Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17145 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/07/2010, (ud. 12/05/2010, dep. 21/07/2010), n.17145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. D’ALLESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2476-2009 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAVOIA 72,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO DI NAPOLI, rappresentato e

difeso dagli avvocati FERNANDO BARBARA, RIZZELLI CLAUDIO, giusta

procura speciale alle liti in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 410/2007 della Commissione Tributaria

Regionale di BARI – Sezione Staccata di LECCE del 21.3.07, depositata

il 16/01/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/05/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO MERONE.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. VINCENZO MARINELLI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Collegio:

Letti gli atti del ricorso specificato in epigrafe;

Vista e condivisa la relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. nella quale si legge: “Il sig. C.M. ha impugnato un avviso di accertamento con il quale il competente ufficio finanziario rettificava, con metodo sintetico, la dichiarazione dei redditi del 1990, sulla base del possesso di una automobile, di più immobili e della capacità di spesa desunta dal pagamento di un mutuo.

La CTR, confermando la decisione di primo grado, ha rigettato il ricorso del contribuente, il quale ricorre per cassazione sulla base di tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso eccependo a inammissibilità del ricorso, notificato direttamente all’Avvocatura dello Stato e non alla Agenzia stessa.

L’eccezione formulata dalla parte resistente è infondata perchè la nullità denunciata è sanata dalla sua costituzione, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, (V. Cass. SS.UU. 22641/2007).

Il ricorso e però inammissibile per la genericità dei quesiti prospettati.

Con il primo motivo, denunciando vizi di motivazione, la parte ricorrente chiede di sapere se violi il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39 il giudice di merito che non tenga conto di presunzioni favorevoli al contribuente in grado di contrastare quelle poste a base dell’accertamento e se lo stesso giudice non violi l’art. 111 Cost. allorquando non tenga in debito conto le argomentazioni del contribuente. La risposta positiva ai quesiti non incide in alcun modo sulla soluzione della controversia, i cui termini non trovano riscontro nella formulazione dei quesiti. Questi, in sintesi sono privi della premessa in fatto e, quindi, sono carenti di autosufficienza.

Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo con il quale viene denunciata “motivazione illogica ed in conferente” e si chiede di sapere se il giudice sia venuto meno al proprio dovere di motivazione, in relazione ad eccezioni che non sono sinteticamente prospettate nel quesito (v. Cass. 2652/2008) e comunque appaiono prive di autosufficienza (specialmente in relazione alla loro riproposizione dinanzi al giudice di appello.

Infine, con il terzo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. la parte ricorrente chiede di sapere se sussista un obbligo di valutazione delle prove prodotte dalle parti e se la violazione di tale dovere importi la violazione delle norme citate. Anche in questo caso il quesito è generico e consiste nel riprodurre il precetto generale stabilito dal legislatore. L’unico aggancio alla fattispecie concreta è data dal rinvio del quesito alta esposizione del motivo. In tal modo però, il quesito non è autosufficiente (ma non lo è nemmeno l’esposizione del motivo) e non consente di fornire una risposta che risolva il caso concreto”;

Considerato che la discussione in camera di consiglio non ha apportato nuovi elementi di valutazione e che, pertanto, il ricorso va rigettato, con aggravio di spese a carico del ricorrente, liquidate come da dispositivo, per il principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1100,00, di cui Euro mille/00 per onorario, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

 

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