Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17207 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. I, 16/06/2021, (ud. 20/10/2020, dep. 16/06/2021), n.17207

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9553/2016 proposto da:

C.M.C., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso

la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’avvocato Giuseppe Fallica, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

F.A., elettivamente domiciliato in Roma, via G. Banti n.

34, presso lo studio dell’avvocato Anna Maria Bruni, rappresentato e

difeso dall’avvocato Giovanni Barbagallo, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

nonchè contro

Fallimento della s.d.f. (OMISSIS) e personale dei soci

F.F.A. fu G., F.F.S.C. fu

A. e F.A.A.C., in persona del curatore avv.

Antonino Gitto, elettivamente domiciliato in Roma, via Alessandria

n. 25, presso lo studio dell’avvocato Chiara Borromeo, rappresentata

e difesa dall’avvocato Francesca Consiglio, giusta procura in calce

al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.M.C., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso

la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’avvocato F.G., giusta procura a margine del

ricorso principale;

-controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 809/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 12/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/10/2020 dal cons. Dott. LAURA TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

Con atto di citazione del novembre 2004 C.M.C. convenne dinanzi al Tribunale di Catania il Fallimento, dichiarato nel 1986, della s.d.f. (OMISSIS) e dei soci illimitatamente responsabili F.F.A., F.F.S.C. e F.A.A.C..

L’attrice, vedova del socio F.F.A., deceduto nel (OMISSIS), espose che, con atto antenunziale trascritto nei registri immobiliari di Catania il 23 marzo 1955 e perciò opponibile al Fallimento, aveva convenuto con l’allora futuro marito il regime patrimoniale della comunione dei beni, in ragione della quale tutti i beni mobili ed immobili acquistati dal defunto in costanza di matrimonio erano caduti in comunione; rappresentò inoltre che il coniuge, tra la fine degli anni ‘70 e gli inizi degli anni ‘80, per acquisire liquidità a seguito di sopravvenute difficoltà economiche, le aveva alienato in data 20/3/1980 una serie di immobili ereditati, di sua esclusiva proprietà, e la sua quota parte di alcuni degli immobili in comproprietà acquistati nel corso del matrimonio, senza però che mai fosse stato stipulato l’atto pubblico di trasferimento; affermò infine di aver posseduto tutti i beni in questione uti dominus sin dal 1980 e di averne perciò, in ogni caso, acquisito la proprietà per usucapione.

Poste tali premesse, chiese in via principale di accertare l’intervenuto suo acquisto, a titolo originario o derivato, della piena proprietà di tutti gli immobili indicati od, in subordine, di procedere allo scioglimento della comunione sui cespiti acquistati in costanza di matrimonio.

Il Fallimento, costituitosi in giudizio, concluse per il rigetto delle domande, evidenziando nelle proprie difese: che l’atto antenuziale non gli era opponibile; che, prima di essere dichiarata fallita, la s.d.f. (OMISSIS) era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo, nell’ambito della quale F.F.A. aveva disposto, senza il consenso dell’attrice, della piena proprietà di quasi tutti gli immobili acquistati in costanza di matrimonio, da lui offerti in garanzia con atto trascritto in favore della massa dei creditori il 24.1.1981; che C. era decaduta dall’azione di annullamento ex art. 184 c.c. Chiese inoltre, in via riconvenzionale, il “trasferimento in proprietà” di tutti i beni rivendicati dall’attrice, nonchè la condanna di quest’ultima alla restituzione della somma, maggiorata di interessi e rivalutazione, di Euro 360.328,96, corrispondente alla metà del prezzo ricavato dalla vendita in corso di procedura di uno degli immobili del socio defunto, che il curatore le aveva versato sull’errato presupposto che ella fosse comproprietaria della quota indivisa di un mezzo del cespite.

Nel giudizio intervenne volontariamente anche il socio fallito F.A.A.C., che aderì alle difese del convenuto.

