Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17182 del 10/08/2011

Cassazione civile sez. II, 10/08/2011, (ud. 05/11/2010, dep. 10/08/2011), n.17182

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA E. Q.

VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato PAGANELLI MAURIZIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIAMPIETRO FELICE, giusta

mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

REGIONE BASILICATA, in persona del Presidente della Giunta Regionale

e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA NIZZA 56, presso l’UFFICIO di RAPPRESENTANZA DELLA REGIONE

BASILICATA, rappresentata e difesa dall’avvocato DEL CORSO DONATO,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23/2006 del TRIBUNALE di MATERA, sezione

distaccata di PISTICCI, depositata l’08/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/11/2010 dal Consigliere Relatore dott. IPPOLISTO PARZIALE;

è presente il P.G. in persona del Dott. RUSSO Libertino Alberto che

nulla osserva.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- F.O. impugna per cassazione la sentenza del Tribunale di Matera – sez. distaccata di Pisticci – n. 23/2006, depositata in data 8/2/2006, che rigettava la sua opposizione all’ordinanza-ingiunzione n. 400/1998 della Regione Basilicata.

2. – La vicenda processuale è così riassunta dalla sentenza impugnata. Con ricorso depositato il 27/1 /1999, il sig. F. O., proponeva formale opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 400/98 notificata il 28 novembre 1998 con la quale il Presidente della Giunta della Regione Basilicata gli ingiungeva il pagamento della sanzione di L. 31.680.000 (pari a Euro 16.361,35) per avere lo stesso rinnovato la coltura agraria su una superficie di terreno di ha. 30.00.00 in località (OMISSIS), incluso nella 3^ zona di terreni vincolati nel territorio del Comune di (OMISSIS). Il tutto in violazione del R.D. n. 3267 del 1923, artt. 7 e 24 e della L. n. 47 del 1975, art. 10. L’ordinanza impugnata traeva origine dal verbale di accertamento n. 5 elevato dal Corpo Forestale dello Stato di Scannano Jonico in data 27/4/1996.

L’opponente a sostegno del ricorso eccepiva l’infondatezza e l’illegittimità dell’ordinanza-ingiunzione opposta per vari motivi:

1) difetto assoluto di motivazione perchè in essa non erano indicati i motivi della sanzione inflitta, gli accertamenti svolti, l’estensione del terreno assoggettata a coltura ed in particolare non risultava specificato il calcolo in virtù del quale si era ritenuto di comminare la sanzione in questione; 2) insussistenza dei presupposti di fatto. In ordine a tale punto il ricorrente sosteneva di non aver effettuato rinnovazione di coltura alcuna ma si trattava di fatti pregressi risalenti al 21/1/1980.

Inoltre, deduceva che non era stata specificata quale attività fosse stata compiuta dallo stesso ricorrente alfine di individuare se si fosse trattato o meno di attività di rinnovazione colturale capace di creare il livello di potenziale pericolo, possibilità di denudazione del terreno e di attentare alla sua stabilità proprio in virtù di quanto previsto dalla L. n. 3267 del 1923, art. 7.

Sosteneva, inoltre, la unicità della condotta e conseguente unicità di sanzione. Infatti la Polizia forestale dal 1973 gli aveva elevato contravvenzioni con scansioni periodiche di una all’anno e sempre per la stessa condotta: il disboscamento eseguito nel 1973 e la successiva messa a coltura. Si poneva, quindi, il problema a dire del ricorrente, di stabilire se si trattava di condotta unica oppure di condotta permanente. Invocava pertanto applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 8. In fine deduceva e eccepiva con riferimento all’entità della pena la sproporzione tra la somma richiesta, che non avrebbe potuto superare L. 20 milioni, e l’accertata violazione, invocando l’applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 10″.

3. Parte ricorrente articola quattro motivi di ricorso.

4. Resiste con controricorso la parte intimata.

5. I motivi del ricorso.

5.1 – Col primo motivo di ricorso si deduce: “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 18 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″. Lamenta il ricorrente l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale l’obbligo di motivazione dell’ordinanza ingiunzione sarebbe soddisfatto anche mediante il suo richiamo al verbale di accertamento della violazione. Nel caso in questione la motivazione dell’ordinanza ingiunzione risultava carente, posto che essa non faceva alcun riferimento ad elementi di fatto certi ed essenziali per la esatta individuazione dell’illecito contestato, perchè priva della indicazione delle particelle catastali dei terreni interessati della presunta attività colturale, ovvero della menzione anche su carte topografiche e documenti ad essi equivalenti per l’estensione dei terreni della loro esatta ubicazione di riferimento alla zona sottoposta a vincolo idrogeologico”. Veniva indicata una superficie del terreno senza alcun riferimento alla sua esatta estensione, rilevata attraverso adeguati strumenti di misurazione, nonchè alla sua esatta collocazione nell’area sottoposta a vincolo idrogeologico. Non venivano indicati neanche i proprietari confinanti ovvero l’esatta delimitazione della zona sottoposta a vincolo idrogeologico. Il verbale quindi risultava carente di motivazione in relazione agli elementi essenziali contestati perchè affidato esclusivamente alle capacità sensoriali e/o conoscitive degli agenti del corpo forestale dello Stato, intervenuti sul luogo senza l’ausilio di strumenti di rilevazione del presunto illecito.

