015 alla parte V del D.Lgs. n. 58 del 1998 (t.u.f.).

Ossia che le surriferite modifiche si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla “Consob”, in tal senso disponendo il D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6 e non è possibile ritenere l’applicazione immediata della legge più favorevole, atteso che il principio cosiddetto del “favor rei”, di matrice penalistica, non si estende in assenza di una specifica disposizione normativa alla materia delle sanzioni amministrative, che risponde invece al distinto principio del “tempus regit actum” (cfr. Cass. 9.8.2018, n. 20689; Cass. 2.3.2016, n. 4114; Cass. 30.6.2016, n. 13433. Si veda anche Cass. (ord.) 28.12.2011, n. 29411, secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, i principi di legalità, irretroattività e di divieto dell’applicazione analogica di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 1 comportano l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali “ab origine”, senza che possano trovare applicazione analogica, attesa la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 2 c.p., commi 2 e 3, i quali, recando deroga alla regola generale dell’irretroattività della legge, possono, al di fuori della materia penale, trovare applicazione solo nei limiti in cui siano espressamente richiamati dal legislatore).

21.2. Va soggiunto che nelle stesse occasioni dapprima menzionate (il riferimento è a Cass. 9.8.2018, n. 20689, a Cass. 2.3.2016, n. 4114, e a Cass. 30.6.2016, n. 13433) questo Giudice ha specificato che la surriferita interpretazione non viola i principi convenzionali enunciati dalla Corte E.D.U. con la sentenza 4.3.2014 (“Grande Stevens ed altri c/o Italia”), giacchè tali principi non possono indurre a ritenere che una sanzione, qualificata come amministrativa dal diritto interno, abbia sempre ed a tutti gli effetti natura sostanzialmente penale. E, di conseguenza, ha concluso per l’irrilevanza di un’eventuale questione di costituzionalità ai sensi dell’art. 117 Cost.

Tal ultima puntualizzazione esplica valenza in ordine alla questione di legittimità costituzionale che S.M. (cfr. ricorso incidentale, pag. 23) con il secondo mezzo ha inteso sollevare (cfr. altresì Corte Cost. 24.4.2002, n. 140, secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 689 del 1981, art. 1, comma 2, nella parte in cui non prevede che, se la legge in vigore al momento in cui fu commessa la violazione e quella posteriore stabiliscono sanzioni amministrative pecuniarie diverse, si applichi la legge più favorevole al responsabile).

22. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale sono strettamente connessi; se ne giustifica la disamina contestuale; i motivi de quibus comunque sono destituiti di fondamento.

23. Va in premessa reiterato l’insegnamento di questo Giudice del diritto.

Ovvero l’insegnamento secondo cui, nel procedimento di opposizione avverso le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per violazione della legge bancaria, il giudice ha il potere discrezionale di quantificarne l’entità, entro i limiti sanciti da quest’ultima, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dalla L. n. 689 del 1981, art. 11 quali la gravità della violazione, la personalità dell’agente e le sue condizioni economiche (cfr. Cass. 8.2.2016, n. 2406; Cass. 28.2.2020, n. 5526).

24. Su tale scorta si evidenzia che la corte d’appello dapprima ha affermato che “la quantificazione operata con il provvedimento sanzionatorio rientra nei limiti edittali” (così decreto impugnato, pag. 17), affermazione che non è stata oggetto di censura, neppure, in particolare, coi motivi in disamina.

Poi ha soggiunto che “in considerazione della gravità dei fatti riguardanti una banca a capo di un gruppo di istituti di credito di non modeste dimensioni, la quantificazione in misura notevolmente superiore ai minimi edittali appare congrua (…) se si considera che la complessiva gestione della banca avveniva in contrasto del rispetto delle prescrizioni di vigilanza e lo stesso S., nonostante l’importante ruolo di controllo rivestito, era coinvolto tramite soggetti a lui facenti capo (cd. gruppo S.) all’erogazione del credito risultato deteriorato” (così decreto impugnato, pag. 17).

25. Più esattamente la corte di merito ha dato conto della gravità dei fatti, id est delle violazioni ascritte a S.M., del significativo ruolo da costui assolto, id est dell’opera dallo stesso S.M. svolta ai fini dell’eliminazione ovvero dell’attenuazione delle conseguenze delle violazioni addebitategli, e della sua “personalità”, allorchè ha delibato il settimo motivo di opposizione, con cui era stata contestata la sussistenza degli illeciti (cfr. decreto impugnato, pagg. 9 ss.).

In particolare – con riferimento alla gravità delle violazioni – ne ha dato conto allorchè ha puntualizzato che l’opponente non aveva contestato la “situazione di non conformità interessante il 20% della clientela” (così decreto impugnato, pag. 12) e “la concessione di facilitazioni e sanatorie senza rivalutazione del merito creditizio dei clienti con aggravamento dello stato di default” (così decreto impugnato, pag. 14).

In particolare – con riferimento all’opera volta ad eliminare ovvero ad attenuare le conseguenze dannose – ne ha dato conto allorchè ha puntualizzato che l’opponente non aveva contestato la “mancata disposizione del blocco dell’operatività dei rapporti non in regola” (così decreto impugnato, pag. 12) e “la concessione di credito a nuovi prenditori finalizzata al rientro di altre posizioni insolventi” (così decreto impugnato, pag. 15).