C., in replica, eccepì l’inammissibilità dell’intervento e la prescrizione della domanda restitutoria; chiese inoltre l’annullamento ex art. 184 c.c. dell’atto a mezzo del quale il marito aveva vincolato interamente al soddisfacimento dei creditori concorsuali i beni immobili acquistati in costanza di matrimonio.

Il tribunale, con sentenza pubblicata il 19/11/2007: a) affermò l’inopponibilità alla curatela della convenzione antenunziale, perchè non annotata a margine dell’atto di matrimonio secondo quanto richiesto dall’art. 162 c.c.; b) dichiarò la decadenza di C. dalla domanda di annullamento ex art. 184 c.c.; c) in accoglimento della prima domanda riconvenzionale proposta dal Fallimento, accertò che gli immobili della cui titolarità si dibatteva in giudizio facevano parte dell’attivo fallimentare; d) respinse l’ulteriore domanda, di ripetizione di indebito, svolta in via riconvenzionale dal convenuto.

La sentenza di primo grado fu impugnata in via principale da C. e in via incidentale dal Fallimento.

La Corte d’appello di Catania, con sentenza del 12.5.2015, ha accolto in minima parte (in relazione ad un unico cespite) l’impugnazione principale e respinto interamente quella incidentale.

Quanto all’appello principale, per ciò che ancora interessa, la Corte distrettuale ha affermato: a) che il socio era legittimato a proporre intervento adesivo dipendente; b) che il tribunale non aveva omesso di pronunciare sulla domanda di C. di accertamento della comproprietà dei beni acquistati dal marito in costanza di matrimonio, ma l’aveva implicitamente rigettata laddove aveva affermato che la convenzione prematrimoniale non era opponibile al Fallimento; c) che, effettivamente, la convenzione non era opponibile in quanto, a seguito della riforma del 1975, avrebbe dovuto essere annotata a margine dell’atto di matrimonio e non lo era stata; d) che, premessa l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., delle nuove richieste istruttorie formulate dall’appellante principale, andava escluso che questa avesse fornito prova di aver usucapito gli immobili; e) che non ricorreva il denunciato vizio di ultrapetizione del primo giudice, il quale aveva correttamente interpretato la domanda del Fallimento di “trasferimento in proprietà” degli immobili acquistati dal socio defunto come domanda di accertamento dei diritti della procedura in ordine a tali beni; f) che C., soccombente nel giudizio di primo grado, era stata correttamente condannata a pagare le spese anche al socio intervenuto. Quanto all’appello incidentale, la Corte distrettuale ha affermato che la somma versata a C. dal curatore in esecuzione di un atto dispositivo non impugnabile, perchè compiuto, ai sensi della L.Fall., art. 31, su autorizzazione del G.D., non era ripetibile.

C.M.C. ha proposto ricorso, con nove motivi, per la cassazione della sentenza; hanno replicato, con separati controricorsi, F.A.A.C. e il Fallimento della s.d.f. (OMISSIS) e dei soci illimitatamente responsabili; quest’ultimo ha pure proposto ricorso incidentale con due motivi, al quale C. ha a sua volta resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 276,158 c.p.c. con conseguente nullità della sentenza o del procedimento.

La ricorrente espone che, in appello, le conclusioni erano state precisate all’udienza del 24/10/2014 e la discussione orale della causa si era svolta all’udienza del 14/11/2014, dinanzi al collegio composto dalla presidente M. e dai consiglieri R. e V., mentre la causa è stata decisa da un diverso collegio, composto, oltre che dalla Dott.ssa M. e dalla Dott.ssa R., dal Dott. C.F., che non aveva nè raccolto la precisazione delle conclusioni, nè ascoltato la discussione orale, ciò in violazione delle disposizioni anzidette.

1.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 276,158 e 51 c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza o del procedimento.

Sempre dolendosi della errata composizione del collegio, la ricorrente critica la partecipazione alla deliberazione di un consigliere (il Dott. C.), da ritenersi incompatibile, giacchè aveva istruito e deciso il giudizio di primo grado.

