Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17161 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. I, 16/06/2021, (ud. 09/04/2021, dep. 16/06/2021), n.17161

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13498/2019 proposto da:

H.S., nato in (OMISSIS) il (OMISSIS) elettivamente

domiciliato presso la cancelleria della Suprema Corte di Cassazione

in Roma, rappresentato e difeso dall’avv. Felice Patruno, del Foro

di Bari;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello

Stato domiciliato presso i suoi uffici siti in Roma via dei

Portoghesi 12;

– intimato –

Avverso il decreto del TRIBUNALE di BARI, depositato il 29/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/04/2021 dal Consigliere Dott. RITA RUSSO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.- Il ricorrente, cittadino (OMISSIS), ha chiesto la protezione internazionale, narrando di essere di religione (OMISSIS) e di avere vissuto nel distretto di (OMISSIS) ((OMISSIS)). Sposato con quattro figli, aveva un negozio di riparazioni elettrodomestici e organizzava riunioni religiose nella sua abitazione e per questa ragione è entrato in contrasto con (OMISSIS) che lo hanno attaccato; in questo scontro vi sono stati feriti e per questa ragione ha deciso di fuggire lasciando famiglia e il lavoro e spostandosi a Lahore; dopo qualche giorno la moglie gli ha riferito che era ricercato da alcune persone e dalla polizia e quindi è espatriato. Teme di essere ucciso o arrestato su sollecitazione dell’Iman.

Il Tribunale ha ritenuto il racconto non credibile perchè connotato da contraddizioni interne, inverosimile e poco plausibile; ha escluso inoltre il diritto alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) sulla base del rapporto EASO 2017 relativo al (OMISSIS); ha escluso infine la protezione umanitaria, risultando in atti solo alcuni contratti di lavoro a tempo determinato non sufficienti per valutare che il richiedente abbia raggiunto un adeguato livello di integrazione socio economica nel paese, nè risulta documentazione sanitaria.

2.- Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a tre motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio, con controricorso. La causa è stata trattata alla udienza camerale del 9 aprile 2021.

Diritto

RITENUTO

CHE:

3.- Con il primo motivo del ricorso il ricorrente lamenta ai sensi dell’art. 360, n. 3 la violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,6,7, e 8. Deduce che il giudice è venuto meno al dovere di cooperazione perchè ha omesso di valutare il contesto socio politico del paese di provenienza in ordine al conflitto interreligioso tra sciiti e sunniti e l’incidenza dei pubblici poteri su tale conflitto.

Il motivo è infondato.

Secondo quanto dispone il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 l’esame della domanda avviene su base individuale e il punto di partenza sono le dichiarazioni rese dal richiedente asilo di cui il giudice è tenuto a vagliare la credibilità secondo una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi secondo la griglia predeterminata di criteri offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (v. Cass. 26921/2017, Cass. n. 08282/2013; Cass. n. 24064/2013; Cass. n. 16202/2012).

In particolare sulla valutazione di credibilità del racconto il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 indica quattro principali criteri di valutazione e cioè: a) la coerenza interna, che riguarda le eventuali incongruenze, discrepanze o omissioni presenti nelle dichiarazioni, rilevabili direttamente dal racconto; b) la coerenza esterna, che si si riferisce alla coerenza tra il resoconto del richiedente e prove di altro tipo ottenute dalle autorità competenti, comprese le informazioni sul paese di origine, c) la sufficienza dei dettagli, poichè di regola il dettaglio è indicativo di una vicenda effettivamente vissuta; d) la plausibilità o verosimiglianza, e cioè che si tratti di un fatto possibile, nonchè apparentemente ragionevole, verosimile o probabile.

La corretta utilizzazione dei criteri b) e d) richiede che il giudice assolva al dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 assumendo appropriate, aggiornate e pertinenti informazioni sul paese di origine (COI), poichè la coerenza esterna, la verosimiglianza e plausibilità del racconto devono necessariamente valutarsi nel contesto o culturale, sociale, religioso e politico del paese di provenienza. Ciò che è vero o verosimile in un dato luogo e in dato tempo può non esserlo in altro luogo ed in altro tempo. Di conseguenza il giudizio di verosimiglianza o plausibilità, ovvero anche lo stesso il giudizio di ragionevolezza non può essere eseguito comparando il racconto con ciò che è vero e ragionevole per il giudice o per il cittadino Europeo medio, o con ciò che normalmente accade in un paese Europeo (Cass. 6738/2021).