In particolare – con riferimento alla personalità del trasgressore – ne ha dato conto allorchè ha puntualizzato che la contestazione concernente le situazioni di conflitto d’interesse riguardava “la posizione dello stesso S. per la concessione di affidamenti a società a lui riferibili in difetto di adeguata analisi delle capacità di rimborso con frequenti sconfinamenti non autorizzati (…)” (così decreto impugnato, pag. 12).

Per altro verso è ovvio che la quantificazione delle sanzioni ha tenuto conto delle “condizioni economiche” del ricorrente, id est di un operatore professionale, che preposto al ruolo di controllo di un istituto di credito – non già di un’ordinaria società – ha impegnato competenze professionali di elevato profilo, competenze cui inevitabilmente era parametrata la sua remunerazione.

26. In questo quadro l’assunto del ricorrente incidentale, secondo cui la corte di merito ha falsamente applicato la L. n. 689 del 1981, art. 11 e non ha dato ragione dei criteri cui ha ancorato la quantificazione delle sanzioni, è del tutto ingiustificato.

Si tenga conto, in ordine all’asserita ingiustificata parificazione del trattamento sanzionatorio dei sindaci e dei consiglieri di amministrazione, che l’inottemperanza agli obblighi di controllo sulla gestione è, per certi versi, significativamente più grave dell’inottemperanza agli obblighi di corretta gestione.

Si tenga conto, in ordine all’asserito omesso vaglio delle note difensive (cfr. ricorso incidentale, pag. 25), che siffatto profilo di doglianza neppure è riconducibile al paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. 14.6.2017, n. 14802; Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20718).

Cosicchè, in tal ultima prospettiva, non ha precipua valenza la deduzione del ricorrente incidentale secondo cui la corte territoriale non avrebbe considerato gli esiti di precedenti verifiche istruttorie, a seguito delle quali nessun sindaco era stato sanzionato.

Ciò ben vero a prescindere dal rilievo per cui siffatta deduzione difensiva è stata specificamente considerata dalla corte di Roma (cfr. decreto impugnato, pag. 13) e dalla corte di Roma con argomentazioni congrue ed esaustive respinta (cfr. decreto impugnato, pagg. 13 – 14).

27. Il quinto motivo del ricorso incidentale parimenti è privo di fondamento.

28. Evidentemente, con il mezzo in disamina, il ricorrente incidentale censura il giudizio “di fatto” in virtù del quale la corte capitolina ne ha riscontrato la responsabilità amministrativa.

Di guisa che i presunti vizi motivazionali sono – al pari dei motivi del ricorso principale – da vagliare alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

29. In quest’ottica si osserva quanto segue.

Per un verso è da escludere che ipotesi di “anomalia motivazionale” rilevanti nel segno della summenzionata pronuncia possano scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte d’appello ha in parte qua ancorato il suo dictum.

In particolare la corte distrettuale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo. Al di là dei rilievi già riferiti in sede di disamina del terzo e del quarto motivo del ricorso incidentale, la corte di merito ha specificato che “l’attività del collegio si è risolta nella mera richiesta di informazioni alla direzione Crediti e nell’accettazione della risposta rassicurante in merito alla adeguatezza delle garanzie concesse e degli accantonamenti effettuati” (così decreto impugnato, pag. 14).

Per altro verso, la corte territoriale ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante in parte qua agitur la res litigiosa.

30. In ogni caso l’impugnato dictum risulta – pur al riguardo – analogamente sorretto da motivazione ineccepibile, congrua ed esaustiva.

31. D’altronde a nulla vale addurre che “una parte della struttura della banca era impegnata a sottrarre al controllo (anche) del collegio sindacale una serie di situazioni ed operazioni critiche” (così ricorso incidentale, pag. 28).

Difatti, ai fini della vigilanza sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sull’adeguatezza degli assetti societari pur nella loro proiezione funzionale, ai sensi – tra gli altri – del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 151, comma 1 “i sindaci possono, anche individualmente, procedere in qualsiasi momento ad atti di ispezione e di controllo, nonchè chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a società controllate, sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, ovvero rivolgere le medesime richieste di informazione direttamente agli organi di amministrazione e di controllo delle società controllate” (si veda anche l’art. 2403 c.c., comma 1).

Tant’è che, seppur in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, questa Corte spiega che la complessa articolazione della struttura organizzativa di una società di investimenti non può comportare l’esclusione od anche il semplice affievolimento del potere – dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo “quoad functione”, gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza (in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società di investimenti, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare Consob, a garanzia degli investitori) e, d’altro lato, l’obbligo legale di denuncia immediata alla “Banca d’Italia” ed alla “Consob” (cfr. Cass. 29.3.2016, n. 6037; Cass. sez. un. 30.9.2009, n. 20934).

32. E parimenti a nulla vale addurre che “la responsabilità per culpa in vigilando va provata in concreto, non è presunta” (così ricorso incidentale, pag. 28).

Difatti questa Corte spiega che in tema di sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla “Banca d’Italia”, D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 144 nei confronti di soggetti che svolgono funzioni di direzione, amministrazione o controllo di istituti bancari, il legislatore individua una serie di fattispecie, destinate a salvaguardare procedure e funzioni ed incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, ricollegando il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico e limitando l’indagine sull’elemento soggettivo dell’illecito all’accertamento della “suità” della condotta inosservante, sicchè, integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dalla L. n. 689 del 1981, art. 3 l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (cfr. Cass. 18.4.2018, n. 9546; Cass. sez. lav. 7.9.2006, n. 19242).

33. In dipendenza del rigetto e del ricorso principale e del ricorso incidentale si giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

34. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, sia da parte della ricorrente principale sia da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. Seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2020

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