Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17174 del 11/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 17174 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 18383-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso L’ AREA
LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE,
rappresentata e difesa dagli avvocati HYERACI LUCIO

2013
613

AGOSTINO MARIO, URSINO ANNA MARIA, giusta delega in
atti;
– ricorrente contro

BAGLIVI MASSIMO, elettivamente domiciliato in ROMA,

Data pubblicazione: 11/07/2013

VIA CIPRO 77, presso lo studio dell’avvocato RUSSILLO
GERARDO, che lo rappresenta e difende giusta delega in
atti;
– controri corrente –

sul ricorso 18399-2009 proposto da:
MASSIMO

BGLMSM61M31B180P,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CIPRO 77, presso lo studio
dell’avvocato RUSSILLO GERARDO, che lo rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

POSTE ITALIANE S.P.A 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso L’ AREA
LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE,
rappresentata e difesa dagli avvocati HYERACI LUCIO
AGOSTINO MARIO, URSINO ANNA MARIA, giusta delega in
atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1433/2008 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 28/07/2008 r.g.n. 10913/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
údienza del 20/02/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato LAURORA ANNA TERESA per delega
HYERACI LUCIO AGOSTINO MARIO;

BAGLIVI

udito l’Avvocato PARMALIANA BIAGIO per delega RUSSILLO
GERARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. COSTANTINO FUCCI, che ha concluso per

il rigetto di entrambi i ricorsi.

R.G. n. 18383/09 + 18399/09
Ud. 20 febbr. 2013

Con ricorso al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del
lavoro, Massimo Baglivi, dipendente di Poste Italiane S.p.A., ex VI
categoria, lamentava di essere stato adibito a mansioni
dequalificanti per effetto dell’accorpamento del personale
inquadrato nella VI, V e IV categoria nell’unica area operativa
prevista dal CCNL 1994/97, e chiedeva di essere reintegrato nelle
mansioni in precedenza espletate, relative al profilo professionale
di perito, o in mansioni equivalenti, nonché la condanna al
risarcimento del danno derivante dal demansionamento.
Il Tribunale adito riconosceva l’avvenuta dequalificazione a
decorrere dall’I. aprile 1999 e sino all’i settembre 2001, data in cui
erano state assegnate al Baglivi mansioni di sportellista.
Condannava la società a corrispondere al ricorrente, a titolo di
danno subito per la dequalificazione, la somma pari al 30% delle
retribuzioni relative al periodo dianzi indicato.
Proponevano distinte impugnazioni entrambe le parti e la Corte
d’Appello di Roma, con sentenza del 20 febbraio 2008, in parziale
accoglimento degli appelli, dichiarava che il Baglivi aveva diritto,
anche per il periodo successivo all’I. settembre 2001,
all’attribuzione di mansioni equivalenti a quelle da lui espletate
sino al 31 marzo 1999, ritenendo dequalificanti le mansioni
assegnategli, ma rigettava le domande risarcitorie proposte dal
dipendente per mancanza di prova.
Tale sentenza è stata impugnata da entrambi le parti con
distinti ricorsi, ai quali hanno fatto seguito reciproci controricorsi.
Il dipendente ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve preliminarmente disporsi la riunione dei ricorsi ex
art. 335 cod. proc. civ.
2. Il ricorso di Poste Italiane S.p.A. è articolato in due motivi,
trattati congiuntamente, cui fanno seguito i relativi quesiti di
Con il primo si deduce violazione e falsa applicazione degli
artt. 1362 e 1363 cod. civ., in relazione agli artt. 2103 e 2082 cod.
civ.
Con il secondo è denunziata violazione e falsa applicazione
degli artt. 1362 e 1363 cod. civ.. in relazione agli artt. 45, 47, 53
CCNL del 26 novembre 1994 nonché all’accordo integrativo del 23
maggio 1995.
Si sostiene che la Corte territoriale ha errato nel ritenere che
anche successivamente al primo settembre 2001, in cui al Baglivi
sono state attribuite mansioni di sportellista, vi sia stato un suo
demansionamento.
Ed infatti, in base alla disciplina collettiva sopra richiamata,
nella nuova classificazione del personale delle Poste non è stata
conservata la distinzione tra le mansioni corrispondenti alle
precedenti categorie e non sono stati previsti distinti profili
professionali, ma un unico profilo per tutti gli appartenenti alla
stessa area. Ciò in considerazione dell’adozione di una declaratoria
unica e della previsione di fungibilità e surrogabilità tra i
dipendenti.
Il Baglivi,

