Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17165 del 26/06/2019

Cassazione civile sez. I, 26/06/2019, (ud. 05/04/2019, dep. 26/06/2019), n.17165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27236/2017 proposto da:

G.T., elettivamente domiciliato in Roma, Via Augusto Riboty

n. 22, presso lo studio dell’avvocato Zaccaretti Enrico,

rappresentata e difesa dall’avvocato Sicari Cristiano Maria, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Avv. D.C.C. curatore speciale del minore D.I.M.,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Merulana n. 247, presso lo

studio dell’avvocato Di Giovanni Francesco, rappresentato e difeso

da se medesimo, giusta procura in calce al ricorso;

– controricorrente –

contro

Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di L’Aquila,

Procuratore Presso Tribunale Minori di L’Aquila;

– intimati –

contro

D.I.K.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 25/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, del

18/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/04/2019 dal cons. Dott. TRICOMI LAURA;

lette le conclusioni scritte dal P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO, che ha chiesto il rigetto

del ricorso.

Fatto

RITENUTO

CHE:

La Corte di appello dell’Aquila, sezione minorenni, con la sentenza impugnata ha respinto gli appelli proposti da G.T. e D.I.K. (genitori) avverso la sentenza del Tribunale per i Minorenni dell’Aquila che aveva dichiarato lo stato di adottabilità per il minore D.I.M. (n. il (OMISSIS)), rappresentato in giudizio dal curatore speciale.

La Corte di appello – dopo avere rammentato che l’osservazione della famiglia era iniziata sul finire del 2014, a seguito di una denuncia di disinteresse della madre nei confronti del bambino proposta da M.C., genitrice della G., con la quale quest’ultima conviveva insieme al figlio; che si era accertato che il padre, con problemi di droga, era spesso in carcere, che il bambino non frequentava assiduamente la scuola e che vi era un conflitto tra la G. e la M. e che, con decreto del 2/2/2015, il minore era stato affidato ai Servizi sociali con collocamento in casa famiglia ed era seguita la apertura della procedura di adottabilità – ha ravvisato gravi deficienze genitoriali non risolte nel periodo di osservazione.

G.T. propone ricorso per cassazione con sei mezzi; il minore in persona del curatore speciale avv. D.C.C. replica con controricorso corroborato da memoria; D.I.K. è rimasto intimato.

Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.

Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8 nonchè dell’art. 8 CEDU e dell’art. 30 Cost. in ordine ai presupposti per la dichiarazione dello stato di adottabilità.

La censura è centrata sull’accertamento da parte della Corte di appello dei presupposti per la dichiarazione di adottabilità.

In proposito la ricorrente sostiene che la valutazione dello stato di abbandono non era stata rigorosa e basata su fatti aventi carattere indiziario di sicura valenza probatoria in merito alla carenza di cure materiali e morali e che le proprie condizioni di difficoltà non avrebbero potuto condurre al grave provvedimento ablativo, non essendo emersi comportamenti in concreto pregiudizievoli per il minore e non essendo stata indagata adeguatamente la capacità genitoriale; infine lamenta che la decisione sia stata assunta sulla scorta di relazioni dei Servizi sociali risalenti al primo grado e non aggiornate, nonostante essa stessa avesse offerto alla Corte di appello “nuovi elementi basati sull’attualità che segnalavano un quadro diverso” (fol. 18 del ricorso), senza tuttavia chiarire e precisare quali sarebbero stati questi elementi.

1.2. Giova premettere che “Lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psico – fisico del minore, secondo una valutazione che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito ed è incensurabile in cassazione (nella specie il giudice di merito aveva ritenuto sussistente lo stato di abbandono in base ai seguenti elementi: rifiuto del padre di avere l’affidamento del minore, incapacità della madre di reperire un’abitazione e un lavoro e di occuparsi del figlio senza un sostegno continuo, misure di sostegno dei servizi sociali integranti non il supporto per il superamento di una situazione transitoria ma una completa supplenza dei genitori).” (Cass. n. 5580 del 04/05/2000) e che ” Lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psico – fisico del minore, secondo una valutazione che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito.” (Cass. n. 4503 del 28/03/2002): ciò perchè “il ricorso alla dichiarazione di adottabilità costituisce solo una “soluzione estrema”, essendo il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d’origine, quale ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, tutelato in via prioritaria dalla L. n. 184 del 1983, art. 1 il giudice di merito deve operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, senza però che esse assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale, estendendo detta verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali.” (Cass. n. 7559 del 27/03/2018).

