Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17199 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 16/06/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 16/06/2021), n.17199

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1714-2020 proposto da:

B.T., domiciliato in ROMA piazza CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difeso dall’avvocato DANIELA GASPARIN;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n.

12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2940/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 02/07/2019 R.G.N. 2047/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/02/2021 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 2910 del 2019, ha respinto il gravame proposto da B.T., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa sede che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione territoriale, aveva negato al richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato nonchè della protezione sussidiaria ed umanitaria.

2. Il ricorrente, in sintesi, aveva dichiarato di avere lasciato, su insistente richiesta della madre, il suo paese a seguito di una contesa con uno zio paterno circa la proprietà di capi di bestiame del defunto padre su cui lo zio rivendicava diritti pur non essendo erede; aveva, altresì, precisato che per questa contesa aveva subito aggressioni e minacce da uomini inviati dallo zio e che alcuna protezione avrebbe potuto ricevere dalle forze di polizia locale perchè lo zio era una persona molto influente nel suo villaggio e le corrompeva con ingenti somme di denaro.

3. La Corte di appello, a sostegno della propria decisione, ha ritenuto inattendibile il narrato del richiedente perchè privo di qualsiasi riscontro specifico anche in relazione alla tempistica e ai luoghi dei denunciati fatti; ha rilevato, poi, la insussistenza delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) perchè il (OMISSIS), sebbene vi fossero ancora tensioni, si avviava verso un percorso di normalizzazione che escludeva, l’esistenza di forme persecutorie generalizzate; in considerazione della non credibilità del racconto e della insussistenza di profili di vulnerabilità soggettiva ha negato, infine, anche la richiesta di protezione umanitaria.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.T. affidato a tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riguardo al diritto al riconoscimento dello status di rifugiato, la violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 6, 14,17, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 artt. 2 e 3 CEDU, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere la Corte ritenuto insussistente, in (OMISSIS), una situazione di violenza indiscriminata causata da conflitto armato pur non avendo richiamato o riportato alcuna fonte e senza effettuare alcun approfondimento.

3. Con il secondo motivo si censura l’omesso esame di fatti determinanti al fine del decidere; la violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per non avere i giudici di merito compiuto alcun esame comparativo tra le informazioni provenienti dal richiedente stesso e la sua situazione personale nelle aree da esso indicate da eseguirsi mediante la puntuale osservanza degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale: in particolare, per avere escluso, senza effettuare alcun controllo o riscontro, la veridicità delle dichiarazioni rese.

4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole dell’omesso esame circa fatti determinanti; la violazione dei parametri normativi relativi all’analisi delle domande di protezione internazionali come disciplinati nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Deduce che i giudici di merito, nel valutare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non avevano compiuto alcun esame della situazione oggettiva del Paese di provenienza e non aveva indicato le fonti in base alle quali aveva accertato l’eseguibilità del rimpatrio in sicurezza e nel rispetto dei diritti umani ritenuti inviolabili come disposto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19.

5. Il secondo motivo, da trattarsi preliminarmente per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica, è fondato.

6. La valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera ed immotivata opinione del giudice, essendo piuttosto il risultato complesso di una procedimentalizzazione della decisione, da compiersi alla strega dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” senza dar rilievo esclusivo e determinate a mere discordanze o contraddizioni in aspetti secondari o isolati del racconto; detta valutazione, se effettuata secondo i criteri previsti dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito, essendo altrimenti censurabile in sede di legittimità per la violazione delle relative disposizioni (Cass. n. 14674 del 2020; Cass. n. 9811 del 2020).

7. Nella fattispecie, la Corte territoriale non si è attenuta a tali principi, fondando il proprio accertamento su un esame sommario ed incompleto delle dichiarazioni del richiedente e, soprattutto, non seguendo correttamente l’iter di valutazione della credibilità, che richiede, senza omettere alcun passaggio, di considerare lo sforzo del richiedente teso a circostanziare la domanda, gli elementi in suo possesso, la coerenza e la plausibilità delle dichiarazioni e la data di presentazione della domanda (Cass. n. 11925 del 2020; Cass. n. 21142 del 2019).

