Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17183 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. I, 16/06/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 16/06/2021), n.17183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 36812/2018 R.G. proposto da

J.F.I., rappresentata e difesa dall’Avv. Mariagrazia

Stigliano, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BARI;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Bari depositato il 20 dicembre

2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 gennaio

2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 20 dicembre 2018, il Tribunale di Bari ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta da J.F.I., cittadina della (OMISSIS).

Premesso che a sostegno della domanda la ricorrente aveva riferito di essersi allontanata dal suo Paese di origine per sfuggire alle minacce dello zio paterno, il quale, dopo aver assassinato suo padre per motivi religiosi, si era impossessato di un fondo di sua proprietà, percuotendo e minacciando sua madre e costringendola a fuggire, il Tribunale ha ritenuto insussistenti i requisiti necessari per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, rilevando che dalla predetta vicenda non emergevano situazioni di persecuzione, intesa quale vessazione o repressione violenta ed implacabile, nè circostanze idonee ad evidenziare un danno grave. Ha escluso comunque la credibilità della narrazione, ponendo in risalto la genericità della ricostruzione dei fatti e ritenendo poco verosimile che a seguito della morte del padre non fosse stata presentata denuncia alle autorità competenti. Ha rilevato inoltre che nella regione di provenienza della ricorrente, situata nel meridione della (OMISSIS), non era riscontrabile una situazione di conflitto armato, ma solo una serie di scontri etnico-politici motivati da ragioni economiche legate all’estrazione del petrolio ed inidonei a determinare una situazione di violenza generalizzata tale da coinvolgere anche la ricorrente. Ha aggiunto che quest’ultima non aveva addotto elementi idonei a dimostrare il rischio di discriminazione per motivi religiosi, escludendo anche la configurabilità di un’effettiva lesione di diritti fondamentali o di una situazione di vulnerabilità personale, tale da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria. Quanto al transito in Libia, ha precisato che la ricorrente non aveva chiarito in che misura lo stesso avesse inciso sulla sua situazione personale, osservando infine, relativamente all’integrazione sociale, che ella aveva allegato soltanto di aver stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato, ormai scaduto.

3. Avverso il predetto decreto la J. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i tre motivi d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 18 novembre 2007, n. 251, art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5, art. 5, comma 1, lett. c), art. 6, comma 2, art. 7, comma 2, lett. b), art. 8, comma 1, lett. d), art. 14, lett. c) e art. 19, comma 2, del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, art. 11, art. 29, comma 1, lett. b), e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19 nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nell’escludere l’attendibilità delle dichiarazioni da lei rese, il Tribunale ha omesso di accertare il rischio di persecuzione attraverso l’esercizio dei poteri istruttori ad esso spettanti, nonchè di procedere ad una nuova audizione” nonostante la produzione di nuovi documenti, che non avevano potuto essere depositati nel corso del procedimento amministrativo. Premesso che il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso in virtù della provenienza della minaccia da soggetti privati, afferma che il Tribunale avrebbe dovuto procedere alla verifica della situazione esistente in (OMISSIS), al fine di stabilire se le autorità statali di quel Paese fossero in grado di assicurarle adeguata tutela. Aggiunge che il Tribunale non ha svolto alcun accertamento in ordine alla situazione d’insicurezza esistente nella sua area di provenienza, a causa degli scontri tra cristiani e musulmani e delle appropriazioni fondiarie, nonchè delle migrazioni di pastori nomadi dalla parte settentrionale del Paese, e della reazione scarsamente incisiva delle autorità statali e federali. Precisato infine che il rimpatrio la esporrebbe al rischio di ritorsioni da parte dello zio, osserva che i fatti esposti evidenziavano una condizione di vulnerabilità personale tale da giustificare almeno il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

1.1. Il ricorso è inammissibile.

Le censure proposte dal ricorrente, distinte soltanto nella rubrica, risultano infatti sviluppate cumulativamente, unificando nel medesimo contesto critiche riguardanti differenti capi della decisione impugnata, senza alcun riguardo alla riferibilità dei vizi denunciati all’una piuttosto che all’altra delle domande formulate nel giudizio di merito ed alla diversità dei requisiti prescritti per il riconoscimento di ciascuna misura di protezione, nonchè accomunando le doglianze di violazione di legge alla sottolineatura di carenze motivazionali, senza individuare con precisione le questioni di diritto e gli apprezzamenti di fatto cui rispettivamente sì riferiscono, ma limitandosi a richiamare disordinatamente precedenti giurisprudenziali e fonti d’informazione, dei quali non viene neppure chiarita di volta in volta la pertinenza.

Com’è noto, invece, il principio di specificità dell’impugnazione, desumibile dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, postula, per la formulazione di ciascun motivo, non solo la distinta indicazione della rubrica, ma anche la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto, nonchè l’illustrazione degli argomenti addotti a sostegno della decisione impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente enunciato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia (cfr. Cass., Sez. lav., 18/08/2020; Cass., Sez. III, 19/08/2009, n. 18421). Il giudizio di cassazione costituisce infatti un rimedio a critica vincolata, avente un oggetto individuato e delimitato dai motivi di ricorso, i quali assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassativamente previste dal codice di rito, e devono quindi presentare connotati di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, tali da garantire che i vizi denunciati rientrino nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. II, 14/05/2018, n. 11603; Cass., Sez. VI, 22/09/2014, n. 19959). In particolare, le censure di violazione di legge devono potersi distinguere chiaramente da quelle concernenti vizi motivazionali, consistendo le prime nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, che implica necessariamente una questione interpretativa, e le seconde nell’allegazione di un’erronea ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che, in quanto inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, non può eccedere l’individuazione del fatto storico da quest’ultimo trascurato o delle lacune o delle carenze argomentative nelle quali egli sia incorso (cfr. Cass., Sez. I, 13/ 10/2017, n. 24155; Cass., Sez. lav., 11/01/2016, n. 195): pertanto, anche nel caso in cui i predetti vizi vengano fatti valere cumulativamente, è necessario che dalla lettura del motivo si evincano con chiarezza i profili di diritto e di fatto investiti dalle censure, non potendosi pretendere dal Giudice di legittimità un intervento integrativo volto a far emergere compiutamente il contenuto del motivo, attraverso l’individuazione, per ciascuna delle doglianze, dello specifico vizio denunciato (cfr. Cass., Sez. V, 14/09/2016, n. 18021; Cass. Sez. I, 20/09/2013, n. 21611; Cass., Sez. lav., 11/04/2008, n. 9470).

Nella specie, è proprio la necessità di tale intervento ad impedire di dare ingresso ai motivi proposti dalla ricorrente,, la cui illustrazione risulta nel complesso talmente confusa e priva di ordine logico da non consentire d’individuare con sicurezza le statuizioni che si intendono censurare e le questioni che si vogliono sottoporre all’esame di questa Corte, con la conseguenza che risulta inevitabile la dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione. Tali carenze, non emendabili con atti successivi, non possono ritenersi sanate neppure con la memoria di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c., nella quale la difesa della ricorrente si sforza di focalizzare l’attenzione su alcune delle tematiche evidenziate nel ricorso (le violenze subite nel Paese di transito, l’omissione dell’audizione e l’aggiornamento delle informazioni acquisite), in ordine alle quali si limita peraltro a citare recenti pronunzie di legittimità, senza argomentare in ordine al contenuto del decreto impugnato.

2. La mancata costituzione dell’intimato esclude la necessità di provvedere al regolamento delle spese processuali.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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