Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17167 del 14/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 14/08/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 14/08/2020), n.17167

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1594/2016 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI, 66,

presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO FALASCA, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CORSO

ITALIA 97, presso lo studio dell’avvocato FLAVIO DE BATTISTA,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO MARIANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 661/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/07/2015, R.G.N. 317/2014.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza resa pubblica il 6/7/2015, ha confermato la pronuncia del giudice di prima istanza che aveva accertato l’obbligo di Poste Italiane s.p.a. alla assunzione di M.R. con contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Il giudice del gravame, nel ripercorrere l’iter motivazionale che innervava la pronuncia impugnata, ha osservato che – in conformità all’accordo in data 13/1/2006 intervenuto fra le parti sociali – il R. aveva partecipato alla procedura di assunzione ivi prevista, rinunciando ad ogni diritto derivante dal pregresso rapporto di lavoro a tempo determinato intercorso con la società.

In data 31/5/2010 aveva sottoscritto il “format di dichiarazione individuazione posizione lavorativa di interesse” nel quale si dava atto che, per perfezionare l’assunzione, si sarebbe dovuto presentare il 12 luglio presso la sede designata di Poste Italiane; che la mancata presentazione sarebbe stata equiparata a rifiuto di assunzione; che, in ogni caso, il perfezionamento del contratto di lavoro sarebbe stato subordinato alla condizione sospensiva della presentazione di tutta la documentazione prevista dal c.c.n.l. di settore.

Nella opinione della Corte di merito, il tenore degli atti esaminati rendeva evidente come “vi fosse stata una proposta contrattuale di assunzione da parte di Poste nei confronti del R. per il ruolo di addetto al recapito in regime part time verticale al 50% e di come questi avesse manifestato la propria accettazione esplicitando anche la sede di preferenza”. Pur ritenendo che nella dichiarazione del 31/5/2010 fosse stata inserita una condizione sospensiva dell’assunzione, subordinata alla presentazione della documentazione ivi richiesta, la Corte territoriale ha rimarcato come detta documentazione – nella quale era ricompreso il certificato di carichi pendenti – non corrispondesse a quella elencata dall’art. 19 c.c.n.l. richiamato dal format sottoscritto dal lavoratore.

Ha ritenuto, quindi, non conforme a correttezza e buona fede la pretesa della società di considerare quale elemento ostativo all’assunzione del R., un dato non contemplato dal c.c.n.l. e non comunicato all’ex dipendente al momento della conciliazione.

Alla stregua delle suesposte considerazioni, ha considerato verificata la condizione sospensiva cui erano subordinati gli effetti del contratto.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la s.p.a. Poste Italiane sostenuto da due motivi ai quali resiste con controricorso l’intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c..

Si critica l’interpretazione degli accordi individuali e collettivi rilevanti in causa, elaborata dai giudici del gravame. Si osserva che l’Accordo sindacale sottoscritto dalla società in data 13/1/2006, lungi dal costituire in capo ai lavoratori alcun diritto all’assunzione, disciplinava semplicemente l’istituzione di una graduatoria riservata a coloro che, accettate le condizioni ivi previste, vi sarebbero confluiti. Tale inserimento era propedeutico ad una successiva assunzione, che tuttavia restava eventuale e soggetta ad alcune condizioni fra le quali indubbiamente una valutazione discrezionale sulle capacità del candidato. Inoltre, nel citato accordo era previsto che la graduatoria avrebbe cessato ogni efficacia il 30 giugno 2009.

Del pari, la sottoscrizione del verbale di conciliazione in data 30/5/2006 integrava una mera condizione per l’inserimento in graduatoria ma non per l’assunzione.

Nè la lettera di convocazione del lavoratore del 13/5/2010 poteva essere interpretata quale proposta di contratto, giacchè la società si era limitata a rammentare che la copertura dei posti disponibili avveniva mediante scorrimento in graduatoria e fino ad esaurimento degli stessi, con la precisazione che si sarebbe potuto verificare l’esaurimento delle sedi disponibili prima del suo turno in graduatoria. Anche con la sottoscrizione del format, il R. aveva preso atto della necessità dell’assenza di carichi pendenti e dell’automatismo per cui. in caso di mancata presentazione, la procedura si sarebbe interrotta.