5.2 – Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. L’onere della prova relativo alla contestazione delle violazioni incombeva alla P.A. procedente, che nell’ordinanza ingiunzione si limitava a richiamare il contenuto del verbale elevato dal corpo forestale lo Stato. La regione Basilicata emetteva provvedimento sanzionatorio in assenza di qualsivoglia utile e certa circostanza di fatto idonea a provarne anche presuntivamente la fondatezza dell’illecito contestato. Mancava l’indispensabile individuazione catastale del terreno nonchè la sua ubicazione in relazione alle aree sottoposte a vincolo idrogeologico. Veniva illegittimamente presunta la esatta estensione della superficie agricola coltivata in assenza della prescritta autorizzazione. Non veniva prodotta, nè esibita, la documentazione, fotografica.

5.3 – Col terzo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione del R.D. n. 3267 del 1923, artt. 7 e 24 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. La normativa in questione individua in modo dettagliato i criteri di calcolo imposti alla pubblica amministrazione nella erogazione della sanzione pecuniaria conseguente alla contestazione dell’illecito previsto dall’art. 7, in relazione al quale l’esatta determinazione dell’estensione dei terreni è presupposto per il relativo calcolo. Nel verbale non venivano indicati gli elementi costitutivi dell’illecito quanto alla ubicazione del terreno e alla sua estensione ed individuazione in base alle particelle catastali.

5.4 – Con il quarto motivo di ricorso viene dedotta la omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso s decisivo del giudizio – Erroneamente il giudice di prime cure aveva ritenuto equa e giusta l’entità della sanzione in assenza di elementi costitutivi della fattispecie richiesti dalle norme in materia forestale.

6. – Attivata la procedura ex art. 375 c.p.c., la Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

7. – Il ricorso è infondato e va respinto.

I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente tra loro connessi, posto che nella sostanza si deduce che nella contestazione e nel successivo giudizio sia mancata la prova della titolarità del diritto di proprietà in capo all’opponente, dell’effettiva estensione del terreno, nonchè della parte di questa interessata dalle presunte culture non autorizzate, dell’esistenza stessa sul terreno de quo del vincolo idrogeologico, mancando perfino documentazione relativa a tale presupposto indefettibile nella contestazione dell’illecito.

Tali censure sono inammissibili in quanto sollevano in sede di legittimità questioni di fatto sulle quali non si è svolto il contraddittorio -nella fase di merito: all’esame dell’impugnata sentenza non risulta infatti che avanti al giudice di prime cure l’odierno ricorrente abbia contestato di essere proprietario del terreno, ne che lo stessei fosse stato erroneamente individuato; che siano state oggetto di sostanziale contestazione la sottoposizione del terreno in questione a vincolo idrogeologico o la estensione e la misura delle colture indicate nella contestazione, il giudice di prime cure, infatti, al riguardo ha osservato nella sua motivazione che: d’altronde, anche nel ricorso introduttivo non si nega la circostanza dell’avvenuta coltivazione da parte dell’opponente del terreno, laddove lo stesso ricorrente prema di coltivare il terreno dal 1973, tra l’altro con l’attenuante di non provocare danni ma di svolgere attività di protesone del terreno medesimo.

Conseguentemente, il ricorrente, onde poter legittimamente introdurre delle censure, avrebbe dovuto previamente impugnare la sentenza ex art. 112 c.p.c., e art. 360 c.p.c., n. 4 per omessa pronuncia su tali specifici eventuali motivi di opposizione ed, a tal fine, per l’autosufficienza del ricorso, avrebbe anche dovuto riprodurre in ricorso le pertinenti ragioni svolte con l’opposizione.

Nei limiti indicati anche il vizio di motivazione dedotto appare infondato posto che si contesta la sanzione irrogata sul presupposto di una diversa estensione del terreno, rispetto a quella effettiva, aspetto questo in relazione al quale si è già detto.

8. – Le spese seguono la soccombenza.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in complessivi 1.000,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2011

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