Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17163 del 10/07/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 17163 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA

motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:
ALLEGA FRANCO ARTURO (C.F.: LLG FNC 55E31 Z404A), rappresentato e difeso,
in forza di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Ferdinando Emilio Abbate
e Giovambattista Ferriolo ed elettivamente domiciliato presso il loro studio, in Roma,
alla v. Lungotevere Michelangelo, n. 9; – ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato
*

e difeso “ex lege” dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso i suoi
Uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 609 del 2012, depositato in data
10 maggio 2012 (e notificato il 19 settembre 2012).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 maggio 2013
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

Data pubblicazione: 10/07/2013

udito l’Avv. Ranieri Roda (per delega) nell’interesse del ricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Ignazio Patrone, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

ritualmente depositato il 3 marzo 2011, il riconoscimento, ai sensi della legge 24
marzo 2001, n. 89, dell’equa riparazione del danno non patrimoniale sofferto a causa
della non ragionevole durata di un giudizio di equa riparazione introdotto dinanzi alla
Corte di appello di Roma con ricorso depositato nel mese di ottobre 2007, concluso
con decreto di parziale accoglimento depositato nel mese di aprile 2010, con la
conseguenza che il procedimento era durato complessivamente, per lo svolgimento
di un solo grado di giudizio, dal mese di ottobre 2007 al mese di aprile 2010.
L’adita Corte di appello perugina, con decreto depositato il 10 maggio 2012,
dichiarava la domanda inammissibile, ritenendo che non fosse esperibile il rimedio di
cui alla legge n. 89 del 2001 in relazione a procedimenti riguardanti la denunciata
violazione della durata ragionevole dei giudizi di equa riparazione, non discendendo
tale proponibilità dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed essendo
l’eventuale ritardo nella definizione dei procedimenti ai sensi della suddetta legge
compensabile dal giudice del procedimento.
Avverso il suddetto decreto ha proposto ricorso per cassazione l’Allega Franco
Arturo, con atto notificato il 10 novembre 2012, sulla base di un unico motivo.
L’intimato Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
Il collegio ha deliberato di adottare il modello di sentenza in forma semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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Il sig. Allega Franco Arturo chiedeva alla Corte d’appello di Perugia, con ricorso

1. – Con il dedotto motivo il ricorrente ha denunciato (ai sensi dell’art. 360, n. 3,
c.p.c.) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e degli
artt. 6, paragrafo primo, 13 e 41 della C.E.D.U., nonché dell’art. 111 Cost.
(richiamando anche altri decreti della stessa Corte perugina), sul presupposto della

argomentazione — già recepita in altre decisioni di questa Corte — in base alla quale
la legge n. 89 del 2001 non consente in alcun modo di distinguere i procedimenti di
equa riparazione da quelli ai quali la medesima legge si applica e di sottrarli, dunque,
al regime di ragionevole durata, che discende direttamente dalla Convenzione
europea dei diritti dell’uomo e dalla Costituzione italiana.
2. Il motivo è fondato e deve essere accolto nei termini che seguono.

Questa Corte ha già avuto modo (v. Cass. n. 5924 del 2012; Cass. n. 5925 del 2012;
Cass. n. 5455 del 2013 e Cass. n. 6981 del 2013) di pronunciarsi più volte in ordine
all’applicabilità del procedimento disciplinato dalla legge n. 89 del 2001 ai
procedimenti introdotti sulla base della legge stessa, per i quali deve ritenersi
predicabile l’operatività del termine ragionevole di durata e del conseguente regime
indennitario in caso di sua violazione.
A tal proposito è stato evidenziato che il giudizio di equa riparazione, che si
svolge presso le Corti di appello ed eventualmente, in sede di impugnazione,
dinanzi a questa Corte, si configura come un ordinario processo di cognizione,
soggetto, in quanto tale, all’esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, la
quale deve ritenersi tanto più presente per tale tipologia di giudizi, in quanto
finalizzati proprio all’accertamento della violazione di un diritto fondamentale
nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sé una condizione di
sofferenza ed un patema d’animo che sarebbe eccentrico non riconoscere
3

ritenuta illegittimità del decreto impugnato avuto riguardo alla decisiva

anche per i procedimenti regolati dalla legge n. 89 del 2001.

