Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17189 del 14/08/2020

Cassazione civile sez. II, 14/08/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 14/08/2020), n.17189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21676/2019 R.G. proposto da:

B.S., alias B.S., c.f. (OMISSIS),

rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in calce al

ricorso dall’avvocato Stefano Mannironi, ed elettivamente

domiciliato in Roma, presso la cancelleria della Corte di

Cassazione.

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 517/2019 della Corte d’Appello di Cagliari;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 6 febbraio 2020 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ordinanza in data 1.7.2017 il Tribunale di Cagliari respingeva il ricorso con cui B.S., alias B.S., aveva chiesto il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Avverso tale ordinanza B.S. proponeva appello. Il Ministero dell’Interno non si costituiva.

3. Con sentenza n. 517/2019 la Corte di Cagliari rigettava il gravame.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso B.S., alias B.S.; ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

5. Il ricorrente ha depositato memoria.

6. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e n. 4, la violazione degli artt. 1, 3, 19, 20 e 22 Convenzione Diritti Fanciullo New York 20.11.1989 in relazione al regolamento C.E.E. n. 604/2013, D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 18,L. n. 39 del 1990, art. 1 (e succ. modif.); denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contraddittorietà della motivazione su fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce in primo luogo che è nato in (OMISSIS) ed è arrivato in Italia il (OMISSIS), allorchè era ancora minorenne, sicchè avrebbe dovuto beneficiare del trattamento normativo previsto per i minori di età.

Deduce che ha errato la corte di merito a ritenere inammissibile tale istanza siccome non formulata in prime cure; che invero ai fini dell’applicazione della disciplina normativa di riferimento opera il principio iura novit curia.

Prospetta, in subordine, l’illegittimità costituzionale dell’art. 112 c.p.c., per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost..

Deduce in secondo luogo che ha errato la corte di merito a negargli il riconoscimento dello status di “rifugiato”, viepiù che i giudici di merito ben avrebbero potuto avvalersi dei poteri istruttori officiosi ad essi devoluti.

Deduce segnatamente che è di religione musulmana ed ha ingravidato una ragazza sedicenne di religione cristiana; che è stato costretto ad allontanarsi dal suo paese d’origine a seguito ed a causa delle minacce di morte rivoltegli dallo zio paterno, suo patrigno, capo religioso, e dai familiari della ragazza, allorchè hanno appreso dell’accaduto, indignati per la diversità delle fedi religiose professate.

Deduce quindi che, se rimpatriato, pur in altre regioni del suo paese d’origine, sarebbe esposto al rischio di essere perseguitato, sarebbe esposta a rischio la sua personale incolumità.

7. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 2, in relazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 13 ed all’art. 6 della direttiva C.E.E. n. 115/2008; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che la commissione territoriale ed il tribunale hanno omesso di pronunciarsi sulla richiesta di diritto d’asilo formulata con l’istanza di protezione.

Deduce che, contrariamente all’assunto della corte distrettuale, le tre fattispecie di protezione internazionale – correlate, rispettivamente, al riconoscimento dello status di “rifugiato”, alla protezione sussidiaria ed alla protezione umanitaria – non esauriscono tutte le ipotesi in cui lo straniero ha diritto d’asilo politico.

Deduce in particolare che la fattispecie prefigurata al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 costituisce ipotesi del tutto autonoma, viepiù che l’art. 6, comma 4 della direttiva C.E.E. n. 115/2008 prevede che gli Stati membri possono decidere di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi “caritatevoli o di altra natura” del tutto autonomi e differenti da quelli umanitari di cui all’art. 5 del medesimo D.Lgs..

8. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 16; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che, contrariamente a quanto assunto della corte territoriale, rilevano con riferimento alle ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), le circostanze addotte e quindi il rischio, se rimpatriato, di essere arrestato e sottoposto a tortura e di esser condannato a pena detentiva inumana e degradante.

Deduce, con riferimento all’ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che la corte territoriale non ha tenuto conto che l’instabilità socio – politica del Gambia perdura tuttora e “non è di molto mutata all’esito dell’insediamento del nuovo presidente” (così ricorso, pag. 26); che dunque sarebbe, in caso di rimpatrio, senza dubbio esposto, per ciò solo, a gravi rischi per la sua vita e la sua personale incolumità.

9. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e dell’art. 6, comma 4, della direttiva C.E.E. n. 115/2008; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che, contrariamente a quanto assunto dalla corte cagliaritana, sussistono nel caso di specie le condizioni perchè sia riconosciuta la protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19.

Deduce in particolare che ben può essergli accordato il permesso di soggiorno ex art. 19 cit. per “motivi caritatevoli o di altra natura”; che invero, se rimpatriato, è esposto al rischio di persecuzioni ovvero di trattamenti inumani e degradanti.

10. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che i giudici di merito ben avrebbero potuto accordargli il permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; che siffatta disposizione fa salva la ricorrenza di gravi motivi di carattere umanitario ovvero derivanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.

11. Va dato atto previamente della inammissibilità, a norma dell’art. 372 c.p.c., della documentazione, prodotta dal ricorrente, allegata al ricorso o alla memoria, che non afferisce nè alla nullità della sentenza impugnata nè all’ammissibilità del ricorso nè all’ammissibilità del controricorso.

12. Il primo motivo di ricorso, con riferimento ad entrambi i distinti profili in cui si articola, è destituito di fondamento.

13. Si prescinde, in ordine al primo profilo, dal rilievo di inammissibilità, operato dalla corte d’appello (cfr. sentenza impugnata, pag. 5), delle prospettazioni difensive dell’appellante correlate alla sua minore età all’atto del suo ingresso in Italia, siccome formulate in seconde cure e quindi “nuove”.

E non si disconosce che il ricorrente è entrato in Italia nel maggio del 2016, ancora minorenne, sicchè in relazione a tale data si e inizialmente connotato, in rapporto alle diversificate prefigurazioni legislative, il suo diritto alla protezione internazionale.

14. E tuttavia non può che opinarsi nei termini che seguono.

Da un canto, su di un piano propriamente sostanziale, il diritto del minore alla più incisiva protezione internazionale non può proiettarsi oltre il compimento della maggiore età ovvero non può che cessare al compimento della maggiore età.

Tanto, evidentemente, giacchè al raggiungimento della maggiore età viene meno il bisogno di una più intensa protezione: opinare diversamente comporterebbe inesorabilmente la distorsione del sistema.

D’altro canto, su di un piano propriamente processuale, l’astratta titolarità dell’azionato diritto alla più incisiva protezione internazionale del minore, quale condizione (cosiddetta “possibilità giuridica”) dell’azione, se, da un canto, è sufficiente che sussista al momento della decisione (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26769, con riferimento alla legittimazione ad agire), è necessario, d’altro canto, che persista sino al momento della decisione.

Ebbene, nella fattispecie, la decisione della Corte di Cagliari è sopraggiunta il 14.6.2019, allorquando il ricorrente era già divenuto maggiorenne.

Ovviamente, negli enunciati termini, è del tutto irrilevante la quaestio legitimitatis dell’art. 737 c.p.c., per asserita violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., che il ricorrente prospetta con il passaggio finale del primo profilo del motivo di ricorso in esame.

15. Si prescinde, in ordine al secondo profilo, dalla quaestio concernente l’astratta allegazione dei presupposti idonei – a giudizio del richiedente – ai fini del riconoscimento dello status di “rifugiato” (“il Tribunale ha in primo luogo dato atto che il ricorrente aveva chiesto in via principale il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed, in subordine, il permesso di soggiorno per motivi umanitari”: così sentenza d’appello, pag. 4).

Ebbene, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) ed f), lo status di “rifugiato” può essere riconosciuto al cittadino straniero “il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese (…)”.

Su tale scorta è innegabile che tra i suindicati motivi che possono giustificare “il fondato timore di essere perseguitato”, di certo non è annoverabile il preteso timore del ricorrente di essere, se rimpatriato nel paese d’origine, ucciso dallo zio paterno, suo patrigno, ovvero dai familiari della ragazza ingravidata ovvero ancora di essere sottoposto a pena detentiva per aver avuto una relazione sessuale con una sedicenne.

