Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17172 del 12/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 12/07/2017, (ud. 07/04/2017, dep.12/07/2017),  n. 17172

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27174-2011 proposto da:

R.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA PORTUENSE 104, presso la signora D.A.A.,

rappresentata e difesa dagli avvocati VITALIANA VITALETTI BIANCHINI,

GUIDO BIANCHINI, RENATO BIANCHINI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.P. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 157/2011 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 25/02/2011 R.G.N. 369/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato VITALETTI BIANCHINI VITALIANA;

udito l’Avvocato SCIPLINO ESTER per delega verbale Avvocato SGROI

ANTONINO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata in data 25/2/2011, la Corte d’appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da R.M. contro la sentenza resa dal Tribunale di Macerata, di rigetto della sua domanda volta ad ottenere la pensione di anzianità quale coltivatrice diretta.

La Corte territoriale ha ritenuto insussistente il requisito contributivo, poichè l’iscrizione negli elenchi dei coltivatori diretti per il periodo dal 1/1/1981 al 31/12/1998, disposta con sentenza passata in giudicato (sentenza n. 545 del 2004 del tribunale di Macerata), non poteva costituire valida prova del pagamento dei contributi, mentre il versamento della somma di L. 3.702.000 effettuata nel 1995, in attuazione del condono ex lege n. 41 del 1995, non valeva ad integrare il requisito contributivo, non essendo a tal fine sufficiente l’imputazione fatta dalla parte a fronte di contributi prescritti.

Contro la sentenza, la R. propone ricorso per cassazione, articolato in unico motivo, cui resiste l’Inps con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, deve darsi atto che la memoria ex art. 378 cod. proc. civ. depositata dalla ricorrente il 3/4/2017 in vista dell’udienza pubblica del 7/4/17 è tardiva, essendo stata depositata il quarto giorno anteriore alla data dell’udienza, non potendosi tener conto di quest’ultimo giorno (ex art. 155 c.p.c., comma 1, in quanto dies a quo del termine di gg. 5 “a ritroso”: v. Cass. 7/10/2005 19530).

1.1. Con l’unico articolato motivo di ricorso, incentrato sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e art. 2727 cod. civ., nonchè sulla omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, la parte si duole dell’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto non provato il pagamento dei contributi, nonostante l’Inps non avesse dimostrato il mancato rimborso delle contribuzioni versate tempo per tempo dal capo del nucleo familiare cui ella apparteneva, nè avesse mai contestato il pagamento dei contributi relativi ai periodi per i quali era stata illegittimamente cancellata e poi reiscritta per effetto di una sentenza passata in giudicato.

2. Il motivo è infondato.

Giova premettere che, tra le condizioni dell’azione diretta al riconoscimento del diritto alla pensione d’invalidità da parte del coltivatore diretto, la cui prova è onere dell’istante, va annoverato, oltre allo stato di invalidità pensionabile, la sussistenza del rapporto assicurativo ed il versamento dei contributi, atteso che nel settore dei lavoratori autonomi, di cui fanno parte i coltivatori diretti, non vige il principio dell’automaticità e le prestazioni previdenziali vengono fornite solo se risultano pagati i relativi contributi (Cass. 24/05/1986, n. 3518; v. pure Cass. 8/1/2007, n. 68, in motivazione).

La ricorrente non censura questa affermazione in diritto, ma ritiene che la circostanza che l’ente non abbia mai contestato il mancato pagamento dei contributi relativi al periodo in cui ella era iscritta negli elenchi (poi cancellata e infine reiscritta per effetto della sentenza passata in giudicato) costituisca prova dell’esistenza delle contribuzioni.

Il motivo di ricorso è infondato.

Quantunque prospetti la violazione di legge, la ricorrente mira a rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente.

Ma tale apprezzamento è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (da ultimo, Cass. ord. 7/4/2017, n. 9097).

La corte territoriale, con un ragionamento congruo ed esaustivo, ha ritenuto che difettasse la prova del pagamento dei contributi, non potendo tale circostanza essere desunta dal mero fatto della iscrizione della R. negli elenchi dei coltivatori diretti (peraltro disposta con sentenza passata in giudicato seguita alla cancellazione disposta d’ufficio dall’Inps), ed essendo stata la stessa esclusa dalle risultanze della documentazione in possesso dell’istituto (e riferite dal teste D.L.).

In altri termini, ha escluso che vi sia stato il pagamento dei contributi.

A fronte di questo positivo accertamento è irrilevante la circostanza che l’ente non abbia contestato, nè provveduto a rimborsare le contribuzioni versate tempo per tempo dal capo del nucleo familiare dell’epoca.

Del resto, è la stessa ricorrente che, nell’esposizione dei fatti, dà atto che il L. è deceduto il 4 giugno 1986 e, per il periodo successivo a tale data, in cui ella era divenuta capo del nucleo familiare, ha provveduto a pagare la somma di Lire 3.702.000 avvalendosi del condono di cui alla L. n. 41 del 995, con ciò confermando implicitamente il mancato pagamento dei contributi relativi a quel periodo.

Ma, come affermato dalla Corte territoriale, senza che sul punto sia stata svolta adeguata censura, l’imputazione unilaterale che la parte ha inteso fare delle somme versate a titolo di condono non può considerarsi efficace e vincolante per l’ente, a fronte della prescrizione del credito contributivo, la quale impedisce la stessa accettazione del pagamento, a nulla rilevando che l’Inps non abbia proceduto alla restituzione di quanto percepito indebitamente.

Correttamente, pertanto, la Corte ha negato il diritto alla prestazione previdenziale a fronte dell’accertato difetto del requisito contributivo.

Infine, per completezza di motivazione deve rilevarsi che la parte non trascrive i nè deposita unitamente al ricorso per cassazione l’istanza di condono e i documenti a suo corredo, così incorrendo nella violazione del principio di autosufficienza e specificità del ricorso per cassazione.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, non risultando dal ricorso per cassazione in ossequio al principio di autosufficienza (Cass. 5/5/2014, n. 9574), la sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. per usufruire della esenzione dal pagamento delle spese del giudizio.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% di rimborso forfettario delle spese ed agli altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2017

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