Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17146 del 17/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 17/08/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 17/08/2016), n.17146

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13219-2010 proposto da:

IMPRESA GAMBINO COSTRUZIONI, (p.i. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE ALFONSO, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VILLABATE, (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato AUGUSTO CANDIA, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 570/2009 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 30/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato il 3 maggio 1999, l’impresa Gambino Costruzioni conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Palermo il Comune di Villabate, chiedendo pronunciarsi la risoluzione, per fatto e colpa del convenuto, del contratto di appalto stipulato con l’ente pubblico in data 18 ottobre 1996, avente ad oggetto i lavori per la realizzazione di un centro sportivo polivalente, e condannarsi il medesimo al pagamento della differenza tra l’importo dei lavori effettivamente eseguiti e quello dei lavori pagati, nonchè al risarcimento dei danni subiti. La domanda veniva rigetta dal Tribunale di Palermo, con sentenza n. 8437/2004, depositata il 16 marzo 2004.

2. Avverso la decisione di prime cure proponeva appello l’impresa Gambino, che veniva, del pari, disatteso dalla Corte di Appello di Palermo, con sentenza n. 570/2009, depositata il 30 marzo 2009, con la quale il giudice del gravame riteneva legittime le tre perizie di variante adottate dalla stazione appaltante e, di conseguenza, giustificate le sospensioni dei lavori disposte. La Corte escludeva, di conseguenza, la sussistenza di un colpevole inadempimento da parte dell’amministrazione comunale.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso l’impresa Gambino Costruzioni nei confronti del Comune di Villabate sulla base di sei motivi.

4. Il resistente ha replicato con controricorso e con memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo, quarto e quinto motivo di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – l’impresa Gambino Costruzioni denuncia la violazione e falsa applicazione della L.R. 29 aprile 1985, n. 21, art. 23, del D.P.R. 18 marzo 1962, n. 1063, art. 30, artt. 1218, 1453 e 1455 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

1.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte di Appello – nel pronunciarsi sulla domanda, proposta dall’impresa Gambino Costruzioni e rigettata dal Tribunale, di risoluzione del contratto di appalto stipulato con il Comune di Villabate in data 18 ottobre 1996, avente ad oggetto i lavori per la realizzazione di un centro sportivo polivalente – abbia ritenuto, peraltro con motivazione del tutto incongrua ed inadeguata, che le tre perizie di variante e le conseguenti sospensioni di lavori fossero legittime. E ciò, sebbene, la prima perizia di variante fosse stata giustificata dalla mancanza di una pubblica discarica nel territorio comunale e per porre rimedi ad alcuni errori ed inadeguatezze progettuali dell’opera, la seconda, fosse stata elaborata per consentire un adeguato piano di posa delle fondamenta del corpo spogliatoio ed una più idonea struttura ed armamento dei muretti delimitanti il disimpegno”, e la terza fosse stata prevista “al fine di un’ottimale funzionalità del realizzando impianto sportivo…. anche per l’adeguamento dell’impianto elettrico, fognante e sanitario”. Eventi tutti, dunque, benchè “imprevisti”, certo non “imprevedibili”, poichè riconducibili – a parere dell’istante – a manifeste carenze progettuali, e che, pertanto, non potrebbero considerarsi giustificati dal disposto della L.R. 29 aprile 1985, n. 21, art. 23 posto che tale disposizione, ad avviso dell’esponente, andrebbe interpretata – ad onta del tenore letterale – nel senso che i fatti che legittimano l’adozione di una perizia di variante in corso d’opera devono essere, oltre che imprevisti, anche imprevedibili.

1.2. Di conseguenza, le tre sospensione dei lavori, protrattesi oltre il termine previsto in contratto per la realizzazione dell’opera, e sostanzialmente ancorate alla necessità di adottare le suddette varianti, non avrebbero dovuto essere considerate dalla Corte territoriale conformi al disposto del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30, commi 1 e 2 e, quindi, legittime, a nulla rilevando che le prime due fosse state disposte anche per le avverse condizioni metereologiche, e che l’impresa appaltatrice avesse sottoscritto alcuni atti di sottomissione. Tanto più che l’ultimo di tali atti, in data 2 aprile 1998, era precedente alla terza sospensione dei lavori, disposta il 23 settembre 1998, con decorrenza dal 6 luglio 1998. Ne conseguirebbe, a parere della esponente, che la Corte di merito avrebbe dovuto pronunciare la risoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c., tenuto conto: delle ragioni (carenze progettuali) che avevano reso necessarie le tre perizie di variante; del lungo periodo di durata delle relative sospensioni; della conclamata sussistenze di gravi carenze progettuali; dell’impossibilità di trarre dai menzionati atti di sottomissione, sotto il profilo dell’eventuale tolleranza manifestata dall’appaltatore, elementi a favore di una non rilevante gravità dell’inadempimento della stazione appaltante, dovendo tenersi conto, al riguardo, della situazione al momento in cui l’impresa aveva deciso di risolvere il rapporto, e non di quella sussistente al momento in cui la sottoscrizione degli atti era avvenuta.