Dalle enunciate premesse, era chiaramente evincibile come la società che aveva avviato la procedura di selezione del personale si fosse riservata comunque una valutazione sulle capacità di ciascun candidato da assumere, prima fra tutte quella relativa alla condotta dell’individuo.

2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 41,1337,1351,1353,1359 e 1375 c.c..

Si critica la statuizione con la quale il giudice del gravame ha qualificato come illegittimo il rifiuto di Poste Italiane s.p.a. di assumere il R., in ragione della pendenza del procedimento penale. La circostanza che le disposizioni collettive non prevedessero il deposito del certificato di carichi pendenti nel novero dei requisiti di assunzione non era decisiva: da un canto, l’elencazione di cui all’art. 18 c.c.n.l. di settore, non era tassativa; dall’altro si esclude la configurabilità di un’ipotesi di violazione dei principi di correttezza e buona fede, nella omessa menzione in sede conciliativa, della citata condizione sospensiva. Invero, nella successiva lettera raccomandata e nel “format di dichiarazione individuale posizione lavorativa di interesse” era riportato un elenco di documenti che, nel richiamare l’art. 18 c.c.n.l., indicava espressamente il certificato di carichi pendenti.

Si critica altresì il richiamo della Corte di merito alla violazione del principio di rango costituzionale relativo alla presunzione di non colpevolezza sino alla pronuncia di condanna definitiva, sul rilievo che detto principio concerne l’attuazione della pretesa punitiva dello Stato, ma è insuscettibile di applicazione, in via analogica o estensiva, nei rapporti contrattuali fra privati e, segnatamente, nel rapporto di lavoro.

3. I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono fondati.

Sulla premessa che, in sede di legittimità, l’interpretazione delle clausole contrattualcollettive è possibile in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 c.c. e segg.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, questa Corte ha avuto modo di affermare, in precedenti arresti, con riferimento all’art. 19 del c.c.n.l. per il personale dipendente di Poste Italiane s.p.a. dell’11 luglio 2007 (di tenore analogo a quello del c.c.n.l. 2010-2012), nonchè agli accordi collettivi del 13 gennaio 2006 e del 10 luglio 2008, che lo stesso si interpreta nel senso che l’azienda non ha alcun obbligo di assunzione, bensì solo quello di attingere da un’apposita graduatoria.

E’ stata quindi affermata la legittimità della previsione di una verifica prodromica alla assunzione da parte aziendale, dovendo escludersi che l’eventuale e futura assunzione dell’appellante possa avvenire prescindendo da qualsiasi valutazione sull’idoneità a svolgere le specifiche mansioni dedotte in contratto (in questi sensi, vedi Cass. 3/12/2018 n. 31154 con riferimento ad ipotesi di verifica successiva della idoneità professionale del lavoratore, alla stregua di una prova non contemplata nella declaratoria del contratto collettivo nazionale di settore).

Alla luce delle enunciate premesse, deve ritenersi che il dato oggetto dello stigma della Corte territoriale (indicazione, fra i documenti da presentare ai fini della assunzione, di un certificato non compreso fra quelli elencati nel c.c.n.l. di settore), in realtà non è coerente con la interpretazione della disposizione collettiva accreditata in questa sede di legittimità, secondo quanto obiettivamente desumibile dalla articolata procedura preassuntiva ivi disciplinata; essa, per quanto sinora detto, non reca alcun obbligo di assunzione da parte societaria, in tale prospettiva atteggiandosi come ammissibile, e non contraria ai principi che regolano l’esegesi delle disposizioni contrattualcollettive, la possibilità per la parte datoriale di richiedere il soddisfacimento di ulteriori requisiti concernenti la attitudine del soggetto alla assunzione delle mansioni oggetto del contratto di lavoro da stipulare.

