Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17210 del 12/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 12/07/2017, (ud. 09/05/2017, dep.12/07/2017),  n. 17210

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5277/2016 proposto da:

SOGET SPA – SOCIETA’ GESTIONE ENTRATE E TRIBUTI, in persona del

legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIO

DE’ CAVALIERI 11, presso lo studio dell’avvocato SERGIO DELLA ROCCA,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ARCA JONICA, in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA DI VILLA CARPEGNA 58, presso lo studio

dell’avvocato MARCO PETRINI, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARIANO ZENI;

– controricorrente –

e contro

E.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 383/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE –

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 29/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 09/05/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA

CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Taranto rigettò l’opposizione proposta dall’IACP di Taranto avverso il pignoramento, promosso dalla Soget s.p.a., dei canoni di locazione dovuti all’IACP dal terzo conduttore E.M..

2. La pronuncia è stata appellata dall’Arca Jonica, già IACP, e la Corte d’appello di Taranto, con sentenza del 29 ottobre 2015, ha accolto il gravame, ha dichiarato nullo ed inefficace l’atto di pignoramento, ha condannato la Soget s.p.a. alla restituzione delle somme riscosse dal terzo pignorato ed ha condannato la stessa al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

3. Contro la sentenza d’appello ricorre la Soget s.p.a. con atto affidato a quattro motivi.

Resiste l’Arca Jonica con controricorso.

E.M. non ha svolto attività difensiva in questa sede. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., ed entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 85, art. 12 preleggi, nonchè degli artt. 828 e 2740 c.c..

In via subordinata, si chiede che, caso di rigetto della censura, venga sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 85, cit., in riferimento agli artt. 3, 24, 47, 97 e 117 Cost..

1.1. Il motivo non è fondato.

La presente causa si inserisce in un gruppo di ricorsi analoghi che sono stati oggetto di numerose decisioni di questa Corte, alle quali non resta che richiamarsi.

In particolare, con la sentenza 26 febbraio 2016, n. 3773, seguita da molte altre (v. le sentenze 16 marzo 2016, n. 5266, 30 settembre 2016, n. 19615, e 3 ottobre 2016, n. 19757) si è affermato che la L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 85 – nel disporre che le somme ed i crediti derivanti dai canoni di locazione e dall’alienazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica di spettanza degli istituti autonomi case popolari, in quanto destinati a servizi e finalità di istituto, non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano, ai sensi dell’art. 828 c.c. – impone direttamente un vincolo di impignorabilità di tali somme e crediti, come tale integrante un caso di limitazione della responsabilità patrimoniale di detti enti, ai sensi dell’art. 2740 c.c., comma 2, occorrendo al fine dell’insorgenza del vincolo soltanto l’iscrizione nei capitoli di bilancio o in contabilità speciale, senza che sia impressa alcuna specifica destinazione.

Nelle menzionate sentenze è stata anche affrontata la complessa censura di legittimità costituzionale di cui al motivo in esame, pervenendo alla conclusione che la stessa è da ritenere manifestamente infondata, alla luce anche del precedente di cui alla sentenza 30 marzo 2001, n. 4746 (le cui argomentazioni, dettate a proposito della L. 29 ottobre 1984, n. 720, art. 1-bis, sono state ritenute estensibili anche alla norma oggi in esame).

A tali precedenti va data ulteriore continuità nella sede odierna.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L. 29 ottobre 1984, n. 720, art. 1-bis.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Come risulta dalla lettura della sentenza impugnata, la Corte d’appello di Lecce ha richiamato come prima ratio decidendi quella della impignorabilità ai sensi dell’art. 2, comma 85, cit., ed ha poi aggiunto, ad abundantiam, che il pignoramento era da ritenere nella specie nullo in quanto non effettuato presso il tesoriere. Ne consegue che, come già evidenziato nei numerosi precedenti di questa Corte (v. per tutti la sentenza n. 3773 del 2016 cit.), trova applicazione la giurisprudenza secondo cui, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (sentenza 14 febbraio 2012, n. 2108).

