Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1718 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/01/2019, (ud. 18/09/2018, dep. 23/01/2019), n.1718

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.P., elettivamente domiciliato in Roma, via delle Cave 42,

presso l’avv. Maria Laviensi, rappresentato e difeso dall’avv.

Ameriga Petrucci, per procura in calce al ricorso, (fax n.

0972/723866; p.e.c. avvamerigapetrucci.legalmail.it);

– ricorrente –

nei confronti di:

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, ope legis, dall’Avvocatura Generale dello

Stato (fax n. 06/96514000; p.e.c. ags

m2.mailcert.avvocaturadistato.it), e domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi 12 presso gli uffici dell’Avvocatura;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 486/2016 della Corte di appello di Potenza

emessa in data 8 dicembre 2016 e depositata il 16 dicembre 2016 R.G.

n. 82/2016;

sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons.

Bisogni Giacinto.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. S.P., cittadino nigeriano originario della regione dell’Edo State, ha chiesto alla Commissione territoriale di Crotone per la protezione internazionale il riconoscimento del diritto allo status di rifugiato o subordinatamente alla protezione sussidiaria o umanitaria. Il richiedente ha esposto di essere stato costretto a lasciare la Nigeria in quanto temeva di essere sacrificato dal padre allo spirito degli Ogboni, timore suffragato dalla notizia appresa nel suo villaggio nativo di Jetù secondo cui l’anno precedente anche la madre sarebbe stata sacrificata per le stesse ragioni legate alle pratiche rituali sacrificali esistenti in varie regioni della Nigeria e alla credenza della efficacia di tali riti riferibili alla setta degli Ogboni. La Commissione territoriale ha respinto la domanda.

2. Il sig. S.P. ha quindi adito il Tribunale di Potenza che, con ordinanza dell’11 gennaio 2016, ha ritenuto infondato il ricorso.

3. La Corte di Appello ha confermato la decisione di primo grado escludendo l’esistenza di una persecuzione ai danni del richiedente idonea a giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria ha ritenuto che nessuno dei requisiti necessari al riconoscimento della protezione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), è stato prospettato dal richiedente mentre il suo racconto circa la pratica di sacrifici umani dedicati agli Ogboni risulta smentita dalle fonti internazionali che identificano gli Ogboni come una setta, paragonabile al modello di una loggia massonica cui aderiscono solo membri dell’elite nigeriana e che ha la funzione di un aiuto reciproco nelle vicende relative alla vita civile. Per quanto riguarda la sussistenza dei presupposti indicati dall’art. 14, lett. c), la Corte di appello ha rilevato che nè il richiedente ha provato nè può desumersi dalle fonti internazionali l’esistenza di un conflitto armato nella sua regione di provenienza da cui derivi una situazione di violenza indiscriminata. Per altro verso la stessa narrazione del ricorrente, qualora la si voglia ritenere credibile, non ha alcun collegamento con la situazione di conflitto interno che interessa il nord-est del paese per la presenza del gruppo terroristico di Boko Haram. Infine quanto alla domanda di protezione umanitaria, respinta dal Tribunale, in relazione alla scarsa credibilità del richiedente e alla assenza dei presupposti che ne legittimano la concessione, la Corte di appello ha rilevato che il ricorrente non ha indicato quali siano le gravi ragioni di protezione temporalmente limitate che giustificano la sua richiesta.

4. Avverso la sentenza della Corte d’appello il ricorrente propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi: a) violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullità della sentenza; b) violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; c) violazione e/o errata applicazione delle seguenti norme di diritto: art. 1 Convenzione di Ginevra del 1951; art. 25 dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo Onu del 1948; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,7,14,16 e 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15 comma 6; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1; artt. 2,10 e 32 Cost.; d) diniego della protezione umanitaria – violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

5. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza della Corte di appello che ha unito (per la presumibile utilizzazione della tecnica del “copia e incolla”) brani in evidente contrasto logico fra loro e che inficiano la rispondenza della stessa ai requisiti di legge.

