Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17155 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. I, 16/06/2021, (ud. 08/07/2020, dep. 16/06/2021), n.17155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13674/2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in Ravenna, alla via Meucci

n. 7/D, presso lo studio dell’avv. A. Maestri, che lo rappresenta e

difende per procura unita al ricorso.

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

20/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/07/2020 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Bologna ha respinto il ricorso proposto da S.A., cittadino del Senegal, avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Il richiedente asilo ha riferito di aver causato un incendio mentre puliva il proprio terreno facendo mucchi di erba da bruciare. Questo incendio aveva raggiunto un accampamento vicino al campo, bruciando delle capanne e causando la morte del bestiame appartenente a dei pastori nomadi di etnia (OMISSIS). Mentre il ricorrente e il fratello andavano ad avvertire lo zio, l’incendio si era spento. Il ricorrente ha riferito che non sapeva se lo zio avesse offerto un risarcimento ai pastori, che non avevano un buon rapporto con il padre. Quello stesso giorno i pastori si erano recati dallo zio e lo avevano aggredito. Poi era pure intervenuta la polizia a causa dell’incendio e della rissa. Gli fu consigliato di scappare anche perchè il fratello era stato arrestato. Il ricorrente ha riferito di temere un eventuale rientro per timore sia delle conseguenze dell’incendio che dei pastori.

A sostegno della decisione di rigetto, il tribunale ha valutato il racconto del richiedente non credibile, perchè sarebbe rimasto privo di qualunque riscontro documentale che egli avrebbe potuto fornire quantomeno riguardo alla detenzione subita dal fratello per il medesimo fatto e per le numerose incoerenze su aspetti di sicuro rilievo della vicenda. Non sussistono, quindi, ad avviso del tribunale,i motivi di persecuzione che giustificherebbero il riconoscimento dello status di rifugiato, ma neppure i presupposti del riconoscimento della protezione sussidiaria, non essendosi prospettata la ricorrenza di un danno grave derivante da una condanna a morte ovvero dalla sottoposizione a trattamenti inumani. Sulla base delle fonti internazionali, il tribunale ha accertato, altresì, l’assenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale, in quanto in Senegal non risulta alcun conflitto armato in corso. Infine, il tribunale non ha riconosciuto la protezione umanitaria per l’assenza di ragioni di vulnerabilità che precludano il rimpatrio.

Contro il decreto del medesimo Tribunale è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte, essendosi estinto solo ai fini della partecipazione alla eventuale udienza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente censura la decisione del Tribunale: (i) sotto un primo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, nonchè dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, tenendo conto anche del paese di transito e cioè, la Libia; (ii) sotto un secondo profilo, per omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in riferimento ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il primo motivo, è inammissibile, perchè generico, in quanto non censura nessuna ratio decidendi del provvedimento impugnato in particolare, il giudizio di non credibilità, ma si consuma in astratte considerazioni di diritto, in generale, mentre, la situazione generale del paese di transito (in termini di violazione dei diritti umani) è irrilevante ai fini della decisione se non ne è evidenziata (come nella specie) la sua connessione con il contenuto della domanda (Cass. n. 2861/18).

Il secondo motivo è inammissibile, quanto al profilo del dedotto omesso esame di un fatto decisivo, perchè il tribunale ha esaminato la materia oggetto di controversia, con motivazione senz’altro al di sopra del “minimo costituzionale”; mentre è infondato per il resto, in quanto la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dal Tribunale che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione.

La mancata predisposizione di difese scritte da parte dell’amministrazione statale esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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