Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17201 del 11/07/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 17201 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: SALVAGO SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso 9676-2006 proposto da:
COMUNE DI PATERNO’

(CT) – P.I. 00243770872, in

persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 76, presso
l’avvocato

RICCO

rappresentato
2013

e

LUIGIA

(STUDIO

Data pubblicazione: 11/07/2013

LIBERATI),

dall’avvocato MIRENNA

difeso

BARBARO, giusta procura in calce al ricorso;

693

ricorrente

contro

A.M.A.

S.P.A.,

già

AZIENDA

MUNICIPALIZZATA

1

ACQUEDOTTO DI PATERNO’

(C.F.

04017080872),

in

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII
•••

396,

presso

rappresentata

l’avvocato

GIUFFRIDA

difesa

dall’avvocato

e

ANTONIO,
SCUDERI

– controricorrentecontro

PIETRONILLA GUIDO;
– intimato –

sul ricorso 13964-2006 proposto da:
PIETRONILLA

GUIDO

(c.f.

GDUPRN36B24C351I),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. BANTI 34,
presso l’avvocato BRUNI ANNA MARIA, rappresentato e
difeso dall’avvocato BARBAGALLO GIOVANNI, giusta
procura in calce al controricorso e ricorso
incidentale;

– controricorrente e ricore contro

.7

ANDREA, giusta procura a margine del controricorso;

COMUNE DI PATERNO’, A.M.A. AZIENDA MUNICIPALIZZATA
ACQUEDOTTO DI PATERNO’;
– intimati –

avverso la sentenza n.

334/2005 della CORTE

D’APPELLO di CATANIA, depositata il 29/03/2005;
udita la relazione della causa svolta nella

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pubblica udienza del 23/04/2013 dal Consigliere
Dott. SALVATORE SALVAGO;
udito,

per il ricorrente,

l’Avvocato BARBARO

MIRENNA che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
principale, il rigetto dell’incidentale;
per il

controricorrente e

ricorrente

incidentale, l’Avvocato ANNA MARIA BRUNI, con
delega, che ha chiesto l’inammissibilità o il
rigetto del ricorso principale, l’accoglimento
dell’incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per
l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso
principale, rigetto dell’incidentale.

udito,

3

Svolgimento del processo
Il Tribunale di Catania con sentenza non definitiva del 30
dicembre 2000 condannava il comune di Paternò al
risarcimento del danno per l’illegittima detenzione di un

fondo di proprietà di Petronilla Guido da cui aveva edotto
acqua dapprima con convenzione del 30 gennaio
1989,dichiarata risolta in precedenti giudizi instaurati
dalla proprietaria;e successivamente senza alcun
titolo.Condannava altresì l’ente pubblico e l’Azienda

i

municipalizzata per il servizio del locale acquedotto
civico alla restituzione degli impianti;e con sentenza
definitiva del 15 ottobre 2002 liquidava detti danni (fino
all’anno 2001) nella misura di e 1.148.760, oltre agli
accessori.
L’impugnazione del comune è stata respinta dalla Corte di
appello di Catania con sentenza del 29 marzo 2005 che ha
confermato l’entità di detti danni fino all’anno 2001,cui
ha aggiunto l’ulteriore rivalutazione monetaria,dichiarando
inammissibile la richiesta della Guido per il periodo
successivo. Ha quindi dichiarato la nullità della sentenza
non

definitiva

nei

confronti

dell’Azienda

municipalizzata,che ha condannato alla restituzione degli
impianti e delle attrezzature in favore della Guido.
Per la cassazione della sentenza il comune ha proposto
ricorso per 5 motivi; cui resistono con controricorso sia
4

l’Azienda Municipalizzata che la Guido, la quale ha
formulato a sua volta ricorso incidentale per un motivo
Motivi della decisione
Con i primi due motivi del ricorso principale,i1 comune di
Paternò,deducendo violazione dell’art.102 cod.proc.civ.

censura la sentenza impugnata per avere dichiarato
scindibile la causa instaurata dalla Guido nei confronti
dell’Azienda municipalizzata rispetto a quella nei
confronti di esso comune, senza considerare l’inscindibile
collegamento tra la gestione degli impianti del pozzo e
l’obbligo del pagamento dei consumi;che doveva indurre i
giudici di appello ad annullare in toto la sentenza di
primo grado posto che non erano state comunicate
all’Azienda diverse ordinanze istruttorie,ed a rimettere la
controversia al primo giudice.
La doglianza è inconsistente,avendo la Guido dedotto un
rapporto obbligatorio instaurato con il solo comune di
Paternò in forza di convenzione intercorsa con detto ente
in data 30 gennaio 1989, che gli consentiva di edurre acqua
dal pozzo ubicato in un proprio immobile; che detto
rapporto era stato dichiarato risolto con sentenza
2152/1992 del Tribunale di Catania,confermata dalla Corte
di appello, che aveva reso illegittimi sia l’occupazione
dell’immobile sia l’attingimento dell’acquaaY„ che la
proprietaria aveva chiesto ed ottenuto la condanna di detta
amministrazione al risarcimento del danno per l’eduzione
5