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, in ordine alla corretta individuazione della causa petendi della domanda giudiziale introdotta dall’I.A.C.P., l’omessa allegazione della concreta destinazione impressa ai canoni oggetto di pignoramento. Si lamenta, in particolare, che non sia stata chiesta la nullità del pignoramento sulla base della destinazione impressa in concreto ai canoni di locazione.

3.1. Il motivo, quando non inammissibile, è comunque infondato.

Ed invero la stessa società ricorrente dà atto che, a seguito della propria contestazione, l’IACP abbia prodotto, nel termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, la Delib. di bilancio n. 157 del 2004, pur senza alcuna emendatio della domanda. Ne consegue che, come già rilevato nei precedenti di questa Corte nella stessa vicenda, poichè la L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 85, costituisce diretta attuazione della previsione dell’art. 2740 c.c., comma 2, la verifica in concreto compiuta dal giudice di merito (e censurata con questo motivo), va reputata irrilevante ai fini dell’accoglimento dell’opposizione dell’IACP (oggi Arca Jonica), quindi dell’accoglimento dell’appello. La ricorrente è perciò carente di interesse ad impugnare le relative statuizioni sul punto.

4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione del D.M. 20 luglio 2012, n. 140 e del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Rileva la società ricorrente che la sentenza impugnata, emessa in un giudizio il cui valore era di Euro 52,31, ha liquidato per il primo grado la somma di Euro 8.790, e per il secondo grado quella di Euro 6.606,50, con una liquidazione “sproporzionata ed illogica, avulsa dai parametri di legge”, posto che nelle cause di opposizione bisognerebbe considerare il valore del bene pignorato e che si trattava di ventidue cause identiche; ne consegue che, applicando lo scaglione del D.M. n. 55 del 2014 per le cause fino ad Euro 1.100, la liquidazione delle spese dovrebbe essere contenuta nella somma di Euro 1.172 per il primo grado e di Euro 1.186 per l’appello.

4.1. Rileva la Corte che il motivo è parzialmente fondato, nei termini che si vanno ora a precisare.

La medesima questione è stata affrontata nella menzionata sentenza n. 19615 del 2016 di questa Corte, alla quale occorre richiamarsi. In quella pronuncia, nella quale la sentenza di primo grado era stata pubblicata in data 3 maggio 2012, esattamente come nel caso oggi in esame, la Corte ha già illustrato le ragioni per le quali doveva applicarsi nel giudizio di primo grado il D.M. 8 aprile 2014, n. 127, e in appello il D.M. n. 55 del 2014. Per le stesse ragioni indicate nel provvedimento ora richiamato (nonchè nella sentenza 3 ottobre 2016, n. 19748), il motivo di ricorso va accolto limitatamente alla liquidazione delle spese del giudizio di appello; a tanto consegue la decisione nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, attenendosi allo scaglione di riferimento fino ad Euro 1.100 ed ai valori minimi di cui all’art. 4 del d.m. n. 55 del 2014, con riconoscimento all’odierna controricorrente della somma di Euro 355 a titolo di competenze, cui va aggiunta l’ulteriore somma di Euro 2.500 a titolo di spese vive.

5. L’esito del giudizio e la complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione, mentre non si deve porre a carico della società ricorrente l’ulteriore obbligo di pagamento del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, posto che il quarto motivo di ricorso è stato, sia pure parzialmente, accolto.

PQM

 

La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso; accoglie il quarto, cassa la sentenza impugnata limitatamente alla liquidazione delle spese del secondo grado di giudizio e, decidendo nel merito, condanna la SO.G.E.T. s.p.a. al pagamento dei compensi per tale grado, liquidati complessivamente in Euro 355, oltre spese vive per Euro 2.500, oltre spese generali, IVA e CPA’ come per legge, da distrarre in favore dell’avv. Mariano Zeni che si è dichiarato antistatario.

Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Nulla per le spese quanto a E.M..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2017

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