1.1.2. I motivi, da trattarsi congiuntamente per connessione, sono infondati, atteso che l’indicazione, nell’intestazione della sentenza, del Dott. C. quale terzo componente del collegio giudicante, in luogo di quello effettivo, d.ssa V., è frutto di un errore materiale, corretto con ordinanza della corte distrettuale del 20/7-17/8/2016 (documento versato in atti dalla Curatela ex art. 372 c.p.c.).

Pertanto, non essendovi alcuna difformità nella composizione del collegio che ha pronunciato la sentenza rispetto a quello dinanzi al quale si era svolta la discussione orale e che aveva riservato in decisione la causa, va esclusa la ricorrenza dei vizi di nullità denunciati.

1.2.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 190 e 352 c.p.c. e del diritto di difesa e la conseguente nullità della sentenza.

La ricorrente – premesso che all’udienza del 24/10/2014, in cui erano state precisate le conclusioni nel giudizio d’appello, ella aveva sia avanzato richiesta di discussione orale della causa, sia chiesto i termini di cui all’art. 190 c.p.c. – si duole che la corte del merito si sia limitata a fissare l’udienza ex art. 352 c.p.c., comma 2, tenutasi il 14/11/2014, ma non abbia assegnato i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

1.2.2. Il motivo è infondato.

1.2.3. Come riferito dai controricorrenti (fol. 11 del controricorso del Fallimento; fol. 7 del controricorso di A. C. F.A.) e non smentito dalla ricorrente, il termine per le memorie conclusionali e le repliche era stato già concesso all’udienza collegiale del 30/11/2012, tanto che C. aveva depositato la comparsa conclusionale il 28/1/2013 e di seguito la memoria di replica; la controversia aveva subito quindi una serie di rinvii, per pervenire all’udienza del 24/10/2014, in occasione della quale C. aveva chiesto nuovo termine ex art. 190 c.p.c., oltre che la discussione orale.

Tali circostanze – sulle quali la ricorrente non si sofferma affatto risultano decisive per disattendere la doglianza alla luce dei principi già elaborati da questa Corte.

Invero, “Il rinvio, a seguito di rimessione della causa sul ruolo, dell’udienza di cui all’art. 352 c.p.c. nel procedimento di appello, non comporta la riapertura dei termini per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi dell’art. 190 c.p.c., allorchè, non essendo stata svolta tra le due udienze alcuna attività processuale, possa escludersi qualsiasi eventualità di un effettivo pregiudizio del diritto di difesa.” (Cass. n. 3737 del 13/3/2003). Tanto chiarito, la circostanza che la causa sia stata trattenuta una prima volta a sentenza, con scambio tra le parti delle rispettive difese (a seguito del provvedimento di concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.), non abilita le parti a pretendere un ulteriore termine per il deposito di nuove comparse a seguito della successiva rimessione del giudizio sul ruolo (cfr., Cass. n. 3737 del 13/3/2003; Cass. n. 5482 del 19/6/1997; Cass. n. 15703 del 21/6/2013) e può senz’altro escludersi qualsiasi eventualità di un effettivo pregiudizio del diritto di difesa, giacchè non risulta che nel periodo temporale intercorso tra le due udienze sia stata compiuta attività istruttoria o siano emersi fatti nuovi. La stessa ricorrente, del resto, si è limitata ad una generica doglianza, senza indicare alcuno specifico aspetto che non aveva potuto compiutamente trattare in dipendenza del mancato rinnovo della concessione dei termini.

1.3.1. Con il quarto motivo si denunciano la violazione o falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 43 (L. Fall.) e la nullità della sentenza o del procedimento per essere stato ritenuto ammissibile l’intervento del fallito F.A.A.C..

A parere della ricorrente, questi non poteva intervenire nel giudizio, nemmeno in via adesiva dipendente, perchè aveva perso la capacità di stare in giudizio L.Fall., ex art. 43.

1.3.2. Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi e non la censura adeguatamente, posto che la corte di appello ha dichiarato inammissibile il gravame sul punto “per non avere l’appellante preso in alcuna considerazione la motivazione del primo giudice”, per poi richiamare, ad abundantiam, il principio enunciato da questa Corte con la sentenza n. 7997/1990.

1.4.1. Con il quinto motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 277,112 e 161 c.p.c.

Secondo la ricorrente il giudice d’appello, come già quello di primo grado, avrebbe omesso di pronunciare sulla domanda di accertamento del suo diritto di comproprietà sulla metà indivisa dei beni mobili e immobili acquistati dal marito in costanza di matrimonio, che non aveva nulla a vedere con l’opponibilità ai terzi della convenzione antenuziale e rispetto alla quale, pertanto, sarebbe stato erroneamente affermato il suo difetto di interesse.

1.4.2. Il motivo è inammissibile.

1.4.3. La stessa C. riconosce che la corte territoriale ha esaminato il motivo d’appello col quale aveva lamentato l’omessa pronuncia del primo giudice sulla domanda, respingendolo nei seguenti termini “Va poi rilevato, in relazione alla fattispecie concreta, come la prima domanda, diretta al mero accertamento della comproprietà degli immobili acquistati dal marito dell’attrice, sia da ritenersi implicitamente e correttamente rigettata dal primo giudice, per l’evidente carenza di interesse, a fronte del riconoscimento della non opponibilità della convenzione del 1955 per cui è causa”.

1.4.4. Va dunque esclusa la ricorrenza del vizio denunciato, nè la censura, che consiste nella mera riproposizione della tesi della ricorrente in termini apodittici, non seguiti dall’illustrazione delle ragioni del suo autonomo interesse ad ottenere l’accertamento in questione nei confronti delle controparti (non risultando, fra l’altro, che sia mai stata in contestazione la sua qualità di erede del socio defunto) può essere esaminata sotto un diverso profilo (cfr. Cass. n. 4905 del 24/02/2020; Cass. n. 13066 del 5/06/2007).

1.5.1. Con il sesto motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 162 c.c., della L. n. 151 del 1975, art. 227, dell’art. 2647 c.c., dell’art. 184 c.c. e della sentenza della Cassazione n. 2104/1990, nonchè la nullità della sentenza o del procedimento e la mancanza di motivazione.

La ricorrente deduce l’erroneità della pronuncia di inopponibilità della convenzione prenuziale al Fallimento, sostenendo che il suo diritto di comproprietà della metà indivisa dei beni mobili ed immobili acquistati dal marito prima della riforma del diritto di famiglia era indiscusso e si era già perfezionato anteriormente alla sentenza dichiarativa, sia dal punto di vista formale che sostanziale, essendo stata la convenzione regolarmente trascritta nei registri immobiliari, secondo quanto al tempo richiesto dalla legge. Lamenta inoltre che la corte d’appello abbia confermato sul punto la decisione del primo giudice, ritenendo corretto il rinvio da questi operato a Cass. n. 2104/90 – che tratterebbe invece dell’opponibilità ai terzi delle convenzioni successive alla riforma – senza neppure argomentare in ordine al rigetto della domanda di annullamento degli atti di disposizione dei beni caduti in comunione compiuti dal marito senza il suo dovuto consenso.

1.5.2. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

1.5.3. Giova premettere che la ricorrente, che nel corso del giudizio di merito aveva contestato la qualità di terzo del curatore, non ha espressamente impugnato il capo della sentenza con il quale la corte territoriale ha disatteso la sua tesi – ed affermato (peraltro in conformità del costante e consolidato indirizzo di questa Corte) che il curatore è terzo rispetto al fallito, in quanto portatore degli interessi della massa dei creditori – ma si è limitata a prospettare in ricorso un dubbio sul punto, senza articolare alcuna specifica critica alla statuizione anzidetta.