Né appare

condivisibile l’assunto che il giudizio dinanzi alla Corte di appello e l’eventuale
giudizio di impugnazione costituiscano una fase necessaria di un unico procedimento
destinato a concludersi dinanzi alla Corte europea, nel caso in cui nell’ordinamento

fondamentale, atteso che il procedimento interno rappresenta una forma di tutela
adeguata ed incisiva, sempre che, naturalmente, si svolga esso stesso nell’ambito di
una ragionevole durata.
Del resto in tal senso si è espressa la stessa C.E.D.U., da ultimo con la sentenza 6
marzo 2012, pronunciata nel ric. N. 23563/07 — Gagliano Giorgi c. Italia, che —
richiamando altri precedenti — ha affermato il principio secondo il quale “per
soddisfare le esigenze del «termine ragionevole» ai sensi dell’art. 6, § 1 della
Convenzione europea, la durata di un procedimento «Pinto» dinanzi alla Corte di
appello competente e alla Corte di cassazione, compresa la fase di esecuzione della
decisione, non dovrebbe, in linea di principio e salvo circostanze eccezionali, essere
superiore a due anni e sei mesi”, con ciò implicitamente ribadendo l’ammissibilità del
rimedio previsto dalla legge n. 89 del 2011 con riferimento ai giudizi sulla
irragionevole durata dei procedimenti presupposti.
Quanto alla determinazione della ragionevole durata di un procedimento di equa
riparazione, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte si ritiene che, ove
venga in rilievo un giudizio “Pinto” svoltosi in due gradi, la durata complessiva degli
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stessi debba essere computata come ragionevole ove non ecceda il termine rdue
anni e che, ove venga definito nell’unico grado di merito, la sua durata ragionevole
deve essere calcolata nell’ordine di un anno, non potendosi a tal fine attribuire al
termine di quattro mesi di cui all’art. 3, comma 4, della legge n. 89 del 2001, natura
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interno la parte interessata non ottenga un’efficace tutela dell’indicato diritto

diversa da quella sollecitatoria che gli è propria e, quindi, non espressiva in modo
assoluto della ragionevole durata del procedimento di equa riparazione.
Il ricorso deve, perciò essere accolto, risultando erronea la decisione della Corte
territoriale che ha ritenuto inammissibile la domanda di equa riparazione per la

presupposto di altra natura.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito.
Nel caso di specie, infatti, il ricorso risulta essere stato depositato presso la Corte di
appello di Roma nel mese di ottobre 2007, concludendosi direttamente entro il primo
grado di merito con decreto depositato nel mese di aprile 2010. Pertanto, detratto il
termine ragionevole, stimato in un anno, la durata complessiva non ragionevole del
procedimento di equa riparazione è stata di un anno e sei mesi.
Alla luce dell’accertata durata irragionevole del giudizio e tenuto conto che, in ordine
alla quantificazione del danno non patrimoniale, deve farsi applicazione del principio,
costante nella giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 21840 del 2009 e,
da ultimo, Cass. n. 8471 del 2012), secondo cui detta liquidazione deve essere, di
regola, non inferiore a euro 750 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni
eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a euro 1.000,00 per quelli successivi,
ne consegue che l’indennizzo riconoscibile al ricorrente deve essere quantificato
nell’importo di euro 1.128,00 (di cui euro 750,00 per il primo anno ed euro 378,00 per
i residui sei mesi), a cui devono aggiungersi gli interessi legali con decorrenza dalla
proposizione della domanda giudiziale e fino al soddisfo.

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irragionevole durata di un procedimento di equa riparazione relativamente a giudizio

Al ricorrente compete, altresì, in base al principio della soccombenza, il rimborso
delle spese e competenze dell’intero giudizio, liquidate nella misura indicata in
dispositivo, con l’attribuzione ai suoi difensori, per dichiarato anticipo.
PER QUESTI MOTIVI

accoglie la domanda proposta nell’interesse di Allega Franco Artuto e condanna il
Ministero della Giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di euro
1.128,00 a titolo di equa riparazione, oltre interessi legali dalla domanda al saldo,
nonché al rimborso delle spese del giudizio davanti alla Corte d’appello, liquidate in
complessivi euro 775,00, di cui euro 445,00 per onorari, euro 280,00 per diritti ed
euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge,
ponendo a carico dello stesso Ministero le spese del giudizio di cassazione, che si
liquidano in complessivi euro 606,25, di cui euro 506,25 per compensi ed euro
100,00 per esborsi, oltre accessori di legge; dispone la distrazione delle spese del
giudizio di merito e di quello di legittimità, nelle misure come rispettivamente liquidate
a vantaggio del ricorrente, in favore degli Avv.ti Giovambattista Ferriolo e Ferdinando
Emilio Abbate, per dichiarato anticipo.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della
Corte suprema di Cassazione, in data 22 maggio 2013.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito,

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