Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17196 del 17/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/08/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 17/08/2020), n.17196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17320/2018 proposto da:

S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 12,

presso lo studio dell’avvocato FIAMMETTA FIAMMERI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMPAGNIA AEREA ITALIANA S.P.A., (già ALITALIA – COMPAGNIA AEREA

ITALIANA S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso

lo studio dell’avvocato MARCO MARAZZA, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati DOMENICO DE EEG e MAURIZIO MARAZZA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5414/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/12/2017, R.G.N. 5154/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FIAMMETTA FIAMMERI;

udito l’Avvocato MARCO MARAZZA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.C., premesso di avere lavorato in qualità di assistente di volo per una società del gruppo Alitalia, con la qualifica da ultimo di Purser di 2, di essere stato collocato in cigs dal 2.1.2009, di non essere stato assunto da Alitalia Compagnia Aerea Italiana s.p.a. (da ora CAI s.p.a.) in violazione degli accordi sindacali del 14.9.2008 e del 31.10.2008, ha adito il giudice del lavoro chiedendo l’accertamento della condotta inadempiente di CAI s.p.a. e la condanna della detta società ad assumerlo a far data dal 13.1.2009 ed a corrispondergli le differenze tra quanto percepito a titolo di cigs e di indennità di disoccupazione e quanto dovuto a titolo di retribuzione sino alla data di effettiva costituzione del rapporto di lavoro; in subordine, ha chiesto la condanna della società al risarcimento del danno sofferto in conseguenza della illegittima estromissione nel posto di lavoro.

2. Il Tribunale di Civitavecchia ha respinto la domanda.

3. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 35414/2017, ha confermato la decisione di prime cure.

3.1. La Corte di merito, respinto il motivo avente ad oggetto la mancata attivazione dei poteri istruttorii di ufficio da parte del primo giudice e la dedotta mancanza di motivazione della ordinanza con la quale era stata dichiarata la decadenza dalla prova dell’originario ricorrente, richiamati propri precedenti, ha osservato che il tenore delle clausole dell’accordo non lasciava margini di dubbio in merito alla prevalenza, ai fini dell’assunzione, rispetto al criterio dell’anzianità, sia delle esigenze di carattere organizzativo della società sia del criterio della localizzazione, riferito non alla sede di svolgimento della precedente attività lavorativa bensì al domicilio, alla residenza o alla dimora dell’aspirante all’assunzione; correttamente, pertanto, il Tribunale aveva ritenuto assorbente, per escludere la fondatezza del diritto rivendicato, l’assenza di specifiche allegazioni in domanda circa il possesso dei requisiti che condizionavano l’applicazione dei criteri prevalenti, rispetto a quello dell’anzianità; l’elenco dei lavoratori assunti non offriva alcun elemento idoneo alla verifica della corretta applicazione dei criteri selettivi in assenza di indicazione, per ciascuno di essi, dell’anzianità di servizio, del luogo di residenza, della società di provenienza, della posizione previdenziale, della qualifica, dell’inquadramento, delle abilitazioni dei titoli posseduti. Nel ricorso introduttivo, inoltre, non era stato dedotto alcunchè sulle scelte aziendali relative ai profili professionali ed alla allocazione del personale da assumere; neppure era indicata la sede di residenza rispetto alla sede di destinazione dei colleghi dello S. il quale si era limitato a dedurre di essere stato pretermesso nell’assunzione in favore di colleghi meno anziani dello stesso profilo professionale. La rilevata carenza espositiva non poteva, secondo il giudice di appello, essere sanata dal giudice di prime cure mediante i poteri istruttori di ufficio, esercitabili solo in relazione a fatti tempestivamente allegati dalle parti; era, infine da escludere, in quanto in contrasto con il chiaro tenore della disposizione collettiva, il fatto che le parti stipulanti, in relazione al criterio della localizzazione, avessero inteso riferirsi alla precedente sede di assunzione dei lavoratori.

4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso S.C. sulla base di quattro motivi. La parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 421 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 111 Cost., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto, in sintesi, giustificato il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio da parte del giudice di primo grado; evidenzia che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, nel rito del lavoro, il principio di ricerca della verità materiale implicava che la decadenza dalla prova testimoniale non precludeva al giudice l’iniziativa officiosa ex art. 421 c.p.c., in presenza di un quadro probatorio, quale quello delineato in prime cure dall’originario ricorrente, suscettibile di approfondimenti. Assume, inoltre, che, nel rito del lavoro, il giudice non può ascrivere alla parte un’asserita carenza di allegazioni e/o prova superabile con l’esercizio dei poteri stessi facendo meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova avendo l’obbligo di esplicitare le ragioni per le quali reputi di non fare ricorso all’uso dei poteri istruttorii di ufficio nonostante la specifica richiesta delle parti.

2. Con il secondo motivo di ricorso, deducendo nullità della sentenza per violazione del combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., censura la sentenza impugnata per essere sorretta da motivazione solo apparente.

3. Con il terzo motivo di ricorso deduce omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti.

3.1. Il secondo ed il terzo motivo sono illustrati congiuntamente. Parte ricorrente sostiene, in sintesi, che la Corte di appello, a differenza del giudice di primo grado, aveva affermato la validità erga omnes degli accordi sindacali invocati in domanda ed il pieno diritto del ricorrente ad essere assunto, ove in possesso dei prescritti requisiti, requisiti il cui possesso non era stato allegato e dimostrato dall’originario ricorrente. Tanto premesso deduce illogicità e apparenza di motivazione sulla considerazione che il giudice di prime cure aveva dato atto essere intervenuta siffatta allegazione e che ciò trovava riscontro negli elementi indicati nella originaria domanda. Evidenzia che i colleghi preferiti nell’assunzione presentavano una inferiore anzianità di servizio ed alcuni anche una peggiore localizzazione.