1.3. Orbene, la ricorrente, pur invocando correttamente i principi giurisprudenziali in materia, non indica con la dovuta chiarezza e specificità i punti della decisione che si assumono in contrasto con i detti principi, di guisa che la critica risulta, per un verso, astratta ed assertiva e, per altro verso, volta a sollecitare piuttosto un nuovo sindacato di fatto e non di diritto.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalle condizioni personali della madre e dalla positiva evoluzione del percorso personale intrapreso, nonchè la violazione o falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8 dell’art. 8 CEDU e dell’art. 30 Cost. in relazione alla omessa valutazione della idoneità genitoriale concreta ed attuale della madre.

La doglianza è riferita, da un lato, all’omessa considerazione del contenuto di un referto medico/psichiatrico, prodotto dalla madre in appello, dal quale, a suo dire, si evincerebbe il forte e sincero affetto nei confronti del bambino ed il desiderio di non essere esclusa dalla sua vita, ritenuti dal medico possibile base per un cambiamento di vita; dall’altro, all’omesso esame delle censura in ordine all’erronea considerazione da parte del Tribunale del fatto che la ricorrente aveva puntualmente adempiuto le prescrizioni impostele, visitando regolarmente il figlio e collaborando attivamente con i Servizi sociali, osservando che ciò avrebbe dimostrato l’esistenza di un legame madre/figlio sufficiente a consentire una prognosi positiva in merito al giudizio di idoneità genitoriale.

2.2. Il motivo è inammissibile sotto tutti i profili.

2.3. Quanto al primo, afferente al referto medico/psichiatrico prodotto dalla parte, va osservato che trova applicazione il principio secondo il quale “In tema di ricorso per cassazione non può essere dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 il vizio di omesso esame di un fatto decisivo della controversia per la mancata considerazione di una perizia stragiudiziale, in quanto la stessa costituisce un mero argomento di prova.” (Cass. n. 8621 del 09/04/2018); peraltro, il referto, ampiamente trascritto nel ricorso, non evidenzia alcun fatto specifico già non noto, non essendo in discussione l’esistenza di un reale rapporto affettivo con il minore come evidenziato dalla stessa Corte di appello – ma espone le mere intenzioni della madre di cambiare vita e formula una valutazione positiva meramente ipotetica che, non assume alcuno specifico contenuto probatorio potendo, al più, integrare un mero argomento.

2.4. Quanto al secondo, il motivo difetta di specificità perchè, a fronte delle opposte risultanze delle relazioni dei Servizi sociali valorizzate nella decisione impugnata, che si è focalizzata non già sulla carenza di regolarità degli incontri, ma sulla bassa qualità di questi incontri (rapporti superficiali ed incontri privi di contenuto, fol. 2 e 5 della sentenza impugnata) come riferito dai Servizi sociali anche all’udienza del 17/2/2017, la censura non coglie la ratio ed è assertiva e non circostanziata, perchè non illustra gli specifici elementi che non sarebbero stati evidenziati a favore della ricorrente, nè contesta dette acquisizioni istruttorie. Anche la censura relativa all’omesso esame del motivo di appello è priva di specificità ed assertiva.

3.1. Il terzo motivo propone una censura che involge tre profili: 1) la violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8 e degli artt. 24 e 111 Cost.; 2) la nullità della sentenza di appello per illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al rigetto della CTU, volta ad accertare la capacità genitoriale della G.; 3) la nullità della sentenza di appello per omessa pronuncia in relazione alla mancata nomina di un CTU da parte del Tribunale.

Con essi la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ravvisato l’inutilità della CTU sulla considerazione che i tempi di recupero dei genitori – valutati come imprevedibili nell’an e nel “quando”- erano incompatibili con la necessità del minore di essere inserito al più presto (dopo più di due anni e mezzo di collocamento in casa famiglia) in un nucleo familiare accudente.