6. Con il secondo motivo il ricorrente contesta la motivazione resa sia sul diniego di protezione sussidiaria che umanitaria rilevandone il carattere contraddittorio, perplesso e incomprensibile, perchè basato su affermazioni inconciliabili.

7. Con il terzo motivo di ricorso contesta la decisione della Corte di appello perchè non ha effettuato la valutazione di credibilità del richiedente asilo in base ai criteri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, richiamati ripetutamente dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. n. 16202/2012). Inoltre il ricorrente lamenta il mancato approfondimento che i giudici del merito avrebbero dovuto compiere con la richiesta di chiarimenti alla parte o con l’acquisizione, d’ufficio, di informazioni circa la situazione dedotta a sostegno della richiesta di protezione internazionale, sia con riguardo alla violenza indiscriminata esistente in Nigeria sia con riguardo alle pratiche sacrificali compiute o imposte da sette come quella degli Ogboni.

8. Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza della Corte distrettuale perchè ha sostanzialmente omesso l’esame della domanda di protezione umanitaria sul presupposto della insussistenza delle condizioni per il riconoscimento della tutela maggiore e perchè non ha ravvisato erroneamente un collegamento tra la situazione personale del ricorrente e la situazione del suo paese di provenienza.

Diritto

RITENUTO

CHE:

9. Il primo motivo è infondato perchè il breve brano inserito all’inizio della motivazione è il frutto di un errore materiale che non inficia la logicità e la coerenza della motivazione.

10. Il secondo motivo è inammissibile perchè non risponde ai requisiti richiesti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. civ. S.U. n. 8053/2014).

11. Il terzo motivo va esaminato separatamente quanto alle violazioni di legge attinenti al diniego della protezione sussidiaria che sono insussistenti e quanto alle violazioni attinenti al diniego di protezione umanitaria che per motivi di connessione logica vanno esaminate unitamente al quarto motivo.

12. La Corte di appello nel confermare il rigetto della domanda di protezione sussidiaria ha correttamente messo in luce l’assenza di deduzioni specifiche relativamente alla individualizzazione del rischio che deriverebbe al richiedente la protezione nel caso di rientro nella sua regione di provenienza e ha messo in rilievo sotto tale profilo la inesistenza di una situazione di conflitto armato che interessi l’Edo State. Quanto alla denuncia di una possibile esposizione del ricorrente a riti sacrificali per l’appartenenza o la soggezione del padre alla setta degli Ogboni la Corte di appello ha escluso la riconducibilità del dedotto ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria. Anche tale statuizione appare conforme alla normativa richiamata dal ricorrente perchè si tratta di una situazione di potenziale pericolo che non rientra in alcun modo nelle previsioni del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

13. Infine anche il quarto motivo è infondato. Sebbene la Corte di appello di rigetto non abbia operato un preciso richiamo alla giurisprudenza di legittimità secondo cui la protezione umanitaria è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può comunque disporsi l’espulsione del richiedente che si trova in una situazione di vulnerabilità (Cass. civ. sez. 6-1 n. 23604 del 9 ottobre 2017). Tuttavia nel valutare la domanda del ricorrente la Corte di appello ha sostanzialmente seguito il criterio indicato dalla giurisprudenza citata perchè ha effettuato oltre alla ricognizione sulla credibilità della narrazione anche una verifica, sulla base delle fonti di informazione internazionale disponibili, dell’effettiva pericolosità della setta da cui proverrebbe la grave minaccia denunciata dal richiedente. In base a tali informazioni ha escluso che la setta degli Ogboni costituisca, con le sue pratiche e le sue regole, un effettivo pericolo per chi non sottostà alle sue richieste. Si tratta di una valutazione di merito che in quanto fondata su fonti informative oggettive non può essere sindacata in questo giudizio.

14. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione. L’ammissione al gratuito patrocinio esclude l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, relativamente alla imposizione di un versamento di un ulteriore somma a titolo di contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 2.150 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello che sarebbe dovuto a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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