Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17162 del 10/07/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 17162 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

motivazione
semplificata

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

CAPPELLETTO MARIA (C.F.: CPP MRA 32B49 L407K), BIDDAU ANTONIO (C.F.:
BDD NTN 66H15 A192M), GASPARETTO CLAUDIO (C.F.: GSP CLD 58C21
G8750) e PAVAN FRANCO (C.F.: PVN FNC 42S22 M048B), tutti rappresentati e
difesi, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Ferdinando Emilio
Abbate e Giovambattista Ferriolo ed elettivamente domiciliati presso il loro studio, in
Roma, alla v. Lungotevere Michelangelo, n. 9; – ricorrente contro
1R.

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato
e difeso “ex lege” dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso i suoi
Uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 727 del 2012, depositato in data
24 maggio 2012 (e notificato il 19 settembre 2012).

,

Data pubblicazione: 10/07/2013

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 maggio 2013
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito l’Avv. Ranieri Roda (per delega) nell’interesse dei ricorrenti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I sigg. Cappelletto Maria, Biddau Antonio, Gasparetto Claudio e Pavan Franco
chiedevano alla Corte d’appello di Perugia, con ricorso ritualmente depositato il 26
aprile 2011, il riconoscimento, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, dell’equa
riparazione del danno non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata
di un giudizio di equa riparazione introdotto dinanzi alla Corte di appello di Roma con
ricorso depositato nel mese di luglio 2006, concluso con decreto di parziale
accoglimento depositato nel mese di marzo 2008 e definito, a seguito di ricorso per
cassazione notificato nel mese di aprile 2009, con sentenza di cassazione e
contestuale decisione nel merito di questa Corte depositata nel mese di novembre
2010, con la conseguenza che il procedimento era durato complessivamente, per lo
svolgimento di due gradi di giudizio, dal mese di luglio 2006 al mese di novembre
2010.
L’adita Corte di appello perugina, con decreto depositato il 24 maggio 2012,
dichiarava la domanda inammissibile, ritenendo che non fosse esperibile il rimedio di
cui alla legge n. 89 del 2001 in relazione a procedimenti riguardanti la denunciata
violazione della durata ragionevole dei giudizi di equa riparazione, non discendendo
tale proponibilità dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed essendo
l’eventuale ritardo nella definizione dei procedimenti ai sensi della suddetta legge
compensabile dal giudice del procedimento.
2

Ignazio Patrone, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Avverso il suddetto decreto ha proposto ricorso per cassazione la Merola Giovanna
Caterina, con atto notificato il 27 ottobre 2012, sulla base di un unico motivo.
L’intimato Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
Il collegio ha deliberato di adottare il modello di sentenza in forma semplificata.

1. – Con il dedotto motivo i ricorrenti hanno denunciato (ai sensi dell’art. 360, n. 3,
c.p.c.) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e degli
artt. 6, paragrafo primo, 13 e 41 della C.E.D.U., nonché dell’art. 111 Cost.
(richiamando anche altri decreti della stessa Corte perugina), sul presupposto della
ritenuta illegittimità del decreto impugnato avuto riguardo alla decisiva
argomentazione — già recepita in altre decisioni di questa Corte — in base alla quale
la legge n. 89 del 2001 non consente in alcun modo di distinguere i procedimenti di
equa riparazione da quelli ai quali la medesima legge si applica e di sottrarli, dunque,
al regime di ragionevole durata, che discende direttamente dalla Convenzione
europea dei diritti dell’uomo e dalla Costituzione italiana.
2. Il motivo è fondato e deve essere accolto nei termini che seguono.
Questa Corte ha già avuto modo (v. Cass. n. 5924 del 2012; Cass. n. 5925 del 2012;
Cass. n. 5455 del 2013 e Cass. n. 6981 del 2013) di pronunciarsi più volte in ordine
all’applicabilità del procedimento disciplinato dalla legge n. 89 del 2001 ai
procedimenti introdotti sulla base della legge stessa, per i quali deve ritenersi
predicabile l’operatività del termine ragionevole di durata e del conseguente regime
indennitario in caso di sua violazione.
A tal proposito è stato evidenziato che il giudizio di equa riparazione, che si
svolge presso le Corti di appello ed eventualmente, in sede di impugnazione,
dinanzi a questa Corte, si configura come un ordinario processo di cognizione,
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MOTIVI DELLA DECISIONE

soggetto, in quanto tale, all’esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, la
quale deve ritenersi tanto più presente per tale tipologia di giudizi, in quanto
finalizzati proprio all’accertamento della violazione di un diritto fondamentale
nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sé una condizione di

anche per i procedimenti regolati dalla legge n. 89 del 2001.