Tuttavia la credibilità del racconto potrebbe essere esclusa già soltanto sulla base della utilizzazione dei criteri di valutazione intrinseci, e cioè la sufficienza dei dettagli e la presenza di contraddizioni interne, per la cui utilizzazione non è necessario assumere COI, poichè corrispondono a regole logiche di carattere generale che non mutano nelle spazio e nel tempo; l’estrema genericità del racconto o rilevati contraddizioni possono rendere superfluo, o in certi casi anche impossibile, assumere informazioni pertinenti, mirate cioè a gettare luce su una storia individuale che non è stata allegata ovvero è stata allegata in termini generici o incoerenti. Così, una volta esclusa la credibilità intrinseca della narrazione offerta dal richiedente asilo alla luce di riscontrate contraddizioni, lacune e incongruenze, non deve procedersi al controllo della credibilità estrinseca – che attiene alla concordanza delle dichiarazioni con il quadro culturale, sociale, religioso e politico del Paese di provenienza, desumibile dalla consultazione di fonti internazionali meritevoli di credito – poichè tale controllo assolverebbe alla funzione meramente teorica di accreditare la mera possibilità astratta di eventi non provati riferiti in modo assolutamente non convincente dal richiedente (Cass. n. 24575/2020).

Mancando l’allegazione di storia individuale intrinsecamente credibile, il cui onere incombe sul richiedente, il dovere di cooperazione da parte del giudice non può esplicarsi, se non con riferimento a quella tipologia di rischio in cui la storia individuale perde di importanza (Cass. n. 8819/2020; Cass. n. 24575/2020; Cass. 6738/2021). Il giudice non può e non deve supplire ad eventuali carenze delle allegazioni (Cass. n. 2355/2020; Cass. 8819/2020), posto che il ricorrente è l’unico ad essere in possesso delle informazioni relative alla sua storia personale e quindi deve indicare gli elementi relativi all’età, all’estrazione, ai rapporti familiari, ai luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, alle domande di asilo eventualmente già presentate (v. CGUE 5 giugno 2014, causa C-146/14; nello stesso senso Cass. 8819/2020).

Nel caso di specie il giudice di merito ha applicato in primo luogo i criteri legali di valutazione intrinseci, rilevando che il ricorrente non ha dato un inquadramento temporale alla vicenda, entrando in contraddizione sulle date e su altri elementi importanti come la presenza in loco di altri (OMISSIS) e le conseguenze fisiche dell’aggressione personale subita dai (OMISSIS). Pertanto la erronea utilizzazione del criterio di verosimiglianza, in assenza cioè di assunzione di appropriate informazioni sul conflitto religioso tra (OMISSIS) e (OMISSIS), perde di importanza, perchè in ogni caso sono stati esposti elementi sufficienti a giustificare il giudizio negativo di credibilità sulla base degli elementi intrinseci al racconto.

4.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione dell’art. 14 lett. c) Parte ricorrente deduce che ha errato il Tribunale ad escludere la sussistenza del rischio da violenza indiscriminata che invece le fonti internazionali come allegate alla domanda di merito riconoscono al distretto di provenienza.

Il motivo è infondato.

Il Tribunale ha esaminato questo profilo di rischio assumendo informazioni con specifico riferimento al distretto di (OMISSIS) sul paese di origine tramite fonti qualificate, indicandole in sentenza con la relativa data e persino con il collegamento ipertestuale attraverso il quale si può accedere alle informazioni per controllarle (Cass. 4557/2021; Cass. 6736/2021). A fronte di ciò la censura è estraneamente generica e si risolve in una apodittica affermazione della sussistenza delle condizioni di rischio.

5.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Deduce che il tribunale non ha adeguatamente considerato che la stipula di un contratto di lavoro in Italia sia pure a tempo determinato ma comunque rinnovato, rappresenta una stabile occupazione e dunque un indice sufficiente di inserimento sociale in Italia il che incarna perfettamente i presupposti per la concessione del permesso di soggiorno invocato, rapportato alla situazione del (OMISSIS) dove la disoccupazione è molto alta in particolare nelle zone rurali.

Il motivo è inammissibile in quanto si concreta in una generica esposizione delle condizioni per ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari privo di riferimenti pertinenti alla vicenda individuale così come narrata, posto che la disoccupazione nelle zone rurali non ha attinenza alla condizione di chi svolgeva una attività di riparazione di elettrodomestici; mentre di contro il giudice del merito ha espresso un giudizio di fatto non sindacabile in questa sede sul difetto di integrazione e la mancanza di condizione di vulnerabilità.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio da remoto, il 9 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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