ex VI categoria, è transitato, unitamente ai

dipendenti della V e IV categoria, nell’area operativa con
l’attribuzione delle mansioni di

sportellista, che non hanno

determinato uno svilimento della sua capacità professionale, ma
solo il passaggio dal settore tecnico a quello amministrativo.
3. Il ricorso è inammissibile, oltre che infondato.
3.1. Sotto il primo profilo, questa Corte ha più volte affermato
che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve

diritto ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., allora in vigore.

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comprendere l’indicazione sia della

regula iuris adottata nel

provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il
ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in
sostituzione del primo, in modo da ribaltare la decisione
impugnata (Cass. 28 maggio 2009 n. 12649; Cass. 19 febbraio
Ciò vale a dire che la Corte di legittimità deve poter
comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi
logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente
compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la
prospettazione del ricorrente, la diversa regola da applicare.
Il quesito di diritto deve inoltre essere specifico e risolutivo del
punto della controversia, dovendo escludersi che la disposizione di
cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. debba essere interpretata nel
senso che il quesito e il momento di sintesi possano desumersi
dalla formulazione del motivo, atteso che una siffatta
interpretazione si risolverebbe nella abrogazione tacita della norma
in questione (Cass. 23 gennaio 2012 n. 910; Cass. Sez. Un. 5
febbraio 2008 n. 2658; Cass. Sez. Un. 26 marzo 2007 n. 7258).
L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale alla
relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una
prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla
sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire
con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata
in relazione alla concreta fattispecie (Cass. 7 aprile 2009 n. 8463;
Cass. Sez. un. 30 ottobre 2008 n. 26020; Cass. Sez. un. 25
novembre 2008 n. 28054).
Nella fattispecie in esame, il ricorrente con il primo quesito
chiede affermarsi il seguente principio di diritto: “Il principio della

discrezionalità nel giudizio di ammissibilità e rilevanza dei mezzi
istruttori deve essere necessariamente temperato con l’onere
probatorio imposto alla parte”.

2009 n. 4044; Cass. Sez. Un. 30 settembre 2008 n. 24339).

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Con il secondo quesito chiede l’enunciazione del seguente
principio: “Il giudice di merito deve tener conto, nella valutazione

complessiva, di tutte le circostanze decisive risultanti dal complesso
probatorio e mettere in rilievo quanto è necessario per chiarire e
sorreggere adeguatamente la ratio decidend? .
funzione cui è preposta la norma di cui all’art. 366 bis cod. proc.
civ.
La ricorrente non indica infatti riassuntivamente gli elementi
di fatto sottoposti al giudice di merito, i principi giuridici applicati
da tale giudice e la diversa regola di diritto che si sarebbe dovuta
applicare. I quesiti inoltre si palesano privi di riferibilità al caso
concreto e di decisività tale da consentire di ben individuare le
questioni affrontate e le soluzioni al riguardo adottate nella
sentenza impugnata, nonché di precisare i termini della
contestazione.
Resta così vanificata la finalità di consentire a questa Corte
l’esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del
quesito introdotta dal d. lgs. n. 40 del 2006, il cui fine è quello di
far discendere in maniera univoca dalla risposta – negativa o
affermativa – che al quesito si dia, raccoglimento o il rigetto del
ricorso.
3.2. Quanto all’altro profilo, relativo all’infondatezza del
ricorso, è principio consolidato che l’interpretazione dei contratti
collettivi di diritto comune è riservata al giudice di merito, le cui
valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per
violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di
motivazione.
Nella specie, la Corte territoriale, nel dare atto, con
riferimento al rapporto lavorativo contrattualizzato dei dipendenti
postali, che il contratto collettivo del 26 novembre 1994 ha previsto
un nuovo sistema di inquadramento del personale, che ha
assegnato ad un’unica area operativa il personale già appartenente

