Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17211 del 12/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 12/07/2017, (ud. 09/05/2017, dep.12/07/2017),  n. 17211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5279/2016 proposto da:

SO.G.E.T. S.P.A. – SOCIETA’ GESTIONE ENTRATE TRIBUTI – C.F.

(OMISSIS), in persona del Presidente e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata, in ROMA, VIA EMILIO DE’

CAVALIERI 11, presso lo studio dell’avvocato SERGIO DELLA ROCCA, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ARCA JONICA già I.A.C.P. Istituto Autonomo Case Popolari di Taranto

– C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DI VILLA CARPEGNA 58,

presso lo studio dell’avvocato MARCO PETRINI, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIANO ZENI;

– controricorrente –

e contro

D.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 386/2015 della CORTE D’APPELLO DI LECCE –

SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 29/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 09/05/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA

CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Taranto accolse l’opposizione proposta dall’IACP di Taranto avverso il pignoramento, promosso dalla Soget s.p.a., dei canoni di locazione dovuti all’IACP dal terzo conduttore D.A..

2. La pronuncia è stata appellata dalla Soget s.p.a. e la Corte d’appello di Taranto, con sentenza del 29 ottobre 2015, ha respinto l’appello, ha confermato la decisione del Tribunale ed ha condannato la società appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

3. Contro la sentenza d’appello ricorre la Soget s.p.a. con atto affidato a sei motivi.

Resiste l’Arca Jonica con controricorso.

D.A. non ha svolto attività difensiva in questa sede. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., ed entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminare appare, in ordine logico, l’esame dei motivi secondo, terzo e quarto di ricorso.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 85, dell’art. 12 preleggi, nonchè degli artt. 828 e 2740 c.c..

3. Con il terzo motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione delle medesime norme di cui al primo motivo e si chiede, in via subordinata, di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 85, cit., in riferimento agli artt. 3, 24, 47, 97 e 117 Cost..

4. Con il quarto motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ed error in procedendo per ultrapetizione, avendo omesso l’IACP di allegare la concreta destinazione data ai canoni oggetto di pignoramento.

5. Tali motivi, da trattare congiuntamente data la stretta connessione tra loro esistente, non sono fondati.

5.1. La presente causa si inserisce in un gruppo di ricorsi analoghi che sono stati oggetto di numerose decisioni di questa Corte, alle quali non resta che richiamarsi.

In particolare, con la sentenza 26 febbraio 2016, n. 3773, seguita da molte altre (v. le sentenze 16 marzo 2016, n. 5266, 30 settembre 2016, n. 19615, e 3 ottobre 2016, n. 19757) si è affermato che la L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 85 – nel disporre che le somme ed i crediti derivanti dai canoni di locazione e dall’alienazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica di spettanza degli istituti autonomi case popolari, in quanto destinati a servizi e finalità di istituto, non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano, ai sensi dell’art. 828 c.c. – impone direttamente un vincolo di impignorabilità di tali somme e crediti, come tale integrante un caso di limitazione della responsabilità patrimoniale di detti enti, ai sensi dell’art. 2740 c.c., comma 2, occorrendo al fine dell’insorgenza del vincolo soltanto l’iscrizione nei capitoli di bilancio o in contabilità speciale, senza che sia impressa alcuna specifica destinazione.

Nelle menzionate sentenze è stata anche affrontata la complessa censura di legittimità costituzionale di cui al motivo in esame, pervenendo alla conclusione che la stessa è da ritenere manifestamente infondata, alla luce anche del precedente di cui alla sentenza 30 marzo 2001, n. 4746 (le cui argomentazioni, dettate a proposito della L. 29 ottobre 1984, n. 720, art. 1-bis, sono state ritenute estensibili anche alla norma oggi in esame).

A tali precedenti va data ulteriore continuità nella sede odierna.

Ciò determina l’infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso.

5.2. Il quarto motivo, attinente alla destinazione in concreto dei canoni oggetto di pignoramento, risulta, quando non inammissibile, comunque infondato.

Ed invero la stessa società ricorrente dà atto che, a seguito della propria contestazione, l’IACP abbia prodotto, nel termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, la Delib. di bilancio n. 157 del 2004, pur senza alcuna emendatio della domanda. Pertanto, poichè la L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 85, costituisce diretta attuazione della previsione dell’art. 2740 c.c., comma 2, la verifica in concreto compiuta dal giudice di merito (e censurata con questo motivo), va reputata irrilevante ai fini dell’accoglimento dell’opposizione dell’IACP (oggi Arca fonica) e, quindi, del rigetto dell’appello. La ricorrente è perciò carente di interesse ad impugnare le relative statuizioni (v. ancora la sentenza n. 3773 del 2016).

6. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L. 29 ottobre 1984, n. 720, art. 1-bis.

6.1. Il rigetto dei motivi secondo, terzo e quarto determina l’inammissibilità del primo.

Come risulta dalla lettura della sentenza impugnata, infatti, la Corte d’appello di Lecce ha richiamato due diverse rationes decidendi, cioè da un lato quella della impignorabilità ai sensi dell’art. 2, comma 85, cit., e dall’altro quello della nullità del pignoramento in quanto non effettuato presso il tesoriere. Ne consegue che, come già evidenziato nei citati precedenti di questa Corte (v. per tutti la sentenza n. 3773 del 2016 cit.), trova applicazione la giurisprudenza secondo cui, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (sentenza 14 febbraio 2012, n. 2108).

7. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., omesso esame di uno specifico motivo di appello e violazione del D.M. 20 luglio 2012, n. 140. Osserva la società ricorrente che la Corte d’appello avrebbe omesso ogni decisione sul motivo col quale si lamentava una condanna alle spese in misura eccessiva disposta dal Tribunale.

7.1. Il motivo non è fondato.

Analogamente a quanto già disposto da questa Corte nell’identico caso deciso con la sentenza 3 ottobre 2016, n. 19757, la lamentata omissione non sussiste, perchè la Corte d’appello ha dato atto che le spese del giudizio di primo grado erano state poste a carico della società Soget “in ossequio al disposto dell’art. 91 c.p.c.”, cioè in base al criterio della soccombenza.

Con riferimento al vizio denunciato di omessa pronuncia va qui ribadito che ad integrare gli estremi della omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessario che sia completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile in riferimento alla soluzione del caso concreto. Cosa che non si verifica quando la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (così la sentenza n. 19757 del 2016 cit.).

8. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta violazione del D.M. 20 luglio 2012, n. 140 e del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Rileva la società ricorrente che la sentenza impugnata, emessa in un giudizio il cui valore era di Euro 142,10, ha liquidato le spese del secondo grado nella somma di Euro 8.500, con una liquidazione “sproporzionata ed illogica, avulsa dai parametri di legge”, posto che nelle cause di opposizione bisognerebbe considerare il valore del bene pignorato e che si trattava di ventidue cause identiche; ne consegue che, applicando lo scaglione del D.M. n. 55 del 2014, per le cause fino ad Euro 1.100, la liquidazione delle spese dovrebbe essere contenuta nella somma di Euro 1.186 per l’appello.

8.1. Rileva la Corte che il motivo è fondato, nei termini che si vanno ora a precisare.

La medesima questione è stata affrontata nella menzionata sentenza n. 19615 del 2016 di questa Corte, alla quale occorre richiamarsi. In quella pronuncia la Corte ha già illustrato le ragioni per le quali doveva applicarsi nel giudizio di appello il D.M. n. 55 del 2014. Per le stesse ragioni indicate nel provvedimento ora richiamato (nonchè nella sentenza 3 ottobre 2016, n. 19748), il motivo di ricorso va accolto; a tanto consegue la decisione nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, attenendosi allo scaglione di riferimento fino ad curo 1.100 ed ai valori minimi di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 4, con riconoscimento all’odierna controricorrente della somma di Euro 355 a titolo di competenze, cui va aggiunta l’ulteriore somma di Euro 2.500 a titolo di spese vive.

9. L’esito del giudizio e la complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione integrale delle spese del giudizio di cassazione, mentre non si deve porre a carico della società ricorrente l’ulteriore obbligo di raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, posto che il ricorso è stato, sia pure limitatamente, accolto.

PQM

 

La Corte rigetta i motivi secondo, terzo, quarto e quinto del ricorso, dichiara inammissibile il primo, accoglie il sesto, cassa la sentenza impugnata limitatamente alla liquidazione delle spese del secondo grado di giudizio e, decidendo nel merito, condanna la Soget s.p.a. al pagamento dei compensi per tale grado, liquidati complessivamente in Euro 355, oltre spese vive per Euro 2.500, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarre in favore dell’avv. Mariano Zeni che si è dichiarato antistatario.

Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Nulla per le spese quanto ad D.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2017

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