Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17205 del 11/07/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 1 Num. 17205 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA

sul ricorso 12809-2010 proposto da:
PARUSCIO DANIELA (C.F. PRSDNL65L66I829F), nella
qualità di curatore del Fallimento LA NUOVA ALBA
S.C.A.R.L.

(C.F.

02126300132),

elettivamente

Data pubblicazione: 11/07/2013

domiciliata in ROMA, P.LE CLODIO 32, presso
l’avvocato CIABATTINI SGOTTO LIDIA, rappresentata e
2013
902

difesa dall’avvocato LIGUORI GIOVANNI, giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

1

BANCA CREDITO VALTELLINESE SOCIETA’ COOPERATIVA, MY
CIRO (c.f. MYXCRI53TO5G902E);
– intimati –

avverso la sentenza n. 926/2010 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/03/2010;

pubblica udienza del 22/05/2013 dal Consigliere
Dott. SERGIO DI AMATO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato CIABATTINI,
con delega, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO APICE che ha concluso per
l’accoglimento del primo motivo, assorbito il
resto.

udita la relazione della causa svolta nella

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 26 marzo 2010 la Corte di appello di
Milano dichiarava la nullità della sentenza dichiarativa
del fallimento di “La nuova alba cooperativa sociale a
r.l.” pronunziata dal Tribunale di Lecco in data 26

novembre 2009, su istanza della Banca Credito
Valtellinese Società Cooperativa. In particolare, la
Corte di appello osservava che la notifica dell’istanza
di fallimento e del pedissequo decreto di fissazione
dell’udienza era stata effettuata senza esito alla
società presso la sede sociale di Lecco e,
successivamente, ai sensi dell’art. 145 c.p.c., al suo
amministratore My Ciro, presso la sua residenza di Olbia,
ove la notifica non aveva luogo in quanto l’ufficiale
giudiziario, in occasione dell’accesso in data 9 ottobre
2009, riferiva che il My non viveva più in loco da tempo;
che successivamente la notifica veniva eseguita, ai sensi
dell’art. 143 c.p.c., presso il Comune di Olbia,
individuato quale comune di ultima residenza del
notificando; che, tuttavia, quest’ultima notifica doveva
ritenersi nulla in quanto dalla relata dell’ufficiale
giudiziario non risultava l’effettuazione di alcuna
ricerca per accertare che l’assenza del destinatario
presso la sua residenza di Olbia non fosse solo precaria,
ma si configurasse come una vera e propria irreperibilità

3

oggettiva con il trasferimento del notificando per luogo
ignoto.
Il

fallimento propone

ricorso per

cassazione,

deducendo tre motivi. My Ciro, La nuova alba cooperativa
sociale a r.l. e la Banca Credito Valtellinese Società

Cooperativa non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il fallimento

deduce la

violazione degli artt. 143, 160, 162 c.p.c., degli artt.
15, 16 e 18 1. fall nonché il vizio di motivazione,
lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva
ritenuto la nullità della notificazione, considerato che
l’ufficiale giudiziario già in data 27 marzo 2009 aveva
tentato senza esito la notifica al My, nella sua
residenza di Olbia, di un atto di precetto del Credito
Valtellinese ed aveva riferito che il My «di fatto non
risiede in loco, dove rinvengo una casa disabitata che
viene locata per le vacanze estive»; in tale situazione,
poiché in sede di reclamo il My aveva ribadito di
risiedere in Olbia all’indirizzo ove era stata tentata
inutilmente la notifica, non poteva rimproverarsi
all’ufficiale giudiziario di non avere accertato ove il
notificando avesse trasferito la sua residenza né di non
avere rinvenuto il My. Nella fattispecie, invece, era
palese una scorrettezza della società e del suo
amministratore, che con i loro comportamenti si erano
4

resi irreperibili ed avevano reso impossibile la
notificazione con la conseguenza che, considerata
l’esigenza di una rapida instaurazione della procedura
fallimentare, si poteva prescindere da una notificazione
della convocazione nelle forme previste dall’art. 143

c.p.c.
Il motivo è infondato. Si deve premettere che nel caso
in esame la legge fallimentare trova applicazione ratione
temporis nella formulazione dettata dal d.lgs. n. 5 del
2006 e dal successivo decreto correttivo, mentre
naturalmente non trovano applicazione le rilevanti novità
in tema di notificazione dettate dall’art. 17 del d.l. n.
179/2012, applicabili solo ai procedimenti che saranno
introdotti dopo il 31 dicembre 2013. Nel predetto regime
applicabile

ratione temporis

il procedimento per la

dichiarazione di fallimento è stato compiutamente
disciplinato con riferimento alla fase relativa alla
instaurazione del contraddittorio attraverso la
previsione della notificazione al debitore del ricorso e
del decreto di fissazione dell’udienza (1. fall., art.
15, comma terzo). Inoltre, poiché dopo la riforma,
durante il procedimento prefallimentare, «il tribunale,
ad istanza di parte, può emettere i provvedimenti
cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o
dell’impresa», si deve ritenere che non possano più
essere invocate quelle esigenze di sollecita
5

