Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17188 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 16/06/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 16/06/2021), n.17188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21631-2017 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO MARESCA,

ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e

difendono;

– ricorrente –

contro

N.P., elettivamente domiciliato in L’AQUILA, CORSO

VITTORIO EMANUELE 139, presso lo studio dell’avvocato LUCA

SILVESTRI, rappresentato e difeso dall’avvocato ERNESTO MARIA

CIRILLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2971/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/04/2017 R.G.N. 6053/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO.

 

Fatto

RILEVATO

che Telecom Italia S.p.A. ha proposto appello, nei confronti di N.P., avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 14131/2013, depositata il 20.6.2013, rappresentando che il N. aveva chiesto al medesimo Tribunale, in via monitoria, di ingiungere alla predetta società il pagamento della somma di Euro 1.424,40 per il premio annuo relativo al mese di luglio 2011 dovuto in virtù della sentenza n. 23107/2009, resa inter partes dal Tribunale di Napoli, e confermata dalla Corte territoriale della stessa sede, con la quale era stata stabilita “la permanenza del rapporto di lavoro” tra lo stesso N. e la Telecom Italia S.p.A. -, che quest’ultima non ha provveduto a corrispondere;

che il predetto Tribunale, con decreto n. 2922/2012, aveva ingiunto alla società datrice di versare tale somma, oltre accessori e spese della procedura monitoria;

che avverso il detto decreto ingiuntivo la società aveva proposto opposizione, respinta, appunto, con la pronunzia n. 14131/2013, che la Corte di Appello aveva confermato, respingendo il gravame della società;

che la Corte territoriale, per quanto ancora di rilievo in questa sede, ha sottolineato che “è pacifico tra le parti che con sentenza n. 23107/2009 resa tra le stesse dal Giudice del lavoro di Napoli, confermata in sede di appello, era stato dichiarato inefficace nei confronti del ricorrente il contratto di cessione di ramo di azienda stipulato tra Telecom Italia e TNT Logistic, e, per l’effetto, la cedente Telecom Italia S.p.A. veniva condannata a ripristinare la concreta funzionalità del rapporto di lavoro con mansioni compatibili con il livello di inquadramento posseduto dal N. prima del suddetto trasferimento; sulla base di tale pronuncia il N. chiese alla Telecom S.p.A. di essere reintegrato nel posto di lavoro precedentemente occupato o in altro equivalente; tale riammissione in servizio non è però avvenuta e l’appellato ha continuato a lavorare alle dipendenze della cessionaria, da cui è stato regolarmente retribuito, fino alla data di licenziamento da parte della stessa (17/7/2011); con ricorso ex art. 633 c.p.c. il N. ha chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo con cui è stato intimato alla società di pagare in favore dello stesso la somma di Euro 1.424,40, oltre accessori, a titolo di premio annuo per il mese di luglio 2011”;

che per la cassazione della sentenza ricorre Telecom Italia S.p.A., articolando un motivo, cui resiste con controricorso N.P.;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2909,1206,1207,1217,1223,1256,1453 e 1463 c.c., nella parte in cui nella sentenza impugnata non sono state detratte, “da quanto dovuto alla parte resistente il credito maturato dal N. per effetto della sentenza n. 19736/2013 del 14.11.2013, emessa dal Tribunale di Napoli”, con la quale era stata ordinata la reintegrazione, L. n. 300 del 1970, ex art. 18 del N. nel posto di lavoro alle dipendenze di Ceva Logistics e quest’ultima era stata condannata al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella della effettiva reintegra, oltre interessi e rivalutazione; pertanto, a parere della Telecom Italia S.p.A., “nessun danno differenziale residuava nel caso di specie, posto che altro titolo giudiziario (nello specifico, la sentenza del Tribunale di Napoli n. 19736/2013), costituente giudicato esterno, in relazione al medesimo periodo oggetto della presente causa, aveva già statuito per il diritto alle retribuzioni del lavoratore”;

che il motivo è inammissibile, poichè la società datrice ha sollevato soltanto in sede di legittimità l’eccezione relativa al ricorso proposto dal N. avverso il licenziamento allo stesso intimato dalla Ceva Logistics; pertanto, all’evidenza, si tratta di questione nuova (come si evince anche dalla documentazione trascritta nel controricorso alle pagg. 4 e 5); nè la società ha prodotto gli atti dei gradi di merito dai quali potesse eventualmente evincersi il contrario; e ciò, in violazione del principio più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce (art. 366, comma 1, n. 6 codice di rito), in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti le fasi di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013); per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità delle doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza;

che, infine – e ad abundantiam la società ricorrente neppure ha prodotto l’attestazione del passaggio in giudicato della sentenza n. 19736/2013 (riportata alle pagg. 4-10 del ricorso), in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6; che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del presente giudizio – liquidate come in dispositivo e da distrarre, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore del difensore del N., avv. Ernesto Maria Cirillo, dichiaratosi antistatario seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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