Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17159 del 10/07/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 17159 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA

2001 – sentenza con
motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:
GRIFA TOMMASO (C.F.: GRF TMS 37R05 H985C); GUGLIUCCI LILIANA (C.F.:
GGL LLN 54C43 H703N); FODERA’ CATERINA (C.F.: FDR CRN 42D66 H501C);
MAGIONESI MAURIZIO (C.F.: MGN MRZ 40P30 H501V); FELICE GIOVANNI
BATTISTA (C.F.: FLC GNN 53P03 I712V); PERA MARIA GIUSEPPINA (C.F.: PRE
MGS 50R61 A089E); FIORILLO CARMELINA (C.F.: FRL CML 53P49 B715L);
RICAGNI ITALO (C.F.: RCG TLI 50C13 H501Y); GALLO DOMENICO (C.F.: GLL
DNC 48E30 H501B); DELL’OSTE ANGELO (C.F.: DLL NGL 52L11 H501X);
DESIDERIO PAOLO (C.F.: DSD PLA 46M02 C632K); GRECI MARIA (C.F.: GRC
MRS 53S57 L780G); CRISTALLO ROMANO RUGGERO (C.F.: CRS RNR 40M28
L0570); PASCUCCI ADRIANA (C.F.: PSC DRN 50T62 H501E); GUGLIELMANN
ROBERTA (C.F. GGL RRT 47M43 H501E); DE SANTIS DOMENICO (C.F.: DSN
DNC 40P10 F595U) e CAPITANUCCI FRANCO (C.F.: CPT FNC 41R04 A475N), tutti

Data pubblicazione: 10/07/2013

rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti
Ferdinando Emilio Abbate e Giovambattista Ferriolo ed elettivamente domiciliati
presso il loro studio, in Roma, alla v. Lungotevere Michelangelo, n. 9;
– ricorrenti –

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato
e difeso “ex lege” dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso i suoi
– controricorrente –

Uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 567 del 2012, depositato in data
9 maggio 2012 (e notificato il 17 settembre 2012).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 maggio 2013

dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito l’Avv. Ranieri Roda (per delega) nell’interesse dei ricorrenti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Ignazio Patrone, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Gli istanti indicati in epigrafe chiedevano alla Corte d’appello di Perugia, con ricorso
ritualmente depositato il 29 ottobre 2010, il riconoscimento, ai sensi della legge 24
marzo 2001, n. 89, dell’equa riparazione del danno non patrimoniale sofferto a causa
della non ragionevole durata di un giudizio di equa riparazione introdotto dinanzi alla
Corte di appello di Roma con ricorso depositato nel mese di novembre 2005,
concluso con decreto di parziale accoglimento depositato nel mese di aprile 2007 e
definito, a seguito di ricorso per cassazione notificato nel mese di giugno 2008, con
sentenza di cassazione e contestuale decisione nel merito di questa Corte depositata
nel mese di marzo 2010, con la conseguenza che il procedimento era durato
2

contro

complessivamente, per lo svolgimento di due gradi di giudizio, dal mese di novembre
2005 al mese di marzo 2010.
L’adita Corte di appello perugina, con decreto depositato il 9 maggio 2012,
dichiarava la domanda inammissibile, ritenendo che non fosse esperibile il rimedio di

violazione della durata ragionevole dei giudizi di equa riparazione, non discendendo
tale proponibilità dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed essendo
l’eventuale ritardo nella definizione dei procedimenti ai sensi della suddetta legge
compensabile dal giudice del procedimento.
Avverso il suddetto decreto hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti istanti,
con atto notificato il 5 novembre 2012, sulla base di un unico motivo.
L’intimato Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
Il collegio ha deliberato di adottare il modello di sentenza in forma semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il dedotto motivo i ricorrenti hanno denunciato (ai sensi dell’art. 360, n. 3,
c.p.c.) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e degli
artt. 6, paragrafo primo, 13 e 41 della C.E.D.U., nonché dell’art. 111 Cost.
(richiamando anche altri decreti della stessa Corte perugina), sul presupposto della
ritenuta illegittimità del decreto impugnato avuto riguardo alla decisiva
argomentazione — già recepita in altre decisioni di questa Corte — in base alla quale
la legge n. 89 del 2001 non consente in alcun modo di distinguere i procedimenti di
equa riparazione da quelli ai quali la medesima legge si applica e di sottrarli, dunque,
al regime di ragionevole durata, che discende direttamente dalla Convenzione
europea dei diritti dell’uomo e dalla Costituzione italiana.
2. Il motivo è fondato e deve essere accolto nei termini che seguono.
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cui alla legge n. 89 del 2001 in relazione a procedimenti riguardanti la denunciata

Questa Corte ha già avuto modo (v. Cass. n. 5924 del 2012; Cass. n. 5925 del 2012;
Cass. n. 5455 del 2013 e Cass. n. 6981 del 2013) di pronunciarsi più volte in ordine
all’applicabilità del procedimento disciplinato dalla legge n. 89 del 2001 ai
procedimenti introdotti sulla base della legge stessa, per i quali deve ritenersi

indennitario in caso di sua violazione.
A tal proposito è stato evidenziato che il giudizio di equa riparazione, che si
svolge presso le Corti di appello ed eventualmente, in sede di impugnazione,
dinanzi a questa Corte, si configura come un ordinario processo di cognizione,
soggetto, in quanto tale, all’esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, la
quale deve ritenersi tanto più presente per tale tipologia di giudizi, in quanto
finalizzati proprio all’accertamento della violazione di un diritto fondamentale
nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sé una condizione di
sofferenza ed un patema d’animo che sarebbe eccentrico non riconoscere
anche per i procedimenti regolati dalla legge n. 89 del 2001.