Ciò precisato, va osservato che la Corte di appello ha applicato correttamente il principio di legittimità secondo il quale “L’opponibilità ai terzi della comunione degli utili e degli acquisti, costituita prima della riforma del diritto di famiglia (L. 19 maggio 1975, n. 151), è condizionata soltanto alla annotazione a margine dell’atto di matrimonio, prevista dallo art. 162 c.c., per le convenzioni matrimoniali, senza che sia richiesta la trascrizione della relativa convenzione a norma dell’art. 2647 c.c., atteso che la L. n. 151 del 1975, art. 227 non ha previsto l’ultrattività delle precedenti norme per tale comunione, come invece ha disposto per le doti e i patrimoni familiari” (Cass. n. 2104 del 15/03/1990), bene interpretando questo precedente, e che la decisione sul punto è immune da vizi.

Invero “Ai sensi degli artt. 162 e 163 c.c. affinchè la pubblicità relativa alla stipula e alle modifiche delle convenzioni matrimoniali renda le stesse opponibili ai terzi è necessaria e sufficiente l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio iscritto nel registro depositato presso gli uffici del Comune di celebrazione, poichè è presso questi uffici che i terzi interessati hanno l’onere di recarsi per avere conoscenza di come siano stati regolati i rapporti patrimoniali tra i coniugi e non anche presso altri uffici…” (Cass. n. 18870 del 10/07/2008).

1.5.4. A ciò va aggiunto, con riferimento agli effetti dell’inopponibilità ed alla irrilevanza della eventuale conoscenza aliunde della convenzione, che te disposizioni dell’art. 162 c.c., circa le forme delle convenzioni medesime, ivi inclusa quella del comma 3, che ne condiziona l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio, comportano, come in ogni caso in cui la legge dispone che per l’opponibilità di determinati atti è necessaria una certa forma di pubblicità, che la forma di pubblicità costituita dalla suddetta annotazione non ammette deroghe o equipollenti e che resta anche irrilevante l’effettiva conoscenza della costituzione della convenzione che il terzo abbia altrimenti potuto conseguire, pur dovendosi escludere che l’annotazione predetta assuma in tal modo una funzione costitutiva, giacchè l’unico effetto che condiziona è l’opponibilità ai terzi, mentre non incide a qualunque altro effetto sulla validità ed efficacia dell’atto (Cass. n. 12864 del 19/11/1999).

1.5.5. Va, inoltre, osservato che la statuizione con cui la corte di appello ha dichiarato l’irrilevanza di condotte della curatela sintomatiche del generico riconoscimento della comproprietà dei beni acquistati da F.F.A., perchè prive di efficacia in materia di diritti reali (fol. 15 della sent. imp.) è censurata in maniera inammissibile, mediante la mera asserzione “Di nessun rilievo è che trattasi di diritti reali. Ha errato la corte a rigettare la domanda” (fol. 12 del ric.) non seguita da alcuna puntuale argomentazione critica (v. sub 1.4.4.).

1.5.6. La doglianza concernente il mancato accoglimento dell’azione di annullamento ex art. 184 c.c. è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi.

La decisione – contrariamente a quanto assume la ricorrente – è infatti motivata sul preliminare e dirimente accertamento della carenza di interesse della ricorrente, in ragione dell’inopponibilità della convenzione antenunziale alla curatela, e tale specifica ratio non risulta censurata.

1.6.1. Con il settimo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1158,1159,1350 c.c.; degli artt. 277,161,112,115,116,117,257,345,354 e 356 c.p.c.; la nullità della sentenza o del procedimento in relazione al mancato accoglimento della domanda di usucapione; l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

La ricorrente sostiene in primo luogo che il capo della sentenza con il quale la corte distrettuale ha rigettato la domanda di usucapione dell’intero compendio immobiliare dedotto in giudizio, e quindi anche della quota di metà indivisa già di sua proprietà, è privo di motivazione.