Né appare

condivisibile l’assunto che il giudizio dinanzi alla Corte di appello e l’eventuale
giudizio di impugnazione costituiscano una fase necessaria di un unico procedimento
destinato a concludersi dinanzi alla Corte europea, nel caso in cui nell’ordinamento
interno la parte interessata non ottenga un’efficace tutela dell’indicato diritto
fondamentale, atteso che il procedimento interno rappresenta una forma di tutela
adeguata ed incisiva, sempre che, naturalmente, si svolga esso stesso nell’ambito di
una ragionevole durata.
Del resto in tal senso si è espressa la stessa C.E.D.U., da ultimo con la sentenza 6
marzo 2012, pronunciata nel ric. N. 23563/07 — Gagliano Giorgi c. Italia, che —
richiamando altri precedenti — ha affermato il principio secondo il quale “per
soddisfare le esigenze del «termine ragionevole>> ai sensi dell’art. 6, § 1 della
Convenzione europea, la durata di un procedimento «Pinto>> dinanzi alla Corte di
appello competente e alla Corte di cassazione, compresa la fase di esecuzione della
decisione, non dovrebbe, in linea di principio e salvo circostanze eccezionali, essere
superiore a due anni e sei mesi”, con ciò implicitamente ribadendo l’ammissibilità del
rimedio previsto dalla legge n. 89 del 2011 con riferimento ai giudizi sulla
irragionevole durata dei procedimenti presupposti.
Quanto alla determinazione della ragionevole durata di un procedimento di equa
riparazione, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte si ritiene che, ove
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sofferenza ed un patema d’animo che sarebbe eccentrico non riconoscere

venga in rilievo un giudizio “Pinto” svoltosi in due gradi, la durata complessiva degli
stessi debba essere computata come ragionevole ove non ecceda il termineYdue
anni.
Orbene, tenuto conto che il termine di durata ragionevole di un giudizio di legittimità

normalmente fissato in un anno, deve ritenersi che il giudizio di primo grado debba
essere concluso nel termine ragionevole di un anno, non potendosi a tal fine
attribuire al termine di quattro mesi di cui all’art. 3, comma 4, della legge n. 89 del
2001, natura diversa da quella sollecitatoria che gli è propria e, quindi, non
espressiva in modo assoluto della ragionevole durata del procedimento di equa
riparazione.
Il ricorso deve, perciò essere accolto, risultando erronea la decisione della Corte
territoriale che ha ritenuto inammissibile la domanda di equa riparazione per la
irragionevole durata di un procedimento di equa riparazione relativamente a giudizio
presupposto di altra natura.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito.
Nel caso di specie, infatti, il ricorso risulta essere stato depositato presso la Corte di
appello di Roma nel mese di luglio 2005, il primo grado di merito si è concluso con
decreto depositato nel marzo 2008; il ricorso per cassazione, avverso quest’ultimo
decreto, è stato notificato nel mese di aprile 2006 ed il giudizio di legittimità si è
concluso (con la definizione dell’intero procedimento) con il deposito di sentenza nel
novembre 2010. Pertanto, detratti il termine ragionevole, stimato in due anni, ed il
termine di undici mesi intercorso il tra il deposito del decreto della Corte capitolina e
la proposizione del ricorso per cassazione (ulteriore rispetto al termine breve previsto
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riguardante l’impugnazione di un decreto ai sensi della legge n. 89 del 2001 è

per quest’ultima impugnazione), la durata complessiva non ragionevole del
procedimento di equa riparazione è stata di circa un anno e cinque mesi.
Alla luce dell’accertata durata irragionevole del giudizio e tenuto conto che, in ordine
alla quantificazione del danno non patrimoniale, deve farsi applicazione del principio,

da ultimo, Cass. n. 8471 del 2012), secondo cui detta liquidazione deve essere, di
regola, non inferiore a euro 750 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni
eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a euro 1.000,00 per quelli successivi,
ne consegue che l’indennizzo riconoscibile a ciascun ricorrente deve essere
quantificato nell’importo di euro 1.065,00 (di cui euro 750,00 per il primo anno ed
euro 315,00 per i residui cinque mesi), a cui devono aggiungersi gli interessi legali
con decorrenza dalla proposizione della domanda giudiziale e fino al soddisfo.
Ai ricorrenti competono, altresì, in base al principio della soccombenza, il rimborso
delle spese e competenze dell’intero giudizio, liquidate nella misura indicata in
dispositivo, con l’attribuzione ai loro difensori, per dichiarato anticipo.

PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito,
accoglie la domanda proposta nell’interesse di Cappelletto Maria, Biddau Antonio,
Gasparetto Claudio e Pavan Franco e condanna il Ministero della Giustizia al
pagamento, in favore di ciascun ricorrente, della somma di euro 1.065,00 a titolo di
equa riparazione, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, nonché al rimborso
delle spese del giudizio davanti alla Corte d’appello, liquidate in complessivi euro
775,00, di cui euro 445,00 per onorari, euro 280,00 per diritti ed euro 50,00 per
esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge, ponendo a carico
dello stesso Ministero le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in
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costante nella giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 21840 del 2009 e,

complessivi euro 606,25, di cui euro 506,25 per compensi ed euro 100,00 per
esborsi, oltre accessori di legge; dispone la distrazione delle spese del giudizio di
merito e di quello di legittimità, nelle misure come rispettivamente liquidate a
vantaggio dei ricorrenti, in favore degli Avv.ti Giovambattista Ferriolo e Ferdinando

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della
Corte suprema di Cassazione, in data 22 maggio 2013.

Emilio Abbate, per dichiarato anticipo.

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