4. Con il quarto motivo deduce nullità della sentenza per totale assenza di motivazione in merito all’an ed al quantum della domanda di risarcimento del danno.

5. Il primo motivo di ricorso è infondato.

5.1. La sentenza impugnata ha escluso la dedotta mancanza di motivazione dell’ordinanza con la quale il giudice di prime cure aveva dichiarato l’odierno ricorrente decaduto dalla prova, osservando che in detto provvedimento si era dato atto che la decadenza era stata rilevata a causa del comportamento della parte la quale aveva notificato l’intimazione ai testi ammessi ad un indirizzo ad essi non riferibile. Ha quindi rilevato che non vi era spazio per l’esercizio dei poteri istruttorii di ufficio i quali potevano essere esercitati solo per completare un quadro probatorio già delineatosi e non per sanare una decadenza nella quale la parte era incorsa per propria colpa (sentenza, pag. 2, penultimo cpv); ha ulteriormente puntualizzato che la rilevata carenza di allegazioni nel ricorso di primo grado non poteva in alcun modo essere sanata dal Tribunale in quanto i poteri previsti dall’art. 421 potevano essere esercitati solo in presenza di fatti tempestivamente allegati dalle parti.

Dalle argomentazioni sviluppate nella parte motiva si evince, quindi, che il decisum di secondo grado in ordine alla doglianza riferita al mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio riposa su una duplice ratio decidendi: a) insussistenza dei presupposti per il relativo esercizio con riferimento al quadro probatorio delineatosi e alla decadenza maturata per la prova testimoniale; b) carenza di allegazioni fattuali idonee a dimostrare il possesso dei requisiti prescritti alla stregua degli intervenuti accordi sindacali, carenza non sanabile attraverso i potersi officiosi ex art. 421 c.p.c..

5.2. Premesso che la rilevata carenza contenutistica del ricorso di primo grado sotto il profilo delle insufficienza di allegazioni relative ai requisiti prescritti dagli accordi sindacali ai fini dell’assunzione e relative alla posizione dei colleghi preferiti nelle assunzioni non è stata validamente censurata, la sentenza sul punto risulta conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità la quale ha ripetutamente chiarito che nel rispetto del principio dispositivo i poteri istruttori d’ufficio non possono in ogni caso essere esercitati sulla base del sapere privato del giudice, con riferimento a fatti non allegati dalle parti o non acquisiti al processo in modo rituale (Cass. n. 28439 del 2019, Cass. n. 7694 del 2018, Cass. n. 2577 del 2009, Cass. n. 2379 del 2007, Cass. Sez. Un. 11353 del 2004).

5.3. Il rigetto della censura relativa ad una delle due autonome rationes decidendi alla base della statuizione impugnata esime dall’esame della censura che denunzia l’avere ritenuto la intervenuta decadenza dalla prova testimoniale preclusiva dell’attivazione dei poteri di ufficio ex art. 421 c.p.c..

6. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

6.1. E’ noto che la motivazione meramente apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico -giuridico alla base del decisum. E’ stato, in particolare, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 22232 del 2016), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017) oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. 18/09(2009 n. 20112).

6.2. Tali carenze non sono in alcun modo riscontrabili nella sentenza impugnata della quale è agevole ricostruire il percorso logico- giuridico che ha condotto al rigetto dell’appello, percorso fondato essenzialmente sull’assenza di adeguata allegazione e prova circa il possesso dei requisiti richiesti invocati dagli accordi sindacali ai fini dell’assunzione da parte di CAI s.p.a. dei dipendenti del Gruppo Alitalia. E’, infatti, da escludere che nell’ambito della verifica demandata con il motivo in esame possa assumere rilievo, come sembra prospettare parte ricorrente, il contrasto tra quanto rilevato dal giudice di appello in punto di carenza contenutistica del ricorso di primo grado e la diversa valutazione del giudice di prime cure e dello stesso odierno ricorrente atteso che, secondo quanto chiarito dalla condivisibile giurisprudenza di legittimità, la violazione dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4″, sussiste solo quando le ragioni poste a fondamento della decisione risultino tra loro incompatibili e sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. 09/02/2004 n. 2427) non rilevando, al riguardo, eventuali contrasti – pur denunziabili sotto altri profili – tra le affermazioni della stessa sentenza ed il contenuto di prove e documenti (Cass. 24/05/2000 n. 6787; Cass. 14/02/2000 n. 1605).

7. La denunzia di omesso esame di fatto controverso e decisivo, formulata con il terzo motivo è inammissibile in quanto articolata con modalità non coerenti con l’attuale configurazione del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che esige la deduzione di omesso esame di un fatto decisivo, e cioè di un fatto un fatto inteso nella sua accezione storico fenomenica, principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), evocato nel rispetto degli oneri di allegazione e produzione posti a carico del ricorrente ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. Sez. Un. 8053 del 2014), fatto neppure indicato dall’odierno ricorrente.

8. Il quarto motivo di ricorso è infondato.

8.1. Le motivazioni che sorreggono il rigetto della domanda principale giustificano il rigetto (implicito) della domanda subordinata di contenuto risarcitorio. La rilevata carenza contenutistica del ricorso di primo grado in ordine alla sussistenza in capo allo S. dei requisiti prescritti dalle pattuizioni collettive al fine del diritto all’assunzione, si pone in radice come preclusiva dell’accertamento dell’obbligo di assunzione a carico di CAI s.p.a. e, quindi, della configurabilità a riguardo dell’inadempimento della società agli obblighi assunti in sede sindacale, inadempimento costituente presupposto ineludibile della responsabilità risarcitoria invocata nella originaria domanda.

9. Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite.

10. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori, come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2020

 

 

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