instaurazione della procedura che nel precedente regime
potevano

giustificare

del

l’esonero

tribunale

«dall’adempimento di ulteriori formalità, ancorché
normalmente previste dal codice di rito, allorquando la
situazione di oggettiva irreperibilità dell’imprenditore

debba imputarsi a sua stessa negligenza ed a condotta non
conforme agli obblighi di correttezza di un operatore
economico» (così, e

plurimis,

con riferimento alla

precedente disciplina, Cass. ord. 8 febbraio 2011, n.
3062 in conformità ad una consolidata giurisprudenza che
aveva recepito le indicazioni della Corte costituzionale,
con la sentenza 16 luglio 1970, n. 141, in punto di
salvaguardia della riserva di compatibilità). Si deve,
pertanto, ritenere che la notificazione al debitore deve
necessariamente avvenire nelle forme di cui all’art. 136
specie
non
mu.O.:eca•nz
verificatosi, che il presidente del tribunale,
c.p.c.

e

ss.,

salvo

il

caso,

nella

di abbreviazione dei termini per ragioni di urgenza,
disponga «che ricorso e decreto di fissazione
dell’udienza siano portati a conoscenza delle parti con
ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non
indispensabile alla conoscenza degli stessi» (1. fall.,
art. 15, comma quinto).
Una

volta

stabilito

che

nella

notificazione

dell’istanza di fallimento e del decreto di convocazione
devono essere seguite le forme del codice di rito, salvo
6

che non ricorra l’ipotesi da ultimo ricordata, deve
trovare applicazione il principio, consolidato nella
giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il ricorso
alle formalità di notificazione di cui all’art. 143
c.p.c., per le persone irreperibili, presuppone sempre e

comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano
compiute effettive ricerche e che di esse
l’ufficiale giudiziario dia espresso conto (e

plurimis

Cass. 2 dicembre 2003, n. 18385). Nella specie di tali
ricerche non vi è menzione nella relazione dell’ufficiale
giudiziario, che ; in occasione del tentativo di notifica
presso la residenza del notificando nel Comune di Olbia
si è limitato a riferire che il My non viveva più in loco
da tempo. Da ciò consegue la nullità della notificazione
e, per violazione del contraddittorio, la nullità della
sentenza emessa in data 26 novembre 2009 dal Tribunale di
Lecco.
Con il secondo motivo, proposto in via subordinata, il
fallimento deduce la violazione degli artt. 143, 160,
162, 354 c.p.c. e 18 1. fall, lamentando che la Corte di
appello, dichiarata la nullità della sentenza per la
nullità della notificazione dell’atto introduttivo del
giudizio, aveva omesso di disporre la rimessione delle
parti al Tribunale di Lecco.
Il motivo è fondato. Prima della riforma, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, «il giudice d’appello che
7

dichiari la nullità della pronuncia dichiarativa di
fallimento (…) non deve disporre la rimessione al primo
giudice, in quanto la detta nullità travolge tutti gli
atti conseguenziali, incluso il giudizio di cognizione di
primo grado ed il giudizio di secondo grado, senza far

salvi situazioni, fatti od effetti riferibili alla fase
prefallimentare – caratterizzata dalla natura
inquisitoria e non paragonabile ad un processo di
cognizione ordinaria – che possano valere come vincoli
assoluti per il giudice, dovendosi accertare i
presupposti del fallimento con riferimento ai fatti ed
alle circostanze soggettive ed oggettive esistenti
all’epoca della relativa dichiarazione» (Cass. 8 gennaio
1994, n. 145; Cass. 2 agosto 1990, n. 7760). Tale
principio, tuttavia, non può più essere predicato dopo la
riforma (in senso contrario, tralaticiamente, Cass. ord.
13 settembre 2011, n. 18762, non massimata sul punto) La
legge fallimentare, nella formulazione dettata dal
legislatore del 1942, delineava un sistema fortemente
permeato dalla ufficiosità della dichiarazione di
fallimento; in tale sistema il ricorso del creditore
poteva essere ricondotto nell’alveo delle iniziative
sollecitatorie dell’esercizio del potere ufficioso.
Coerentemente, pertanto, la dichiarazione di nullità
della sentenza di fallimento non comportava la necessità
di rimettere gli atti al primo giudice, poiché il
8

tribunale era nella condizione, dopo l’annullamento della
sentenza, di valutare se promuovere o meno il
procedimento per una nuova dichiarazione di fallimento.
Soltanto a ridosso della riforma tale sistema era stato
messo in crisi dalla giurisprudenza costituzionale che,
tout court di rigetto (Corte