3.2. Il motivo è parzialmente fondato e va accolto nei limiti di seguito precisati.

3.3. Osserva la Corte che, come già si avuto modo di affermare, il principio secondo cui il provvedimento che dispone la consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, va contemperato con l’altro principio secondo cui il giudice deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata su una questione tecnica rilevante per la definizione della causa; ne consegue che, quando il giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni propri, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il mancato esercizio di quel potere, mentre se la soluzione scelta non risulta adeguatamente motivata, è sindacabile in sede di legittimità sotto l’anzidetto profilo (Cass. n. 72 del 03/01/2011).

In particolare è stato anche chiarito che “In tema di dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, ove i genitori facciano richiesta di una consulenza tecnica relativa alla valutazione della loro personalità e capacità educativa nei confronti del minore per contestare elementi, dati e valutazioni dei servizi sociali – ossia organi dell’Amministrazione che hanno avuto contatti sia con il bambino che con i suoi genitori – il giudice che non intenda disporre tale consulenza deve fornire una specifica motivazione che dia conto delle ragioni che la facciano ritenere superflua, in considerazione dei diritti personalissimi coinvolti nei procedimenti in materia di filiazione e della rilevanza accordata in questi giudizi, anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, alle risultanze di perizie e consulenze.” (Cass. n. 6138 del 26/3/2015).

3.4. Tanto premesso si deve osservare che non si ravvisano il vizio per violazione di legge, prospettato in maniera assertiva, ed il vizio di omessa pronuncia, che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè configurabile esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie (Cass. 6715/2013; Cass. 13716/2016; Cass. 24830/2017), atteso che la nomina di un CTU è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, non sindacabile se adeguatamente motivato (Cass. 72/2011).

3.5. Va invece accolta la censura prospettata con il secondo profilo.

In proposito giova ricordare che, a seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito con modifiche dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6. Tale contenuto minimo dell’iter motivazionale della decisione è individuabile nelle sole ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., 12/10/2017, n. 23940; Cass. 7472/2017, con riferimento proprio alla mancata disposizione di una CTU).

Alla luce di questi principi la censura, svolta sul piano della nullità della sentenza, risulta riconducibile a quella per motivazione apparente ed in questi limiti va accolta.

Infatti, nel caso di specie, la motivazione è apodittica e apparente, giacchè si esaurisce nella considerazione della inconciliabilità dei tempi della CTU con le esigenze di vita del minore, senza illustrare le ragioni di tale specifico assunto e senza considerare che la CTU era stata sollecitata sin dal primo grado dalla madre, che quest’ultima, alla stregua di quanto riportato in sentenza, sia pure con i limiti manifestati nel corso della procedura, aveva mostrato attaccamento al minore, mantenendo un rapporto, anche se ritenuto “superficiale”, ed aveva rispettato i tempi di frequentazione previsti, e che il minore non aveva manifestato insofferenza o disaffezione nei suoi confronti, circostanze che, alla luce dei principi ricordati, avrebbero dovuto essere tutte adeguatamente e puntualmente considerate nel vagliare la richiesta di una indagine più approfondita in merito alle capacità genitoriali e nell’illustrare le ragioni per escluderla, contrariamente a quanto fatto dalla Corte di appello.

4.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 5 e dell’art. 8 CEDU in relazione alla mancata adozione di interventi a sostegno della genitorialità, nonchè la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla richiesta che madre e bambino fossero collocati in idonea struttura per consentire il recupero del rapporto genitoriale.

4.2. Il motivo è infondato.

4.3. Dalla sentenza impugnata si desume che il minore è stato collocato presso una casa famiglia e che è stato disposto un percorso di sostegno alla genitorialità che non avrebbe dato gli auspicati frutti nel corso del periodo di osservazione. La lamentela formulata dalla G., di essere stata abbandonata e non supportata adeguatamente, risulta di stile ed assertiva, giacchè non viene illustrata la condotta ostativa o non collaborativa rimproverata in concreto ai Servizi sociali.