Al riguardo pertanto va appieno condiviso e reiterato il giudizio della corte di merito secondo cui la diversità di fede religiosa non ha nella vicenda esplicato una portata concludente, una valenza caratterizzante (cfr. sentenza d’appello, pag. 6). Cosicchè è da escludere che possa argomentarsi nel senso di “persecuzione per motivi religiosi”.

16. Si rimarca, da ultimo, che nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – al di là dell’ipotesi del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, insussistente nel caso de quo – non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4 del medesimo art. 360 c.p.c. (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

17. Il secondo motivo di ricorso è del pari destituito di fondamento.

E’ sufficiente ribadire l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di “rifugiato”, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 e di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 (cfr. Cass. (ord.) 4.8.2016, n. 16362; Cass. (ord.) 19.4.2019, n. 11110).

18. Il terzo motivo di ricorso è parimenti destituito di fondamento.

19. Duplice è la proiezione del mezzo in disamina.

20. In primo luogo il terzo motivo si aggancia alle ipotesi di protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

In parte qua il motivo in disamina sollecita questa Corte a dar corso ad una “diversa lettura” delle dichiarazioni del ricorrente ai fini ed in vista del concreto riscontro delle astratte prefigurazioni di cui alle menzionate lett. a) e b) dell’art. 14 cit. (“l’apparente contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal ricorrente (…) deve essere ridimensionata dovendosi tener conto della giovane età (…) e del trauma (…) subito”: così ricorso, pag. 20; “alcuni particolari del vissuto del minore possono essere stati rimossi o ricordati dallo stesso confusamente tanto più ove si consideri che (…) in Libia è stato (…) in carcere per quattro mesi”: così ricorso, pag. 20; “la Corte territoriale si ritiene non colga nel segno laddove sostiene che l’istante non sia credibile perchè (…)”: così ricorso, pag. 21).

Ebbene questa Corte spiega che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

21. In secondo luogo il terzo motivo si aggancia all’ipotesi di protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

22. Ebbene questa Corte spiega che, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; e che il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

23. Nel quadro delle operate puntualizzazioni il terzo motivo di ricorso, con riferimento ad ambedue i profili di censura che veicola, si qualifica in via esclusiva in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, siccome, appunto, reca censura del giudizio “di fatto” cui, in partis quibus, la corte di merito ha atteso.

24. In quest’ottica si rappresenta quanto segue.

Innanzitutto il giudizio di appello ha avuto inizio con citazione notificata il 31.7.2017 (cfr. sentenza d’appello, pag. 2).

Altresì la statuizione di seconde cure ha integralmente confermato la statuizione di prime cure.

Conseguentemente si applica ratione temporis al caso di specie la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860, secondo cui l’art. 348 ter c.p.c., comma 5, non si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11.9.2012). Si tenga conto che nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. 22.12.2016, n. 26774).

25. In ogni caso si rappresenta ulteriormente quanto segue.

Per un verso, è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte – e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione – possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte distrettuale ha ancorato il suo dictum.

In particolare, in ordine all’ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la corte territoriale ha specificato che “la situazione socio – politica del Gambia, successivamente ai disordini verificatisi in occasione delle elezioni del dicembre 2016 (…) risulta essersi stabilizzata, con la fine della dittatura, (…)” (così sentenza d’appello, pag. 13); ed ha aggiunto che “il rapporto Amnesty 2017/2018 ha confermato la descritta situazione del paese” (così sentenza d’appello, pag. 15).

Per altro verso, la corte cagliaritana ha sicuramente disaminato i fatti decisivi caratterizzanti, in partis quibus, la res litigiosa, ossia l’attendibilità delle dichiarazioni rese da B.S., alias B.S. e la concreta sussistenza dell’ipotesi in astratto prefigurata dell’art. 14 cit., lett. c).

Per altro verso ancora, il dictum della corte sarda è ineccepibile sul piano della correttezza giuridica, congruo e esaustivo sul piano logico-formale.

26. Il ricorrente si duole, altresì, della omessa considerazione di determinati esiti processuali (non si è tenuto conto della circostanza che si è dapprima recato in Libia, ove è stato ingiustamente incarcerato per quattro mesi: cfr. ricorso, pagg. 27 – 28).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

27. Nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, inoltre, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

28. Il quarto motivo ed il quinto motivo di ricorso sono strettamente connessi; il che ne giustifica l’esame simultaneo; ambedue i motivi comunque sono privi di fondamento.