1.3. Le doglianze sono infondate.

1.3.1. E’ bensì vero, infatti, che questa Corte ha affermato, in proposito, che, in tema di appalto di opere pubbliche, “le ragioni di pubblico interesse o necessità” che, ai sensi del D.P.R. 1063 del 1962, art. 30, comma 2, legittimano l’ordine di sospensione dei lavori, vanno identificate in esigenze pubbliche oggettive e sopravvenute, non previste nè prevedibili dall’Amministrazione con l’uso dell’ordinaria diligenza, così che esse non possono essere invocate al fine di porre rimedio a negligenza o imprevidenza dell’Amministrazione medesima. In particolare, nel caso che sopravvenga la necessità di approvare una “perizia di variante”, tale emergenza non deve essere ricollegabile ad alcuna forma di negligenza o imperizia nella predisposizione e nella verifica del progetto da parte dell’ente appaltante, il quale è tenuto, prima dell’indizione della gara, a controllarne la validità in tutti i suoi aspetti tecnici, e ad impiegare la dovuta diligenza nell’eliminare il rischio di impedimenti alla realizzazione dell’opera sì come progettata (cfr. Cass. 5135/2002; 13643/2004; 18239/2012). Ed in tal senso, ovverosia che le ragioni di sospensione dei lavori debbano ancorarsi ad eventi non prevedibili, oltre che non previsti, va, di certo, inteso anche la L.R. n. 21 del 1985, art. 23.

1.3.2. E tuttavia, questa Corte ha altresì evidenziato, al riguardo, che l’appaltatore, anche in ipotesi di appalti pubblici, deve realizzare l’opera a regola d’arte, osservando, nell’esecuzione della prestazione, la diligenza qualificata ex art. 1176 c.c., comma 2, che rappresenta un modello astratto di condotta e si estrinseca in un adeguato sforzo tecnico con l’impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell’attività esercitata, volto all’adempimento di quanto dovuto ed al soddisfacimento dell’interesse creditorio, nonchè ad evitare possibili eventi dannosi. Ne discende che l’appaltatore, quand’anche si attenga ad un progetto predisposto dal committente ed alle sue indicazioni per la realizzazione, può essere ritenuto responsabile anche in relazione ai vizi dell’opera se, nell’eseguire il progetto e le indicazioni ricevute, non segnali eventuali carenze ed errori, in quanto la prestazione da lui dovuta implica anche il controllo e la correzione di eventuali errori progettuali. Ferma restando, in ogni caso, la possibile corresponsabilità dell’amministrazione quando il fatto dannoso sia stato posto in essere in esecuzione del progetto o di direttive impartite dalla committenza, nei cui confronti è configurabile una responsabilità esclusiva solo se essa abbia rigidamente vincolato l’attività dell’appaltatore, così da neutralizzarne completamente la libertà di decisione (Cass. 22036/2014).

1.3.3. Tanto premesso in via di principio, va rilevato che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato, in fatto, che le varianti in questione erano state adottate, non per ovviare a carenze proget-tuali, tale non potendo considerarsi la mancanza di una discarica nel territorio comunale, e costituendo “la modifica del corpo spogliatoio e dei muretti e l’adeguamento dell’impiantistica (….) lavori disposti in funzione di una migliore fruibilità del centro sportivo, e non anche perchè quelli pregressi non fossero realizzabili” (pp. 11 e 12). Di talchè sarebbe decisamente da escludere, ad avviso del giudice di seconde cure, che tali varianti, in quanto finalizzate soltanto ad una migliore utilizzazione dell’opera pubblica, abbiano potuto comportare – come dedotto dall’Impresa Gambino – addirittura uno stravolgimento dell’assetto dell’opera. Tanto più che le varianti in parola erano state pienamente ed incondizionatamente accettate con i tre atti di sottomissione, sottoscritti dall’impresa Gambino in data 20 maggio 1997, 27 agosto 1997 e 2 aprile 1998 (p. 11). Sicchè alcun vincolo all’attività dell’appaltatore, tale da neutralizzarne completamente la libertà di decisione e da radicare, pertanto, una responsabilità esclusiva dell’amministrazione per il ritardo nell’esecuzione dell’opera, è, di conseguenza, ravvisabile nel caso concreto.

1.3.4. La Corte di merito ha, di conseguenza, ritenuto che le tre sospensioni dei lavori, poichè giustificate dalle perizie di variante legittimamente disposte nonchè dalle avverse condizioni meteorologiche, fossero del tutto legittime, essendo state le prime due, tra l’altro, richieste dalla stessa impresa appaltatrice per le condizioni atmosferiche sfavorevoli. Quest’ultima aveva, peraltro, richiesto perfino una proroga della terza sospensione fino all’11 febbraio 1999 (ossia ben dopo la sottoscrizione anche dell’ultimo atto di sottomissione), rispetto alla ripresa dei lavori disposta per il 21 gennaio 1999, manifestando, in tal modo, una “piena tolleranza” al riguardo (pp. 10 e 11). E non può revocarsi in dubbio che l’accettazione piena ed incondizionata delle perizie di variante e delle conseguenti sospensioni determini l’acquiescenza totale dell’impresa appaltatrice al ritardo nell’ esecuzione dell’opera (arg. da Cass. 13643/2004).