divenuta abusiva, nonché al rilascio dell’immobil

>

erciò

escludendosi qualsiasi ipotesi di rapporti plurisoggettivi
ovvero di prestazioni inscindibili tra i convenuti o ancora
di rapporti incidenti su una situazione giuridica
inscindibilmente comune a più soggetti, di modo che, se

esaminati senza il contraddittorio di tutte le parti
interessate, la sentenza su di essi sia priva di alcuna Y
pratica utilità, come richiesto dalla giurisprudenza per la
ricorrenza

di

rapporti

inscindibili

(Cass.4890/2006;

4593/2000).
Vero è che la Guido,di cui non è messa in discussione la
proprietà del fondo,ne ha chiesto il rilascio anche
all’Azienda

Municipalizata,

che

gestisce

l’eduzione

dell’acqua lP ma è pur vero che anche l’azione di
restituzione ha natura personale, e può quindi essere
esercitata autonomamente nei confronti di ciascuno dei
soggetti che detengano l’immobile abusivamente, senza
necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti
degli altri condetentoriAL
5834/1979;3930/1988)

(Cass.1382/1976;

oro pretermissione,peraltro

nel caso non verificatasi, comporta soltanto
l’impossibilità di eseguire nei loro confronti la sentenza
conclusiva del giudizio cui gli stessi non hanno preso
parte.
Consegue che, avendo la sentenza impugnata correttamente
ritenuto scindibili le suddette domande proposte dalla
6

proprietaria

nei

confronti

dell’Azienda

e

del

comune,quest’ultimo ente difetta di interesse ad impugnare
i capi della decisione asseritamente pregiudizievoli per
l’Aziendaehe d’altra parte, in mancanza di gravame della
parte interessata ad impugnarli devono considerarsi

definitivi.
Con il quinto motivo del ricorso principale,da esaminare a
questo punto, il comune si duole che la sentenza impugnata
abbia qualificato contratto di locazione la convenzione
intercorsa con la Guido nell’anno 1989,senza alcun
approfondimento,e senza esplicitare le ragioni di tale
qualificazione,per poi trarne ancor più illogicamente la
conseguenza dell’applicazione dell’art.1591 cod. civ. per
il periodo successivo alla cessazione del negozio;e del
conseguente danno arrecato alla proprietaria fondato e
calcolato esclusivamente sudetto erroneo presupposto.
Per converso la Guido,con il ricorso incidentale si duole
che la liquidazione del danno per l’illecita detenzione del
fondo e della conseguente eduzione dell’acqua si sia
arrestata all’anno 2001,perché per il periodo successivo
non vi era prova né della reale portata del pozzo (che
poteva essersi ridotta) né del reale attingimento ad opera
delle controparti:senza considerare che questo non era
contestato,che d’altra parte era rimasto accertato che il
volume d’acqua negli anni era rimasto costante;che nessuno
dei convenuti aveva mai eccepito un calo nella portata del
7

pozzo,e che comunque poteva disporsi un supplemento di c.t.
per accertarla.
Entrambe le censure sono infondate.
Non è infatti esatto che la Corte di appello abbia
attribuito alla convenzione del 1989 natura di contratto di

locazione,avendo per converso la sentenza impugnata
osservato esclusivamente che detto titolo qualunque negozio
contenesse era venuto meno per effetto della risoluzione
giudizialeg) e che conseguentemente il comune, in mancanza
di un provvedimento di occupazione e/o di requisizione del
pozzo,era divenuto occupante abusivo dell’immobile, e
perciò tenuto al risarcimento del danno nei confronti del
proprietario:danno consistente anzitutto nella refusione
del valore dell’acqua illecitamente sottratta a
quest’ultimo.
Era stato invece il comune a ravvisare nella convenzione
del 1989 un contratto di locazione dell’immobile con la
Guido,in luogo del contratto di somministrazione ipotizzato
dal Tribunalepper cui la sentenza impugnata ha risposto a
tale qualificazione del negozio,che anche a condividerla,
ed a considerare cessata la locazione, siccome era pacifico
che il comune aveva continuato a detenere il fondo nonché
ad edurre l’acqua senza più titolo,trovava comunque
applicazione l’art.1591 cod. civ. che obbliga il conduttore
in mora nella restituzione del bene al pagamento del