Deduce poi l’erroneità della declaratoria di inammissibilità delle nuove richieste istruttorie da lei formulate in appello, in quanto fondata sulla nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c. (a seguito della riforma del 2012), non applicabile al processo ratione temporis, ed insiste sulla rilevanza dei mezzi di prova articolati.

Lamenta, ancora, l’errata valutazione della prova testimoniale espletata, affermando che i testi escussi avrebbero tutti confermato il suo possesso ultraventennale degli immobili oggetto di causa e l’estromissione del marito.

Si duole dell’omesso esame di circostanze decisive, costituite dall’atto con il quale, il 20/3/1980, il coniuge le aveva alienato tutti i beni di cui era proprietario (per l’intero o per la quota di un mezzo in comproprietà indivisa) ed a partire dal quale ella aveva esercitato il possesso in via esclusiva, con animus rem sibi habendi, nonchè dalla condotta del curatore, che non aveva mai contestato tale possesso, nè aveva mai avanzato pretese (circa il proprio possesso o detenzione) con esso contrastanti.

Denuncia, infine, il vizio di omessa pronuncia della sentenza sulla domanda di usucapione della sua quota in comproprietà indivisa degli immobili acquistati in costanza di matrimonio.

1.6.2. Tutte le censure in cui si articola il motivo sono inammissibili.

1.6.3. Quella attinente al preteso difetto di motivazione della statuizione di rigetto della domanda di usucapione non è in alcun modo illustrata e si risolve in una mera asserzione, priva di qualsivoglia argomentazione critica idonea a supportarla.

1.6.4.Quella attinente all’erroneità della declaratoria di inammissibilità dei nuovi mezzi di prova difetta totalmente di specificità, posto che la ricorrente non ha neppure accennato al contenuto delle prove di cui aveva chiesto l’ammissione per la prima volta in appello e che pertanto questa Corte, che non ha accesso diretto agli atti di causa, non è in grado di valutare se, secondo quanto previsto dal testo dell’art. 345 c.p.c. applicabile ratione temporis, le stesse dovessero ritenersi indispensabili al fine dell’accoglimento del gravame.

1.6.5. Analoghe considerazioni vanno svolte con riguardo alla censura che lamenta l’omesso esame della scrittura del 20/3/1980 e della condotta del curatore: al di là del rilievo che la ricorrente, in mancanza di qualsivoglia accertamento della sentenza sul punto, dà per scontati sia il contenuto della scrittura (non allegata specificamente al ricorso e di cui non è neppure indicata l’esatta collocazione in atti) sia l’avvenuto riconoscimento da parte del curatore del suo diritto di proprietà sui beni, resta che la doglianza non si cura minimamente di chiarire le ragioni della decisività delle dedotte circostanze ai fini dell’accoglimento della domanda di usucapione.

1.6.6. Quanto all’invocata, errata valutazione delle prove testimoniali ammesse, è sufficiente rilevare che si tratta di vizio dedotto in via totalmente generica (il motivo non riporta alcuna dichiarazione dei testi) e, comunque, non più denunciabile ai sensi dell’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

1.6.7. Infine va rilevato il difetto di specificità anche della censura che lamenta l’omessa pronuncia sulla domanda di usucapione “della metà indivisa di comproprietà dei beni mobili ed immobili, posseduta sin dall’acquisto”, con la quale la ricorrente sembrerebbe voler far decorrere per tali quote l’inizio del possesso ad usucapionem sin dal momento dell’originario atto di acquisto. Non risulta, infatti, che siffatta domanda sia stata separatamente (e tempestivamente) introdotta nel giudizio di merito, con conseguente necessità di una distinta statuizione del giudice in ordine alla stessa: al contrario, dalla lettura della sentenza impugnata, si desume che C. ha proposto un’unica domanda di usucapione, chiedendo di accertare la decorrenza dal 20/3/1980 del suo acquisto a tale titolo di tutti i beni oggetto del giudizio.