Non condivisibile è dunque l’assunto della Corte di merito, secondo cui la omessa indicazione fra i documenti da presentare ai fini della assunzione elencati nel c.c.n.l. di settore, della certificazione dei carichi pendenti unitamente alla pretesa di Poste di utilizzare quale elemento ostativo all’assunzione, un dato non contemplato dal c.c.n.l. e non portato a conoscenza dell’ex dipendente al momento della conciliazione – potesse essere considerata contraria a buona fede e correttezza.

4. Deve quindi, in definitiva, rimarcarsi che nella sequenza della articolata procedura preassuntiva, di accordo collettivo del 13.1.2006, convocazione presso la sede della società e sottoscrizione del Format di individuazione di posizione lavorativa di interesse, per quanto sinora detto, non è ravvisabile alcun impegno della società ad assumere il lavoratore, nè alcun obbligo di perfezionare in ogni caso il contratto; sotto altro versante, l’assunzione è poi da ritenersi subordinata alla presentazione di una serie di documenti fra i quali va annoverato il certificato di carichi pendenti, in base ad una determinazione della parte datoriale, coerente con i generali principi di correttezza e buona fede che governano lo svolgimento anche della fase precontrattuale nella materia del lavoro.

Nello specifico, la pendenza di due procedimenti penali per reati contro il patrimonio e la persona (concorso in furto e minaccia) risultanti dal relativo certificato, unitamente all’assenza di un obbligo in capo alla società di perfezionare in ogni caso il contratto, hanno, quindi, determinato legittimamente la sospensione dell’attività riguardante l’assunzione di M.R..

La società ha infatti esercitato il potere discrezionale – riconosciuto, contrattualmente, con il “Format Dichiarazione” dallo stesso interessato e, costituzionalmente, dall’art. 41 Cost., posto a garanzia della libertà d’iniziativa economica d’impresa – di non procedere all’assunzione di personale allorquando l’assunzione stessa si configuri come incompatibile con le esigenze di affidabilità e piena funzionalità dell’impresa privata, come avviene nel caso in cui l’attività dispiegata postuli una intensità della fiducia rapportata all’oggetto delle mansioni ed al grado di affidamento che queste richiedono, grado indubbiamente elevato ove, come nella specie, le mansioni assegnate comportino l’affidamento di un bene quale la corrispondenza, che gode di ampia protezione anche di rango costituzionale (art. 15 Cost.).

Nè appare utilmente invocabile a sostegno della fondatezza del diritto azionato dal R., l’argomentazione adottata dalla Corte di merito secondo cui la condotta assunta dalla società avrebbe vulnerato il principio di presunzione di non colpevolezza dell’imputato, consacrato dall’art. 27 Cost.; è stato infatti affermato – con riferimento all’esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa – che il principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, di cui all’art. 27 Cost., comma 2, concerne le garanzie relative all’attuazione della pretesa punitiva dello Stato, e non può quindi applicarsi, in via analogica o estensiva, ai rapporti fra privati (ex multis, vedi Cass. 21/9/2016 n. 18513); e detto principio ben può rinvenire applicazione nel caso di specie, in cui entrano in gioco i principi di libertà di iniziativa economica e di tutela dei beni affidati al lavoratore, del pari pienamente tutelati dalla norma fondamentale.

5. A conferma della fondatezza di tali approdi va considerato che in fattispecie del tutto sovrapponibile a quella in questa sede scrutinata, è stata ritenuta da questa Corte non condivisibile la statuizione dei giudici di appello secondo cui era da reputarsi illegittima la pretesa della società di considerare non integrata la condizione sospensiva cui sarebbe stata subordinata l’assunzione, a causa di un procedimento pendente risultante dalla certificazione prodotta (vedi in motivazione, Cass. 16/5/2017 n. 12086).

Conclusivamente, al lume delle superiori argomentazioni, la sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata; la causa va rinviata alla Corte designata in dispositivo, che procederà a nuovo esame della fattispecie conformandosi ai principi di diritto di cui in motivazione e provvederà, altresì, alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2020

 

 

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