5.1. Con il quinto motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1,8,10,12 e 15 in relazione all’omesso esame della disponibilità della nonna materna a prendersi cura del minore, nonchè la violazione dell’art. 342 c.p.c. in ordine alla declaratoria di inammissibilità del gravame proposto e la nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine al motivo di impugnazione concernente la idoneità della nonna paterna.

5.2. Il motivo è inammissibile.

5.3. Premesso che non si rinviene alcun argomento a sostegno della censura relativa alla nonna materna, che – tra l’altro – ha dato avvio alla procedura, la doglianza riferita alla nonna paterna non soddisfa i requisiti di legge perchè non ne illustra l’oggetto con la dovuta specificità.

In particolare va osservato che la Corte di appello ha preso in considerazione la possibile collocazione del minore presso la nonna paterna e ha confermato la prima decisione che ne aveva escluso la praticabilità, da un lato evidenziando che la disponibilità rappresentata era in realtà condizionata al positivo compimento del percorso di sostegno alla genitorialità dei genitori di M., tale da far ritenere solo l’intenzione di affiancarli, dovuta alla consapevolezza di non poter provvedere da sola al bambino, dall’altro rimarcando l’età avanzata della nonna e la scarsa credibilità di quanto riferito in merito ad una pregressa consuetudine del bambino a trascorrere la notte presso detta nonna. Orbene tali elementi risultano congruamente valutati e non vengono smentiti nel motivo di ricorso, nè vengono indicati fatti diversi e decisivi di cui non si sia tenuto conto.

6.1. Con il sesto motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1,10 e 12 in relazione alla mancata valutazione dell’idoneità di altre figure parentali.

La ricorrente sostiene che la presenza di altre figure parentali (le sorelle del proprio padre) sarebbe emersa sin dal primo grado e si duole che non sia stata oggetto di adeguato approfondimento.

6.2. Il motivo è fondato e va accolto.

6.3. Come questa Corte ha già affermato “In tema di dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, ove i genitori siano considerati privi della capacità genitoriale, la natura personalissima dei diritti coinvolti e il principio secondo cui l’adozione ultrafamiliare costituisce rextrema ratio” impongono di valutare anche le figure vicariali dei parenti più stretti, che abbiano rapporti significativi con il bambino e si siano resi disponibili alla sua cura ed educazione. Tale valutazione richiede che un giudizio negativo su di essi possa essere formulato solo attraverso la considerazione di dati oggettivi, quali le osservazioni dei servizi sociali che hanno monitorato l’ambito familiare o eventualmente il parere di un consulente tecnico.” (Cass. n. 3915 del 16/02/2018, n. 7559/2018), di guisa che la manifestazione di disponibilità, anche ove sopravvenuta nel corso della procedura di adottabilità non può, per ciò solo, essere disattesa e la valutazione circa la sussistenza di rapporti significativi con il bambino e la idoneità ad assolvere compiti vicariali deve essere adeguatamente ponderata sulla scorta di concrete ed oggettive emergenze: nel caso di specie la questione è stata, invece, risolta in modo sommario e la Corte di appello è venuta meno al dovere di accertare l’idoneità di altri familiari a prendersi cura del minore, nel prevalente interesse del medesimo, sancito dalle norme violate, poichè si è limitata a dare conto dell’esistenza di altri parenti (le sorelle del nonno paterno) e del fatto che la G. aveva sollecitato una CTU “tesa a valutare l’adeguatezza di tale di tale soluzione alternativa”, ma non ha dato corso al necessario approfondimento.

7.1. In conclusione vanno accolti i motivi terzo e sesto, nei limiti precisati, inammissibili i motivi primo, secondo e quinto, infondato il quarto motivo. La sentenza impugnata va cassata nei limiti dei motivi accolti e rinviata alla Corte di appello dell’Aquila in diversa composizione per il riesame e la liquidazione delle spese.

Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.

Accoglie i motivi terzo e sesto, nei limiti di cui in motivazione, inammissibili i motivi primo, secondo e quinto, infondato il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia alla Corte di appello dell’Aquila in diversa composizione anche per le spese;

Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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