1.4. Le censure suesposte non possono, pertanto, essere accolte.

2. Con il secondo motivo di ricorso l’impresa Gambino denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 13, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1. Lamenta la ricorrente che la Corte di Appello abbia ritenuto legittime le tre perizie di variante, erroneamente considerando il limite del quinto – previsto dal D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 14 – entro il quale l’appaltatore è tenuto ad eseguire tali opere aggiuntive, in relazione al prezzo complessivo dell’appalto e non agli importi delle singole categorie di lavori sui quali sarebbero andate ad incidere le modifiche introdotte con le perizie di variante, e che avrebbero superato la misura indicata dalla norma succitata.

2.2. La censura è infondata.

2.2.1. Questa Corte ha, invero, più volte statuito che, in applicazione della L. n. 2248 del 1865, art. 344, all. F), nonchè del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 14 l’amministrazione appaltante può richiedere lavori diversi da quelli considerati in contratto, in variante dell’opera appaltata, per un importo che non superi un quinto di quello stabilito globalmente in contratto, e non certo in relazione al prezzo delle singole categorie di lavori interessate dalle perizie di variante. Ciò in quanto il diritto potestativo, conferito alla committente dalla L. n. 2248 del 1865, art. 344, all. F e del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 13 e 14 di imporre, fino alla ultimazione dei lavori, modifiche della loro qualità e/o quantità, per circostanze sopravvenute o anche per ragioni di mera opportunità, è soggetto alla condizione (rispondente ad una previsione di tollerabilità da parte dell’appaltatore) che tali variazioni non comportino aumenti superiori al quinto dell’originario corrispettivo complessivo. Sorpassato il quale limite (del 20% dell’importo originario), la posizione dell’appaltatore non è più qualificabile, pertanto, in termini di soggezione, a fronte del diritto potestativo del committente pubblico, ma si riappropria dei suoi contenuti di autonomia negoziale, per cui egli – a fronte della richiesta dell’appellante – è libero di scegliere “se recedere dal contratto oppure proseguire i lavori”, dichiarando per iscritto all’amministrazione anche, eventualmente, a quali condizioni (D.P.R. 1063 del 1962, art. 13, art. 14, comma 4, della L. n. 2248 del 1865, art. 44, all. F) (cfr. Cass. 8094/2000; 13068/2003; 12416/2004). E’, pertanto, da escludersi che siffatto diritto potestativo dell’amministrazione sia attivabile – risultandone, in caso contrario, intollerabilmente compressa l’autonomia dell’appaltatore – in relazione a singole categorie di lavori.

2.2.2. Il mezzo in esame va, pertanto, disatteso.

3. Con il terzo motivo di ricorso l’impresa Gambino denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 25 nonchè l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

3.1. Lamenta la ricorrente che le varianti in questione siano state considerate legittime dalla Corte di merito, sebbene adottate in violazione della L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 25 che limita l’importo delle varianti in corso d’opera al 5% dell’importo originario del contratto di appalto. E ciò, senza che la censura mossa, al riguardo, dalla ditta appaltatrice nei confronti della decisione di prime cure fosse stata presa in considerazione alcuna da parte della Corte territoriale.

3.2. La censura è inammissibile.

3.2.1. L’istante lamenta che il suindicato profilo di illegittimità delle tre perizie di variante non sia stato “sotto alcun aspetto preso in considerazione dal giudice di secondo grado”, benchè tale profilo di illegittimità fosse stato “espressamente denunciato dall’impresa Gambino Costruzioni con l’atto di impugnazione”. E’ evidente, pertanto, che l’esponente si duole di un’omessa pronuncia da parte del giudice di seconda istanza. E tuttavia, la ricorrente non effettua nel motivo di ricorso in esame – un univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ma si limita a denunciare, inammissibilmente, un vizio di motivazione ed una violazione di legge (Cass. S.U. 17931/2013).

3.2.2. Per tali ragioni, dunque, il mezzo – in quanto inammissibile non può trovare accoglimento.

4. Va, infine, disatteso il sesto motivo di ricorso, concernente la condanna dell’impresa appellante alle spese del giudizio di seconde cure, operata dalla Corte di Appello, derivando la condanna alle spese di detto grado del giudizio dalla soccombenza totale dell’appellante, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., e non essendo stata la sentenza di appello cassata, neppure in parte, da questa Corte.

5. Per tutte le ragioni che precedono, il ricorso proposto dall’impresa Gambino Costruzioni deve essere, di conseguenza, integralmente rigettato.

6. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo.

PQM

La corte suprema di cassazione:

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 8200, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2016

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