8. Anche il primo motivo è fondato.

9. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) è dovere del giudice verificare avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 28990 del 2018; Cass. n. 17075 del 2018).

10. Il predetto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e, quindi, “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione Nazionale sulla base dei datti forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa” (cfr. Cass. n. 15959 del 2020).

11. E’, quindi, onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento.

12. In proposito, deve ribadirsi anche che l’indicazione delle fonti di cui all’art. 8 non ha carattere esclusivo, ben potendo le informazioni sulle condizioni del Paese estero essere tratte da concorrenti canali di informazione, anche via web, quali ad esempio i siti internet delle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale (quali ad esempio Amnesty International e Medici senza frontiere) che spesso contengono informazioni dettagliate e aggiornate (cfr. Cass. n. 13449 del 2019 per esteso).

13. In modo estremamente sintetico, può quindi affermarsi che il giudice deve indicare, in modo specifico e dettagliato, fonti che abbiano un certo grado di credibilità e che facciano riferimento ad una situazione sociopolitica aggiornata del Paese di origine del richiedente.

14. Più recentemente (cfr. Cass. n. 15215 del 2020) è stato affermato il principio di diritto secondo il quale: “Le informazioni relative alla situazione esistente nel paese di origine del richiedente la protezione internazionale o umanitaria che il giudice di merito trae dalle C.O.I. o dalle altre fonti informative liberamente consultabili attraverso i canali informatici vanno considerate, in ragione della capillarità della loro diffusione e della facile accessibilità per la pluralità di consociati, alla stregua del fatto notorio; il dovere di cooperazione istruttoria che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 pongono a carico del giudice, nella materia della protezione internazionale ed umanitaria, impone allo stesso di utilizzare, ai fini della decisione, C.O.I. ed altre informazioni relative alla condizione interna del paese di provenienza o rimpatrio del richiedente, ovvero della specifica area di esso, che siano adeguatamente aggiornate e tengano conto dei fatti salienti interessanti quel Paese o area, soprattutto in relazione ad eventi di pubblico dominio, la cui mancata considerazione costituisce, in funzione della loro oggettiva notorietà, violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2”.

15. Nella fattispecie, la Corte territoriale non ha richiamato, per escludere ogni ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e per ritenere che la condizione attuale del (OMISSIS) e, in particolare della zona di provenienza, Paese di origine del richiedente, non fosse interessata da una situazione di conflitto armato interno o internazionale, comportante una situazione di violenza indiscriminata nell’attualità, alcuna fonte specifica aggiornata.

16. Nell’assolvere all’onere imposto dalla legge i giudici di seconde cure erano, però, tenuti a spiegare in base a quali specifiche fonti avessero ritenuto inesistente il rischio di subire gravi danni, paventati dal ricorrente, onde dare conto della puntualità e attualità della propria verifica e fare così in modo che la motivazione assumesse carattere effettivo (cfr. per tutte Cass. n. 8819 del 2020 e la giurisprudenza ivi citata).

17. Infine, va rimarcato che la Corte di appello non ha neanche approfondito il profilo della violenza domestica, entro il cui ambito applicativo della vicenda narrata avrebbe potuto essere inquadrata per i denunciati violenti soprusi dello zio paterno che rivendicava i beni ereditari del defunto fratello nonchè padre del richiedente. Invero, in tema di protezione internazionale dello straniero, in virtù degli artt. 3 e 60 della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, anche gli atti di violenza domestica sono riconducibili all’ambito dei trattamenti inumani o degradanti considerati del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria (Cass. n. 12333/2017; Cass. n. 23017/2020), sicchè è onere del giudice verificare in concreto se, pur in presenza di minaccia di danno grave ad opera di un “soggetto non statuale”, ai sensi dell’art. 5, lett. c), del decreto citato, come nel caso de quo lo zio del ricorrente, lo Stato di origine sia in grado di offrire adeguata protezione.

18. La trattazione del terzo motivo, attesa la fondatezza dei primi due, resta, conseguentemente, assorbita.

19. La sentenza impugnata dovrà, quindi, essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati in tema di valutazione dei criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 di valutazione del rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e, in via subordinata, per una eventuale rivalutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo, assorbito il terzo; cassa la sentenza in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA