Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1717 del 24/01/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 1717 Anno 2018
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: LOCATELLI GIUSEPPE

ORDINANZA

sul ricorso 24001-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
Lt.ty,culte domicilinto in

PORTOGHESI

12,

ROMA VIA

UE1

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

CAVE SANNITE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA MERULANA 234, presso

lo

studio dell’avvocato

BOLOGNA GIULIANO, rappresentato e difeso dall’avvocato
ROBERTO PROZZO;

controricorrente

avverso la sentenza n. 145/2009 della COMM.TRIB.REG.
e44044/44
depositata 1’08/10/2009;
dmmNA-Petrl,

Data pubblicazione: 24/01/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 25/10/2017 dal Consigliere Dott.

GIUSEPPE LOCATELLI.

N.R.G.24001/10

FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica svolta dalla Guardia di Finanza, l’Agenzia delle
Entrate notificava alla società Cave Sannite srl tre avvisi di accertamento,
per gli anni di imposta 1999, 2000 e 2001, relativi alle maggiori imposte
Irpeg, Iva ed Irap determinate in conseguenza delle seguenti rettifiche:
per l’anno 1999, l’Ufficio rideterminava in lire 1.305.469.000 il reddito

di reddito non dichiarati e disconoscimento di costi; per l’anno 2000
rettificava in lire 649.227.000 il reddito di impresa dichiarato in lire
205.215.000, contestando l’omessa omessa dichiarazione di ricavi e
l’indebita deduzione di costi; per l’anno 2001 rettificava in lire
367.808.000 il reddito di impresa dichiarato dalla società in lire
187.580.000, contestando la differenza esistente tra cemento acquistato
per la produzione di calcestruzzo e quantitativo di calcestruzzo
dichiaratamente prodotto, nonché la contabilizzazione di costi
indeducibili.
Contro gli avvisi di accertamento la società proponeva distinti ricorsi
alla Commissione tributaria provinciale di Benevento che, previa riunione,
li accoglieva con sentenza n.240 del 2007.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello, rigettato dalla
Commissione tributaria regionale della Campania con sentenza del
8.10.2009. In particolare il giudice di appello considerava non tassabile il
contributo statale di lire 736.960.000, che l’Ufficio aveva considerato
sopravvenienza attiva tassabile.
Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate ricorre per
cassazione sulla base di tre motivi ( ma con numerazione ripetuta due
volte quanto al secondo motivo ).
Cave Sannite srl resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Primo motivo:”violazione e falsa applicazione dell’art.55 comma 3
lett.b) (oggi art.88) del d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917, a seguito della
modifiche apportate dall’art.21 comma 4 lett.b) legge 27 dicembre 1997
n.449, con riferimento all’art.360 n.3 cod.proc.civ.”, nella parte in cui non
ha ritenuto soggetto a tassazione, nel periodo di imposta in cui era

dichiarato in lire 313.754.000 mediante recupero di componenti positivi

divenuto disponibile, il contributo statale concesso ai sensi della legge
488 del 1992, trattandosi di contributo in conto capitale costituente
sopravvenienza attiva, e non contributo in conto impianti.
Il motivo è inammissibile. Secondo l’accertamento del giudice di
appello, il contributo erogato ai sensi della legge n.488 del 1992 è stato
concesso in conto impianti ( e non in conto capitale) ossia “finalizzato
all’acquisto di beni ammortizzabili”, i quali, a norma dell’art.55 (ora 88)

catalogabili tra le sopravvenienze attive che concorrono a formare il
reddito di impresa nel periodo di imposta di effettiva percezione. La
questione attinente alla destinazione, e quindi alla natura del contributo,
costituisce questione di merito insindacabile in questa sede, e non è
riconducibile nell’ambito del vizio di violazione di legge dedotta dalla
ricorrente.
2.Secondo motivo: “insufficiente motivazione su fatti controversi e
decisivi, con riferimento all’art.360 comma primo n.5 cod.proc.civ. “,
nella parte in cui “il giudice di appello ha ritenuto di annullare il recupero
a tassazione delle spese per acquisto di carburante , riparazione e
manutenzione automezzi, nonché il rilievo relativo alla differenza tra
cemento acquistato e calcestruzzo prodotto”.
3.Motivo secondo bis:”violazione e falsa applicazione degli artt.109
comma 5 d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 del 1986 e dell’art.2697
cod.civ., con riferimento all’art.360 n.3 cod.proc.civ. “, nella parte in cui
ha annullato la ripresa a tassazione dei costi documentati con schede
carburante irregolari.
4. Terzo motivo: “violazione degli artt.2709 e 2697 cod.civ. e
dell’art.109 comma 5 d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 , con riferimento
all’art.360 n.3 cod.proc.civ. “, nella parte in cui la Commissione tributaria
regionale ha ritenuto documentate le spese di manutenzione.
I motivi secondo, secondo bis e terzo, da esaminare congiuntamente,
sono fondati.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello della
Agenzia delle Entrate affermando che “le copie delle schede carburante
allegate dalla parte mancano solo della indicazione della percorrenza
chilometrica del veicolo cui si riferisce l’acquisto”. La motivazione è

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comma terzo lett.b) del d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 non sono

giuridicamente errata nella parte in cui reputa irrilevante l’omessa
annotazione della percorrenza chilometrica nelle schede carburante. In
materia di deducibilità dei costi per acquisto carburante, questa Corte ha
affermato il principio che, ai fini delle imposte dirette e dell’Iva, la
possibilità di dedurre i costi e di detrarre l’Iva assolta, relativamente
all’acquisto di carburanti per veicoli a motore utilizzati nell’esercizio della
attività di impresa, è subordinata alla redazione delle apposite “schede

novembre 1997 n.444 e dall’allegato modello di scheda, comprensivo
della indicazione dei chilometri percorsi, necessaria a fini antielusivi, non
surrogabile da altri documenti. ( da ultimo Sez. 5 – , Sentenza n. 24409
del 30/11/2016). La motivazione svolta nella sentenza impugnata è
viziata da insufficienza nella parte in cui omette di dare risposta alle
plurime censure svolte nell’atto di appello ( trascritto nel ricorso per
cassazione) con cui l’Ufficio, oltre ad osservare che in alcune schede non
vi era l’indicazione del chilometri percorsi, aveva ulteriormente dedotto
che nelle schede esaminate dai verificatori “mancava, nella quasi
generalità, l’indicazione dei quantitativi di gasolio dei singoli rifornimenti”;
inoltre l’Ufficio appellante rilevava che vi erano forti discordanza tra il
numero dei chilometri indicati in talune schede e la percorrenza
chilometrica risultante dal contachilometri degli automezzi, ed
evidenziava il carattere antieconomico della prassi di effettuare
rifornimenti presso i distributori stradali quando lo stabilimento della
società disponeva, al proprio interno, di un distributore di gasolio
acquistato all’ingrosso a minor prezzo.
Con riguardo alle spese di manutenzione e riparazione degli
automezzi, il motivo di appello della Agenzia delle Entrate censurava la
circostanza che le fatture di spesa non contenevano gli estremi
identificativi del veicolo, con la conseguenza che non vi era prova della
inerenza della spesa alla attività di impresa. Sul punto la motivazione è
apparente, poiché elude la specifica questione posta dal motivo di
gravame, limitandosi alla generica affermazione che ” le fatture di spesa
recano tutti gli elementi idonei a provare la stessa.”
Nell’ atto di appello l’Ufficio aveva dedotto che, sulla base del
quantitativo di cemento acquistato ed applicando le percentuali indicate

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carburante” in precisa conformità a quanto stabilito dal d.P.R. 10

dalla stessa contribuente, risultava una produzione di calcestruzzo
superiore a quello fatturata in vendita, con la conseguenza che l’Ufficio
aveva considerato la differenza ceduta in evasione di imposta. La
Commissione tributaria regionale ha ritenuto, apoditticamente, di fare
proprie la diversa ricostruzione contenuta nella consulenza di parte,
depositata dalla società, senza rispondere alla specifica censura di parte
appellante, la quale ha osservato che l’Ufficio aveva proceduto ad

dei vari tipi di calcestruzzo basandosi sui dati forniti dalla stessa
contribuente, che nella propria consulenza aveva, secondo parte
appellante, “ritrattato tali dati”.
In accoglimento del secondo, secondo bis e terzo motivo di ricorso, la
sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione
tributaria regionale della Campania in diversa composizione. Alla stessa
è demandata la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il primo motivo; accoglie i restanti motivi;
cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche sulle spese, alla
Commissione tributaria regionale della Campania in diversa
composizione.
Così deciso il 25.10.2017.

effettuare i calcoli della quantità di cemento necessarie per la produzione

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