Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17158 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. I, 21/07/2010, (ud. 08/10/2009, dep. 21/07/2010), n.17158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – est. Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.P., elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere

Pietra Papa 185, presso l’avv. Donati Simona, rappresentato e difeso

dall’avv. Mocella Marco, del Foro di Sant’Angelo dei Lombardi, per

procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma, cron. n. 1545, del

20 febbraio 2006, nel procedimento n. 50953/05;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 8 ottobre 2009 dal relatore, Cons. Dott. Onofrio Fittipaldi;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale, Dott. Apice Umberto, che ha concluso

chiedendo il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con decreto del 20 febbraio 2006 la Corte d’appello di Roma – pronunciando sul ricorso con il quale R.P. aveva chiesto nei confronti del Ministero della Giustizia, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, la corresponsione di una somma a titolo di equa riparazione per i danni non patrimoniali, sofferti in relazione alla irragionevole durata di un giudizio da lui promosso, per competenze di lavoro non corrisposte, con ricorso introdotto il 15 luglio 1997 davanti al Giudice del lavoro del Tribunale di Nola e definito in primo grado con sentenza depositata il 21 gennaio 2005 – accoglieva detto ricorso e condannava il Ministero soccombente al pagamento della somma di Euro 5.000,00. A fondamento della decisione, la Corte di merito affermava che il giudizio presupposto, durato circa sette anni e sei mesi, aveva superato di circa cinque anni il limite temporale di due anni e sei mesi, da considerarsi ragionevole per il processo di primo grado avuto riguardo alla natura della controversia in materia di lavoro, di media complessità.

2. Per la cassazione di tale decreto il R. ricorre sulla base di cinque motivi. Il Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce che il danno non patrimoniale è conseguenza normale, anche se non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e non deve pertanto essere provato dal ricorrente.

Con il secondo e il terzo motivo si denuncia che il decreto impugnato non si è uniformato, nella determinazione del danno non patrimoniale, ai parametri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, anche con riferimento al bonus da riconoscersi per le cause in materia di lavoro e tenuto conto della non modesta entità della posta in gioco.

Con il quarto motivo il ricorrente si duole che sulla somma liquidata non siano stati conteggiati dalla domanda gli interessi e la rivalutazione.

Con il quinto motivo si deduce che erroneamente le spese legali non sono state attribuite ai procuratori antistatari.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato, in quanto la Corte d’appello, indipendentemente dalla prova fornita dal ricorrente, ha provveduto alla determinazione del danno non patrimoniale, ravvisato nel disagio conseguente al protrarsi dell’incertezza sull’esito del processo.

Parimenti infondati sono il secondo e il terzo motivo, esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi. Infatti, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, nella liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice nazionale, pur non potendo ignorare i criteri applicati in casi simili dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ha pur sempre facoltà di apportare, motivatamente e non irragionevolmente, le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, le quali, peraltro, non possono fondare la decisione di liquidare somme che non siano in relazione ragionevole con quella – tra i 1000 e i 1500 Euro – accordata dalla predetta Corte negli affari consimili (Cass. 2006/24356; 2007/2254); nella specie, la Corte di appello si è attenuta a tali principi, facendo riferimento ai parametri CEDU sia pure nella misura minima. Non può inoltre ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro;

da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa di lavoro abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898).

Il quarto motivo è manifestamente fondato con riferimento alla sola richiesta di corresponsione degli interessi, in quanto, per costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. 2003/2382; 2004/1405), sulla somma liquidata a titolo di equa riparazione per superamento del termine ragionevole di durata del processo, ai sensi della legge 2001/89, vanno riconosciuti gli interessi legali dal momento della domanda proposta davanti alla Corte di appello, mentre in considerazione del carattere indennitario dell’obbligazione, nessuna rivalutazione può essere accordata.

Il quinto motivo resta assorbito, in conseguenza dell’accoglimento del quarto motivo, dovendosi provvedere ad una nuova liquidazione delle spese processuali del giudizio di merito.

Il decreto impugnato deve pertanto essere annullato con riferimento alla censura accolta e poichè non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, statuendosi che sull’indennizzo liquidato al ricorrente devono essere conteggiati gli interessi legali a decorrere dalla data della domanda. Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), compensate per la metà quelle del giudizio di cassazione in considerazione dell’accoglimento solo parziale del ricorso, con distrazione delle spese di entrambi i giudizi in favore del difensore del ricorrente, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi. Accoglie, nei termini di cui in motivazione, il quarto motivo, assorbito il quinto.

Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, dispone che sull’indennizzo liquidato in favore del ricorrente decorrano dalla data della domanda gli interessi legali. Condanna inoltre il Ministero della Giustizia al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.000,00, di cui Euro 500,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, compensate per la metà, che si liquidano per l’intero in Euro 665,00 di cui Euro 565,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore del ricorrente, avv. Marco Mocella, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

 

 

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