Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17136 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. III, 16/06/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 16/06/2021), n.17136

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37721/2019 proposto da:

K.A., (alias F.A.), domiciliato ex lege in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MANUELA MAURO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2056/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/02/2021 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. – Con ricorso affidato a due motivi, K.A. (alias F.A.), cittadino del Gambia, ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Milano, resa pubblica il 9 maggio 2019, che ne rigettava il gravame avverso la decisione di primo grado del Tribunale della medesima Città che, a sua volta, ne aveva respinto l’opposizione avverso il diniego della competente Commissione territoriale del riconoscimento, in via gradata, dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) il racconto del richiedente (aver lasciato il Paese per timore di essere ucciso dal cugino affetto da malattia mentale), pur a volerlo ritenere credibile, dava evidenza a vicenda di carattere privato e familiare, così come riconducibili all’ambito familiare erano le figure che avrebbero posto in essere presunti atti intimidatori di discriminazione religiosa, peraltro “dedotti per la prima volta in appello”; b) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, nè in riferimento alle lettere a) e b), nè riguardo alla lett. c), non potendosi ravvisare in Gambia, in base alle COI utilizzate (AI 2017-2018, HRW 2018), una situazione di conflitto armato e di violenza generalizzata; c) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo emersa una situazione di vulnerabilità individuale, nè elementi tali da far ritenere raggiunto un sufficiente livello di integrazione in Italia.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

4. – Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, per aver la Corte territoriale erroneamente escluso il riconoscimento della protezione umanitaria in assenza della dovuta considerazioni delle condizioni del Paese di rimpatrio di esso richiedente, tali da pregiudicare i suoi diritti fondamentali.

2. – Con il secondo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per aver la Corte di appello erroneamente escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria.

3. – Va prioritariamente esaminato il secondo motivo, il quale è inammissibile.

Con esso sono veicolate censure affatto generiche e inidonee a scalfire le rationes decidendi sulle quali correttamente si fonda la sentenza impugnata.

In punto di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), il giudice di appello ha, difatti, correttamente applicato il principio per cui, in tema di protezione internazionale, le liti tra privati, in quanto meramente tali, non possono essere addotte quale causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, nelle forme dello “status” di rifugiato, in presenza di atti di persecuzione, e della protezione sussidiaria, in presenza di serio ed effettivo rischio di subire danno grave in caso di rimpatrio (Cass., 19258/2020).

Quanto, poi, alla forma di protezione di cui del medesimo art. 14, lett. c), giova rammentare che il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate (Cass., 4037/2020).

La Corte d’Appello ha ritenuto, sulla base di COI (aggiornate, attendibili e debitamente indicate) che il Paese d’origine del richiedente (Gambia) non si caratterizza per criticità sovrapponibili al concetto di violazione indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale richiesto ai fini del rilascio della protezione; valutazione questa non attinta da alcuna specifica critica.

4. – Merita, invece, accoglimento il primo motivo.

4.1. – Preliminarmente, va evidenziato che la disciplina di riferimento rimane (alla luce di Cass., S.U., n. 29459/2019) quella di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, nella formulazione antecedente alla modifica recata dal D.L. n. 130 del 2020 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 173 del 2020), giacchè le disposizioni transitorie dettate dal relativo art. 15, rendono palese l’inapplicabilità della novella a giudizi pendenti dinanzi alla Cassazione (cfr. Cass. n. 28316/2020).

4.2. – Sempre in via preliminare, va dichiarata inammissibile la produzione documentale depositata con la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., là dove integrativa di quella prodotta nei gradi di merito e, dunque, non riconducibile alla documentazione di cui il deposito è unicamente consentito ai sensi dell’art. 372 c.p.c..

4.3. – Venendo al fondo del motivo di ricorso, la Corte territoriale ha omesso di porre in essere una comparazione effettiva tra la condizione di inserimento sociale raggiunto dal ricorrente – che costituisce un elemento idoneo a concorrere nella configurazione la sua vulnerabilità – con quella nella quale egli si sarebbe venuto a trovare in caso di rientro nel Paese di origine, in relazione alla tutela dei suoi diritti fondamentali, facendo errata applicazione del principio secondo cui “ai fini del giudizio di bilanciamento funzionale al riconoscimento della protezione umanitaria, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed a quella alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio. A fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni sociopolitiche del Paese d’origine deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone, pertinenti al caso e aggiornate al momento dell’adozione della decisione; conseguentemente, il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di esaminare la documentazione prodotta a sostegno della dedotta integrazione e di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, incorrendo altrimenti la pronuncia nel vizio di motivazione apparente” (Cass., 22528/2020).

5. – Va, dunque, accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il secondo.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che dovrà applicare, nella delibazione del gravame, il principio innanzi enunciato, nonchè provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione e dichiara inammissibile il secondo motivo di ricorso;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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