sia pure con una pronunzia

cost. 15 luglio 2003, n. 240) aveva fissato, a
salvaguardia del principio di terzietà ed imparzialità
del giudice, limiti alla ufficiosità.
Dopo la riforma, tuttavia, venuta meno la possibilità
di una dichiarazione d’ufficio del fallimento, è anche
venuta meno qualsiasi possibilità di equiparare l’istanza
del creditore ad una mera denuncia-segnalazione. Non vi è
più dubbio perciò che con la presentazione del ricorso il
creditore esercita una azione (in questa sede non rileva
stabilire se l’azione sia meramente processuale e diretta
all’attuazione di una giurisdizione obiettiva ovvero
abbia un contenuto sostanziale) sulla quale non può
mancare una pronuncia giurisdizionale. Da quanto detto
consegue che, dichiarata la nullità della sentenza di
fallimento, deve trovare applicazione l’art. 383 c.p.c. e
si deve stabilire se ricorra o meno una ipotesi nella
quale il giudice di appello avrebbe dovuto rimettere le
parti al primo giudice, come previsto dall’art. 354
c.p.c. Di tale soluzione non vi sarebbe stato motivo di
dubitare nel regime dettato dal d. lgs. n. 5/2006 che
9

qualificava come appello l’impugnazione

ex

art. 18 1.

fall. avverso la dichiarazione di fallimento. Dopo il
c.d. decreto correttivo n. 169/2007, che ha qualificato
tale impugnazione come reclamo, si pone, invece, il
problema, segnalato dalla dottrina, di stabilire se,

riscontrata la nullità della dichiarazione di fallimento,
la Corte di appello debba rimettere le parti innanzi al
tribunale, come previsto dall’art. 354 c.p.c. t ovvero
debba procedere ad una nuova e piena verifica dei
presupposti soggettivi ed oggettivi per la dichiarazione
di fallimento in modo da giungere ad una pronunzia nel
merito. La soluzione al problema condiziona,
naturalmente, il provvedimento che deve essere adottato
da questa Corte nel caso in cui, come nella specie, la
Corte di appello abbia dichiarato la nullità della
sentenza di fallimento senza pronunziarsi nel merito e
senza rimettere gli atti al primo giudice.
A favore della rimessione al primo giudice milita,
anzitutto, il decisivo rilievo che, anche dopo la
riforma, il giudizio innanzi alla Corte di appello, pur
essendo caratterizzato da una persistenza dei poteri di
ufficio, dei quali è espressione il potere della Corte di
assumere «anche d’ufficio, nel rispetto del
contraddittorio, tutti i mezzi di prova che ritiene
necessari» (art. 18, comma decimo, 1. fall.), non ha una
natura pienamente devolutiva, ma resta vincolato ai
10

motivi [art. 18, comma secondo, 1. fall.: «il ricorso
deve contenere . . 3) l’esposizione dei fatti e degli

.

elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione, con le

»

relative conclusioni»] (v., con riferimento al regime
anteriore alla riforma, Cass. 11 giugno 2004, n. 11079;

Cass. 23 maggio 2001, n. 7113). Ciò implica che
dichiarata la nullità della sentenza di fallimento, la
Corte di appello non disporrebbe, ove non ne fosse
investita attraverso i motivi di appello, dei poteri
ufficiosi sul piano probatorio che sono riservati al
tribunale e che spaziano su tutti i presupposti del
fallimento. Dell’esercizio di tali poteri la procedura
per la dichiarazione di fallimento non può fare a meno
per il perdurante profilo di interesse pubblico che
continua a caratterizzarla, malgrado non sia più prevista
. l’iniziativa d’ufficio. In secondo luogo, in mancanza di
una previsione contraria o incompatibile, si deve
ritenere che l’art. 354 c.p.c. sia applicabile anche ai
reclami camerali (cfr. Cass. 21 marzo 2001, n. 4037;
Cass., 2 aprile 1985, n. 2260).
Con il terzo motivo, ulteriormente subordinato, il
fallimento deduce la violazione degli artt. 143, 160,
162, 294 c.p.c. e dell’art. 18 1. fall. nonché il vizio
di motivazione, lamentando che la Corte di appello, pur
rilevata la nullità della notificazione, in assenza di
una richiesta di rimessione in termini da parte di Ciro
.

11

May, possibile in considerazione dell’effetto devolutivo
del reclamo, non avrebbe dovuto annullare la sentenza di
fallimento, ma avrebbe dovuto rigettare il reclamo.
Il motivo resta assorbito in quanto espressamente
subordinato al rigetto del secondo motivo, che invece è

La sentenza impugnata deve essere cassata,

in

relazione al motivo accolto, nella parte in cui non ha
disposto la rimessione degli atti al Tribunale di Lecco.
P . Q . M .
rigetta il primo motivo; accoglie il secondo; dichiara
assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in
relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di
Lecco in diversa composizione anche per le spese del
giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22
maggio 2013.

stato accolto.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA