Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17191 del 14/08/2020

Cassazione civile sez. II, 14/08/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 14/08/2020), n.17191

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21094/2019 proposto da:

B.M.H., elettivamente domiciliato in Montichiari (BS),

VIA FORNACE 30/32/38, rappresentato e difeso dall’avvocato LIDIA

BIANCO SPERONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il

29/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Brescia, con decreto pubblicato il 29 maggio 2019, respingeva il ricorso proposto da B.M.H., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale, riteneva che le dichiarazioni rese da richiedente non fossero attendibili. Egli non era stato in grado di circostanziare la vicenda e su fatti essenziale determinante l’espatrio. In particolare, aveva dichiarato di non conoscere la persona morta durante gli scontri, del cui omicidio era stato accusato, tale K.M.. Alla Commissione territoriale, invece, aveva fornito una versione del tutto diversa, affermando di conoscere il suddetto K.M. da lungo tempo in quanto viveva vicino al suo villaggio d’origine di aver intrapreso con lui viaggi a (OMISSIS). Altri aspetti contraddittori riguardavano le motivazioni della protesta e ad altre circostanze rilevanti e non suscettibili di ricordi imprecisi. La documentazione prodotta appariva prima facie non genuina. Lo stesso affidavit rilasciato dal presidente del partito (OMISSIS) era in contrasto con il racconto del richiedente, in quanto faceva riferimento ad un suo ruolo politico da lui stesso negato.

Infine richiedente aveva fatto cenno ad un debito contratto dalla sua famiglia rispetto al quale da un lato non aveva allegato la usurarietà del prestito e dall’altro anche tale vicenda non risultava credibile.

A totale inattendibilità del richiedente comportava il rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Quanto alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), il ricorrente non aveva allegato alcun rischio per la propria vita o incolumità personale a causa di una situazione di generale e indiscriminata violenza derivante da conflitto armato. In ogni caso anche sulla base delle più recenti e affidabili informazioni sul Bangladesh doveva escludersi che vi fosse una rilevante e stabile perdita di controllo del territorio da parte delle autorità governative.

Quanto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi gravi di carattere umanitario il Tribunale ribadiva che il paese di provenienza del richiedente offriva adeguata protezione e e che nella specie difettava hanno tanto i presupposti soggettivi quanto quelli oggettivi.

Il richiedente era un giovane uomo nel pieno possesso di capacità lavorativa e senza particolari problematiche personali o familiari e la volontà di inserimento nel contesto sociale del paese ospitante non era elemento idoneo a giustificare il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Con riferimento ai fattori oggettivi la situazione del Bangladesh non presentava significative criticità sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona.

3. B.M.H. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso ed ha depositato una memoria oltre il termine consentito.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito senza svolgere attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione e vizio di motivazione apparente in ordine alla valutazione di non credibilità da parte del Tribunale della vicenda personale narrata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, art. 1, lett. a), 2), della Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8, in relazione al rigetto della domanda proposta in via principale relativo alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato

La censura verte sulle lacune motivazionali in relazione alla ritenuta non veridicità delle dichiarazioni del richiedente, in particolare con riferimento alla documentazione allegata al ricorso.

Il ricorrente, infine, cita una serie di fonti per affermare la situazione di estrema gravità esistente in Bangladesh.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto, vizio di motivazione apparente denunciata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, al fine di censurare la decisione per aver valutato la domanda di protezione sussidiaria in base a generiche informazioni sulla situazione interna del Bangladesh, senza considerazione completa delle prove disponibili e senza corretto esercizio dei poteri ufficiosi.

La censura attiene alla violazione dell’art. 14 in tutte le sue diverse ipotesi e dell’onere di cooperazione alla luce delle fonti internazionali sulla situazione del Bangladesh e del racconto del ricorrente.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto, vizio di motivazione per non avere il Tribunale di Brescia riconosciuto l’esistenza di una protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza per motivi politici.

La censura attiene alla sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi per il rilascio del permesso per motivi umanitari. Sotto il profilo oggettivo il ricorrente richiama nuovamente la condizione di criticità del Bangladesh sotto il profilo soggettivo, invece, richiama i motivi della fuga del buon percorso di integrazione la frequentazione di 1 corso di formazione d’igiene sicurezza alimentare e di formazione quale addetto antincendio.

4. I tre motivi di ricorso che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

La critica formulata nei motivi costituisce, infatti, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Come si è detto, il Tribunale ha motivato sia in relazione alla situazione soggettiva del ricorrente sia in ordine alla situazione complessiva del Bangladesh, sicchè è del tutto evidente che non vi è stata alcuna violazione di legge o omessa motivazione nell’accezione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Ne consegue che la censura si risolve in una richiesta di nuova valutazione dei medesimi fatti.

Il ricorrente, inoltre, deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla sua vicenda personale ed alla situazione generale del Bangladesh, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.

Come si è detto il Tribunale ha esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza, la situazione generale del paese di origine ed in particolare della regione di provenienza del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del Bangladesh, così come per l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e b).

Inoltre, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente lamenta il riferimento a fonti non aggiornate ma non indica altre fonti più recenti che siano idonee a smentire quanto accertato dal Tribunale.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

La pronuncia impugnata, dunque, risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile.

6. In atti vi è istanza di liquidazione dei compensi D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82, rispetto alla quale non è luogo a pronuncia, in quanto a richiesta va depositata al Giudice del rinvio in caso di accoglimento del ricorso per Cassazione e al Giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile nell’ipotesi di rigetto (Sez. 6-2, Ord. n. 1844 del 2018).

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2020

 

 

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