Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17153 del 14/08/2020

Cassazione civile sez. I, 14/08/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 14/08/2020), n.17153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5163/2019 proposto da:

S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, Via della Giuliana

n. 32, presso lo studio dell’Avvocato Antonio Gregorace, che lo

rappresenta e difende, in forza di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 5185/2018 della CORTE D’APPELLO DI ROMA,

depositata il 25/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/07/2020 da IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 5185/2018, depositata in data 25/7/2018, ha confermato la decisione di primo grado, che aveva respinto, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, la richiesta di protezione internazionale avanzata da S.L., cittadino del Gambia.

In particolare, i giudici d’appello, premesso di concordare con il giudizio del Tribunale in ordine alla inattendibilità delle dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione territoriale in punto di diversa provenienza, rispetto a quanto inizialmente riferito, dalla Guinea Bissau, anzichè dal Gambia, hanno sostenuto che non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, risultando il racconto del richiedente (essere stato costretto a fuggire per sottrarsi alle percosse dei parenti del padre, cui, alla morte dei genitori, egli era stato affidato), a prescindere dalla credibilità, non relativo ad atti di persecuzione; nel Paese di provenienza (il Gambia), i conflitti in atto non raggiungevano un livello così elevato di intensità così da escludere che la sola presenza del soggetto nel suo territorio comportasse una minaccia individuale nei suoi confronti (secondo i Report ultimi di Amnesty International e del sito “Viaggiare sicuri”); non ricorrevano le condizioni per il rilascio del permesso per ragioni umanitarie, in quanto anche il certificato medico prodotto (attestante la presenza sul corpo del richiedente di ferite da arma da taglio) non comprovava uno stato di particolare vulnerabilità fisica e psicologica.

Avverso la suddetta pronuncia, S.L. propone ricorso per cassazione, notificato a mezzo PEC il 25/1/2019, affidato a cinque motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge difese).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione o

falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, “di norme di diritto in relazione al mancato riconoscimento della protezione internazionale”, dolendosi della mancata motivazione in ordine alle ragioni del diniego della protezione internazionale; 2) con il secondo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato dalla richiesta di audizione personale del richiedente, previa nomina di un interprete di lingua mandinga, non disposta in primo grado e sulla cui doglianza non ha motivato la Corte d’appello; 3) con il terzo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato dalle dichiarazioni rese dal richiedente dinanzi alla Commissione territoriale ed in giudizio, in ordine alle condizioni, non tranquillizzanti Paese di effettiva provenienza, la Guinea Bissau; 4) con il quarto motivo, la violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione al diniego della protezione sussidiaria, stante l’instabilità in cui versa il Paese di provenienza; 5) con il quinto motivo, l’errata applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. La prima censura è inammissibile per assoluta genericità della doglianza, con la quale si lamenta un vizio di violazione di legge, non meglio specificata, e ci si duole poi della mancanza assoluta di motivazione della decisione impugnata.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

Secondo le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. Un., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133).

Questa Corte (Cass.1539/2018; Cass.25761/2014) ha evidenziato che la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile “ratione temporis”, si coglie nel senso che, mentre nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello), nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia. Peraltro (Cass. 10862/2018), si è osservato che, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che si faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge.

Nella specie, il ricorrente lamenta non il mancato esame di un fatto storico, ma il mancato esame di una istanza processuale. La doglianza, all’evidenza, fuoriesce dal perimetro della fattispecie normativa di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

3. Il terzo motivo pure implicante un vizio motivazionale, è inammissibile per assoluta genericità e perchè non viene censurata la previa statuizione di inattendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente sulla diversa identità e provenienza.

4. Il quarto motivo è del pari inammissibile. Nella specie, la Corte d’appello ha precisato che non ricorreva una minaccia grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), sulla base delle fonti internazionali consultate.

Invero, con riguardo al giudizio di appello, questa Corte ha affermato che “in tema di protezione internazionale sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ove il richiedente invochi l’esistenza di uno stato di diffusa e indiscriminata violenza nel Paese d’origine tale da attingerlo qualora debba farvi rientro, e quindi senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato, l’attenuazione del principio dispositivo, cui si correla l’attivazione dei poteri officiosi integrativi del giudice del merito, opera esclusivamente sul versante della prova, non su quello dell’allegazione; ne consegue che il ricorso per cassazione deve allegare il motivo che, coltivato in appello secondo il canone della specificità della critica difensiva ex art. 342 c.p.c., sia stato in tesi erroneamente disatteso, restando altrimenti precluso l’esercizio del controllo demandato alla S.C. anche in ordine alla mancata attivazione dei detti poteri istruttori officiosi” (Cass.13403/2019; nella specie, il ricorrente si era limitato, per sostenere l’esistenza nell’intera Nigeria di una situazione di violenza generalizzata, a richiamare le norme nazionali e convenzionali, i principi affermati nella materia dalla S.C. ed una pluralità di fonti informative, sito Amnesty International, report EASO, note del Ministero degli Affari Esteri, senza specificare la zona di provenienza nè segnalare i contenuti delle allegazioni svolte in primo grado).

Il ricorrente si è limitato a dedurre, del tutto genericamente, di avere allegato una situazione di instabilità del Paese d’origine non presa in esame dalla Corte di merito.

5. Il quinto motivo, implicante vizio di violazione di legge, è inammissibile, per difetto di specificità.

Il richiedente si limita a dedurre che la Corte di merito non avrebbe preso in esame lo stato di salute documentato.

Ora, ferma l’esclusione, motivata, di una situazione di vulnerabilità personale, il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente: tale elemento, tuttavia, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale dell’istante, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 2007, art. 5, comma 6, che nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità (cfr. Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

La Corte d’appello ha valutato la certificazione medica allegata, rilevando che non si riscontravano patologie ostative al rientro nel Paese d’origine.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2020

 

 

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