Come appare evidente, tali quesiti non rispondono alla

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alla quarta, quinta e sesta categoria, facendo corrispondere a
ciascuna delle categorie una posizione retributiva differenziata, ha
interpretato tale disciplina sostanzialmente nel senso che la
fungibilità delle mansioni prevista all’interno dell’unica area
operativa deve essere coordinata con la necessità di salvaguardare
salva, in ossequio al dettato dell’art. 2103, secondo comma, cod.
civ., la tutela della professionalità già raggiunta dal lavoratore. Ed
ha ritenuto la Corte di merito che le mansioni di sportellista, cioè di
addetto ad uno sportello postale, sicuramente non omogenee
rispetto a quelle, di natura tecnica, di perito, svolte dal Baglivi dopo
l’assunzione, fossero tali da comportare un’oggettiva perdita della
professionalità (tecnica) concretamente acquisita nel corso degli
anni.
Trattasi di interpretazione non censurabile in questa sede,
non risultando violati i canoni legali di ermeneutica contrattuale e
non ravvisandosi vizi di motivazione nella sentenza impugnata.
4. Il ricorso di Massimo Baglivi è articolato in tre motivi
4.1. Con il primo il ricorrente denunzia contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Deduce che una volta accertata la dequalificazione per effetto
della sottrazione delle mansioni tecniche da lui precedentemente
svolte, la Corte territoriale non poteva escludere un effettivo danno
alla professionalità, costituito dall’impoverimento del patrimonio
professionale e dalla perdita di professionalità.
Ribadisce di avere svolto, sin dalla data di assunzione, le
mansioni tecniche di perito, precisandone il contenuto, e rileva che
sin dal ricorso introduttivo era stato dedotto che lo svolgimento
delle mansioni inferiori aveva comportato un grave danno alla sua
dignità e professionalità, costituito dalla impossibilità di “avvalersi

del patrimonio professionale acquisito attraverso uno specifico
percorso formativo ed attraverso l’esercizio quotidiano di compiti
richiedenti specifiche conoscenze tecnico-professionali, autonomia e

il principio della equivalenza delle mansioni stesse, dovendosi far

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discrezionalità”, nonché una profonda mortificazione della sua
dignità professionale ed una grave umiliazione nell’ambiente di
lavoro, con lesione altresì del suo diritto all’avanzamento in
carriera.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia omessa e
giudizio.
Assume che, diversamente da quanto sostenuto nella
sentenza impugnata, è stato allegato compiutamente e
puntualmente il pregiudizio da lui subito, costituito
dall’impoverimento della capacità professionale acquisita per un
apprezzabile periodo di tempo. Ribadisce il contenuto tecnico delle
mansioni svolte; evidenzia il percorso di formazione e di
addestramento professionale seguito sino al demansionamento,
rilevando che, avuto riguardo alla qualità e quantità dell’attività
lavorativa svolta, alla natura delle relative mansioni, alla durata
del demansionamento e alle mansioni dequalificanti affidategli, la
Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere che fosse stata fornita la
prova del danno, sia pure per presunzioni.
4.3. Con il terzo motivo, cui fa seguito il relativo quesito di
diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ., il ricorrente, denunziando
violazione degli artt. 414 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., deduce
che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che non fosse
stato soddisfatto l’onere di allegazione in relazione alla domanda
risarcitoria. Tale onere era stato viceversa adempiuto attraverso le
deduzioni contenute nel ricorso introduttivo, relative al contenuto
delle mansioni tecniche pregresse, al grado di professionalità
richiesto per lo svolgimento delle stesse, alla loro durata, al
percorso formativo seguito.
5. Il ricorso, i cui motivi vanno trattati congiuntamente in
ragione della loro connessione, non è fondato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di
risarcimento del danno non patrimoniale derivante da

insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il

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demansionamento o dequalificazione, il riconoscimento del diritto
del lavoratore al risarcimento del danno professionale non ricorre
automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non
può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso
introduttivo del giudizio, dell’esistenza di un pregiudizio. Tale
comportamento illegittimo, cosicché non è sufficiente dimostrare la
mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul
lavoratore non solo di allegare il demansionamento, ma anche di
fornire la prova ex art. 2697 cod. civ. del danno non patrimoniale e
del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale, assumendo
peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, alla luce della
complessiva valutazione di precisi elementi in tal senso
significativi, quali caratteristiche, durata, gravità, pregiudizio
derivante da perdita di chance, conoscenza all’interno e all’esterno
del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione (cfr., fra le più
recenti, Cass. 19785/10; Cass. 4479/12; 4712/12; Cass.
7471/12).
Resta in ogni caso affidato al giudice di merito – le cui
valutazioni se sorrette da congrua motivazione sono incensurabili
in sede di legittimità – verificare di volta in volta l’esistenza del
danno lamentato (Cass. 26666/05; Cass. 28274/08; Cass.
4652/09).
Nella specie la Corte territoriale non ha ritenuto provata,
neanche in via presuntiva, l’esistenza del danno derivante
dall’accertato demansionamento, sulla base dei seguenti elementi:
nel ricorso introduttivo era stato lamentato esclusivamente “un

danno per l’illegittima dequalificazione; il pregiudizio professionale
era stato solo astrattamente dedotto; la prova testimoniale era
generica ed insufficiente ai fini della dimostrazione del danno e
peraltro era volta a far esprimere ai testimoni valutazioni non
consentite; non erano state specificamente allegate la natura e le
caratteristiche del pregiudizio subito.

pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni

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Trattasi di un apprezzamento di fatto che, in quanto
adeguatamente e logicamente motivato, è incensurabile in sede di
legittimità, in applicazione del principio di diritto sopra enunciato.
Del resto, anche nel ricorso qui proposto il ricorrente ha fatto
più volte riferimento allo

“impoverimento del patrimonio

“profonda mortificazione della dignità professionale”,

alla

al

“percorso formativo seguito nella prima fase del rapporto di lavoro”,
senza però precisi riferimenti all’effettiva sussistenza del danno,
mostrando sostanzialmente di basarsi su un semplice
automatismo del danno, anziché su elementi concreti.
E se è vero che assume rilievo, con riguardo al danno in
questione, anche la prova per presunzioni, è altresì vero che la
mera potenzialità offensiva dell’inottemperanza del datore di lavoro
alle previsioni di cui all’art. 2103 c.c. non è sufficiente, essendo
pur sempre necessario che venga precisata ogni circostanza idonea
a sorreggere la richiesta di danni, quali, ad esempio, i risultati
negativi conseguenti alla perdita di professionalità, le ragionevoli
aspettative frustrate, le capacità professionali perdute, i riflessi
negativi conseguenti alla perdita di aggiornamento, l’eventuale
perdita di chance, la mancata possibilità di ottenere avanzamenti
in carriera, le eventuali occasioni perdute, la difficoltà di ricollocare
all’esterno la propria professionalità.
6. Il ricorso, in conclusione deve essere rigettato.
7. Vanno compensate tra le parti le spese del presente
giudizio, avuto riguardo al rigetto di entrambi i ricorsi.
P. Q. M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese tra le
parti.
Così deciso in Roma il 20 febbraio 2013.

professionale”, alla “lesione della dignità e della professionalità”,

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