Né appare

condivisibile l’assunto che il giudizio dinanzi alla Corte di appello e l’eventuale
giudizio di impugnazione costituiscano una fase necessaria di un unico procedimento
destinato a concludersi dinanzi alla Corte europea, nel caso in cui nell’ordinamento
interno la parte interessata non ottenga un’efficace tutela dell’indicato diritto
fondamentale, atteso che il procedimento interno rappresenta una forma di tutela
adeguata ed incisiva, sempre che, naturalmente, si svolga esso stesso nell’ambito di
una ragionevole durata.
Del resto in tal senso si è espressa la stessa C.E.D.U., da ultimo con la sentenza 6
marzo 2012, pronunciata nel ric. N. 23563/07 — Gagliano Giorgi c. Italia, che —
richiamando altri precedenti — ha affermato il principio secondo il quale “per
4

predicabile l’operatività del termine ragionevole di durata e del conseguente regime

soddisfare le esigenze del «termine ragionevole>> ai sensi dell’art. 6, § 1 della
Convenzione europea, la durata di un procedimento «Pinto>> dinanzi alla Corte di
appello competente e alla Corte di cassazione, compresa la fase di esecuzione della
decisione, non dovrebbe, in linea di principio e salvo circostanze eccezionali, essere

rimedio previsto dalla legge n. 89 del 2011 con riferimento ai giudizi sulla
irragionevole durata dei procedimenti presupposti.
Quanto alla determinazione della ragionevole durata di un procedimento di equa
riparazione, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte si ritiene che, ove
venga in rilievo un giudizio “Pinto” svoltosi in due gradi, la durata complessiva degli
pbi
stessi debba essere computata come ragionevole ove non ecceda il termine ‘due
anni.
Orbene, tenuto conto che il termine di durata ragionevole di un giudizio di legittimità
riguardante l’impugnazione di un decreto ai sensi della legge n. 89 del 2001 è
normalmente fissato in un anno, deve ritenersi che il giudizio di primo grado debba
essere concluso nel termine ragionevole di un anno, non potendosi a tal fine
attribuire al termine di quattro mesi di cui all’art. 3, comma 4, della legge n. 89 del
2001, natura diversa da quella sollecitatoria che gli è propria e, quindi, non
espressiva in modo assoluto della ragionevole durata del procedimento di equa
riparazione.
Il ricorso deve, perciò essere accolto, risultando erronea la decisione della Corte
territoriale che ha ritenuto inammissibile la domanda di equa riparazione per la
irragionevole durata di un procedimento di equa riparazione relativamente a giudizio
presupposto di altra natura.

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superiore a due anni e sei mesi”, con ciò implicitamente ribadendo l’ammissibilità del

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito.
Nel caso di specie, infatti, il ricorso risulta essere stato depositato presso la Corte di
appello di Roma nel mese di novembre 2005, il primo grado di merito si è concluso

quest’ultimo decreto, è stato notificato nel mese di giugno 2008 ed il giudizio di
legittimità si è concluso (con la definizione dell’intero procedimento) con il deposito di
sentenza nel marzo 2010. Pertanto, detratti il termine ragionevole, stimato in due
anni, ed il termine di undici mesi intercorso il tra il deposito del decreto della Corte
capitolina e la proposizione del ricorso per cassazione (ulteriore rispetto al termine
breve previsto per quest’ultima impugnazione), la durata complessiva non
ragionevole del procedimento di equa riparazione è stata di circa un anno e cinque
mesi.
Alla luce dell’accertata durata irragionevole del giudizio e tenuto conto che, in ordine
alla quantificazione del danno non patrimoniale, deve farsi applicazione del principio,
costante nella giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 21840 del 2009 e,
da ultimo, Cass. n. 8471 del 2012), secondo cui detta liquidazione deve essere, di
regola, non inferiore a euro 750 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni
eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a euro 1.000,00 per quelli successivi,
ne consegue che l’indennizzo riconoscibile ad ognuno dei ricorrenti deve essere
quantificato nell’importo di euro 1.065,00 (di cui euro 750,00 per il primo anno ed
euro 315,00 per o residui cinque mesi), a cui devono aggiungersi gli interessi legali
con decorrenza dalla proposizione della domanda giudiziale e fino al soddisfo.

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con decreto depositato nell’aprile 2007; il ricorso per cassazione, avverso

Alle parti ricorrenti competono, altresì, in base al principio della soccombenza, il
rimborso delle spese e competenze dell’intero giudizio, liquidate nella misura indicata
in dispositivo, con l’attribuzione ai loro difensori, per dichiarato anticipo.
PER QUESTI MOTIVI

accoglie la domanda proposta nell’interesse dei ricorrenti di cui intestazione e
condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore di ciascun ricorrente,

della somma di euro 1.065,00 a titolo di equa riparazione, oltre interessi legali dalla
domanda al saldo, nonché al rimborso delle spese del giudizio davanti alla Corte
d’appello, liquidate in complessivi euro 775,00, di cui euro 445,00 per onorari, euro
280,00 per diritti ed euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori
come per legge, ponendo a carico dello stesso Ministero le spese del giudizio di
cassazione, che si liquidano in complessivi euro 606,25, di cui euro 506,25 per
compensi ed euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge; dispone la distrazione
delle spese del giudizio di merito e di quello di legittimità, nelle misure come
rispettivamente liquidate a vantaggio dei ricorrenti, in favore degli Avv.ti
Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, per dichiarato anticipo.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della
Corte suprema di Cassazione, in data 22 maggio 2013.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito,

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