8

corrispettivo convenuto fino alla riconsegnapsul quale
peraltro è stato calcolato il danno liquidato alla Guiso.
D’altra

parte,

la

natura

di

illecito

permanente

dell’occupazione abusiva dell’immobile da parte del
comuneepe comportava l’obbligo di corrispondere detto

risarcimento fino alla data della consegna>ovvero, in
mancanza, fino a quella della sentenza di primo grado alla
quale è riferibile l’istruttoria compiuta per accertare il
fondamento della domanda.
Proprio a tale principio si sono attenuti i giudici di
merito che hanno disposto c.t. per accertare portata del
pozzo e quantitativo di acqua edotto dal comune t e sulle
risultanze della stessa hanno liquidato il risarcimento del
danno provocato dall’ente,così come del resto richiesto
dalla ricorrente nella citazione introduttiva del giudizio,
per il periodo compreso tra la data in cui l’eduzione è
divenuta illegittima e quella di deposito della relazione
di consulenza (anno 2001), una volta che a tale data gli
impianti non erano stati ancora riconsegnati alla Guido.
Vero è che non è stato contestato nel prosieguo del
giudizio che il comune abbia continuato a mantenere il
possesso degli impianti senza titoloP ma è pur vero che la
richiesta di risarcimento del danno per il periodo
successivo alla sentenza di primo grado (arrestatasi
all’epoca di deposito della c.t.) non poteva che essere
contenuta per la prima volta,come correttamente osservato
9

dalla sentenza impugnata,nell’atto di appello,in violazione
del divieto dell’art.345 cod. proc.civ.De che su di essa
nessun accertamento tecnico era stato eseguito dal
Tribunale, né poteva venire disposto dalla Corte
territoriale a meno di procrastinare sine die il giudizio

in danno della stessa proprietaria per ricomprendere
comunque i periodi successivi al compimento
dell’accertamento in precedenza esaurito a causa del
protrarsi dell’ attingimento abusivo. Con la conseguenza di
rendere arbitraria qualunque supposizione sia sulla portata
effettiva del pozzo negli anni successivi all’accertamento
compiuto dal Tribunale, sia sui quantitativi di acqua
realmente edotti in tale periodo dagli enti occupanti;e da
indurre la sentenza impugnata ad arrestare la liquidazione
al momento di cessazione della permanenza (in questo
giudizio) coincidente con la sentenza di primo grado e con
l’accertamento dalla stessa compiuto.
Infondato è anche il terzo motivo del ricorso,con cui il
comune,deducendo difetto di motivazione, si duole che la
sentenza di appello abbia ritenuto non impugnata la
decisione di primo grado relativamente alla quantificazione
dei danni subiti dalla Guido:avendo la Corte di appello
adottato siffatta statuizione esclusivamente con riguardo
al capo di condanna dell’Azienda municipalizzata relativa
al pregiudizio arrecato agli impianti ed al loro rilascio
(pag.21);laddove,quanto a quelli provocati dal comune ed al
10

criterio utilizzato per

quantificarli

la

decisione

impugnata ha esaminato specificamente le censure dell’ente
pubblico nel merito,anche in relazione agli accertamenti
compiuti dal c.t. e li ha disattesi con congrua ed
articolata motivazione (pag.22-26) che il ricorrente non ha

censurato se non per il menzionato riferimento al contratto
di locazione,di cui si è già detto.
Ed infine deve disattendersi pure il quarto motivo del
ricorso con cui il comune rivolge molteplici censure al
capo della sentenza impugnata che ha attribuito alla Guido
il danno da svalutazione monetariagmuovendo tutte dal
presupposto erroneo che la propria obbligazione debba
essere qualificata di valuta e che quindi gravava sul

creditore l’onere,invece non assolto, di dimostrare il
maggior danno per il deprezzamento subito dal suo credito.
Al contrario / secondo la giurisprudenza di legittimità, da
decenni consolidata, il risarcimento del danno spettante
al proprietario del fondo occupato, per l’illegittimo
protrarsi dell’occupazione integra un debito di valore, in
applicazione dei principi generali in tema di
responsabilita per fatto illecito;per cui la relativa
quantificazione pecuniaria è soggetta a rivalutazione per
effetto e nella misura della perdita di valore della moneta
nel periodo compreso tra la data dell’illecito e quella
della sentenza di condanna;con l’aggiunta degli interessi
che hanno funzione compensativa e che vanno poi calcolati,
11

nella misura legale, anno per anno, sulle somme via via
rivalutate (Cass.16894/2010;16637/2008;7891/2007;sez.un.
1712/1995).
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano
in favore della Guiso in ragione di 4/5. Il rigetto del

dette parti il restante quinto.
P.Q.M.
La Corte,rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente comune
al pagamento in favore della Guido, delle spese processuali
in ragione di 4/5 che liquida nell’intero in complessivi E
15.200,00 di cui C 200 per esborsi,oltre agli accessori
come per legge.Dichiara interamente compensato tra le parti
il restante quinto.
Così deciso in Roma il 23 aprile 2013.

ricorso incidentale induce il Collegio a compensare tra

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