1.7.1. Con l’ottavo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 277,112,115,116,117,257 c.p.c.; degli arrt. 1158, 1159, 1350 e 2697 c.c.; la nullità della sentenza o del procedimento e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

La ricorrente lamenta il rigetto del motivo di appello con cui aveva denunciato il vizio di ultrapetizione in cui era incorso il primo giudice, per aver accolto una domanda di accertamento della legittima acquisizione dei beni controversi all’attivo fallimentare mai proposta dal Fallimento, il quale si era limitato a richiedere, in via riconvenzionale, il trasferimento in proprietà di tali beni.

Deduce che, nell’assumere che il tribunale non era vincolato al tenore letterale della domanda e l’aveva correttamente interpretata, la corte del merito avrebbe anch’essa pronunciato ultra petita e non avrebbe motivato sulle ragioni del rigetto, sul punto, del gravame.

1.7.2. Il motivo è infondato, posto che nel più sta il meno e che pertanto la domanda riconvenzionale del Fallimento ben poteva essere esaminata nei più ristretti limiti in cui è stata accolta dal primo giudice.

Va peraltro osservato che l’accertamento del tribunale in ordine alla legittima acquisizione degli immobili all’attivo della procedura discendeva, ipso facto, dal rigetto delle domande avanzate da C., sicchè, a bene vedere, neppure necessitava della proposizione di un’apposita domanda riconvenzionale del curatore, nè formava oggetto di un capo della decisione autonomamente impugnabile dall’odierna ricorrente.

1.8.1. Con il nono motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..

La ricorrente lamenta che la corte d’appello, che ha dichiarato interamente compensate le spese del grado, abbia respinto il motivo di gravame con cui ella aveva chiesto la compensazione anche di quelle del primo giudizio.

1.8.2. Il motivo è inammissibile sia per la sua assoluta genericità, sia perchè è principio consolidato che la facoltà di disporre la compensazione delle spese tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con un’espressa motivazione del mancato uso della sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione (Cass. n. 11329 del 26/04/2019; Cass. n. 8421 del 31/03/2017; Cass. n. 24502 del 17/10/2017).

2. Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 31 e art. 2033 c.c.

Il Fallimento rileva che un provvedimento autorizzativo del G.D., che non ha natura decisoria su diritti soggettivi, ove pregiudizievole dei diritti della massa è certamente suscettibile di impugnativa in sede contenziosa; assume pertanto che la corte d’appello, nel ritenere insindacabile la condotta del curatore sul presupposto che fosse stata autorizzata dal giudice delegato, ha di fatto attribuito all’organo di gestione della procedura un potere di disporre dei beni acquisiti all’attivo che certamente non gli è riconosciuto dalla L.Fall., art. 31.

2.1.2. Il motivo è inammissibile, perchè non si cura di specificare a quale titolo il Fallimento abbia chiesto la restituzione della somma versata alla C. nè in quali termini sia stata impugnata la statuizione del primo giudice di rigetto della domanda: non è chiarito, in sostanza, se il curatore abbia proposto ab origine un’azione di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c. e se, in caso positivo, essa sia stata devoluta anche all’esame del giudice d’appello, il quale, essendosi limitato a ritenere “non revocabile e non impugnabile” (con autonoma azione giudiziale) l’atto dispositivo compiuto dal curatore con l’autorizzazione del giudice delegato, non risulta averla in concreto esaminata.

2.2.1. Il secondo motivo di ricorso incidentale, concernente la statuizione di compensazione, è sostanzialmente subordinato, perchè presuppone l’accoglimento del primo motivo, e va dichiarato assorbito.

3. In conclusione, il ricorso principale va rigettato ed il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile, potendosi compensare interamente le spese del giudizio di legittimità in ragione della peculiarità dell’intera vicenda e della reciproca soccombenza delle parti.

Va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per i rispettivi ricorsi (Cass. Sez.U. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

– Compensa le spese del giudizio tra le parti;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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