29. Vanno previamente ribaditi gli insegnamenti di questa Corte n. 16362/2016 e n. 11110/2019 dapprima – in sede di disamina del secondo motivo – citati.

Cosicchè è da escludere che vi sia margine per far luogo (siccome specificamente si assume con il quinto motivo) alla protezione umanitaria tout court “per motivi caritatevoli o di altra natura”.

30. Non sfugge in verità che il ricorrente menziona il “precedente” (ord.) n. 5358 del 22.2.2019 di questa Corte, a tenor del quale il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari (secondo la normativa vigente “ratione temporis”) presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali; cosicchè (prosegue il citato “precedente”), anche laddove il richiedente abbia commesso fuori del territorio nazionale un reato grave (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 10, comma 2, lett. b) e art. 16, comma 1, lett. b)) e, tuttavia, venga accertato il rischio, in caso di rientro nel paese di origine, di sottoposizione a tortura o a trattamenti inumani o degradanti, secondo i principi affermati dall’art. 3 della C.E.D.U., tale evenienza va presa in considerazione dal giudice della protezione internazionale, con l’ausilio dei poteri ufficiosi che gli competono, anche nelle fattispecie antecedenti all’entrata in vigore della L. n. 110 del 2017, che prevede che, in nessun caso, possa disporsi l’espulsione dello straniero qualora esistano fondati motivi di ritenere che esso rischi di essere sottoposto a tortura (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19).

Ebbene il menzionato “precedente” non ha rilievo nel caso de quo: al di là di ogni valutazione in ordine alla gravità del reato asseritamente commesso dal ricorrente, i giudici di merito hanno opinato per l’inattendibilità delle dichiarazioni rese, cosicchè, nella fattispecie, non si ha riscontro innanzitutto della commissione di un reato fuori del territorio nazionale.

31. In ordine all’invocata protezione umanitaria la corte d’appello ha esplicitato che il ricorrente non aveva dato prova della sua integrazione socio – lavorativa in Italia e che aveva unicamente “allegato la frequentazione di un corso di alfabetizzazione per apprendere la lingua italiana” (così sentenza d’appello, pag. 23).

32. Ebbene questa Corte spiega, sì, che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

33. E però non può non darsi atto – pur a prescindere, in parte qua, dalla “doppia conforme” – che le ragioni di censura che specificamente il quinto motivo di impugnazione veicola (sulla scorta degli assunti per cui rilevano a tal fine la giovane età, i traumi sofferti in Libia, il rischio, se rimpatriato, di arresto e di carcerazione, la progressiva integrazione, anche lavorativa, nel realtà socio – economica italiana: cfr. ricorso, pagg. 31 e 32), recano, al più, censura del giudizio “di fatto” cui, pur in parte qua, il giudice del merito ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente (condivisibilmente il Ministero assume, sulla scorta della pronuncia n. 4455/2018 di questa Corte, che “l’accertamento della vulnerabilità costituisce l’esito di un giudizio di valore rimesso al giudicante”: così controricorso, pag. 11).

34. Ebbene, in quest’ottica, similmente nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, non può che opinarsi come segue.

Nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” si scorge, anche in parte qua, nelle motivazioni dell’impugnato dictum. Del resto, limitatamente all’asserito omesso esame dell’allegata copiosa documentazione (cfr. ricorso, pag. 32), non possono che esplicare valenza gli insegnamenti di questa Corte in precedenza menzionati (il riferimento è a Cass. n. 11892/2016 e a Cass. (ord.) n. 23153/2018).

Al contempo, la corte d’appello ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia la concreta sussistenza dei margini per il riconoscimento della protezione umanitaria.

35. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

36. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315, secondo cui la debenza dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione è normativamente condizionata a due presupposti: il primo, di natura processuale, costituito dall’adozione di una pronuncia di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, la cui sussistenza è oggetto dell’attestazione resa dal giudice dell’impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater; il secondo, di diritto sostanziale tributario, consistente nell’obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, il cui accertamento spetta invece all’amministrazione giudiziaria).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, B.S., alias B.S., a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2020

 

 

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