Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17135 del 17/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 17/08/2016, (ud. 10/06/2016, dep. 17/08/2016), n.17135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D�ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13103/2010 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in

persona del presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONIETTA CORETTI, EMANUELE DE ROSE, VINCENZO STUMPO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.M.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2765/2009 della CORTE D�APPELLO di NAPOLI,

depositata il 08/05/2009 R.G.N. 659/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato STUMPO VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il giorno 8 maggio 2009, la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda proposta nei confronti dell’Inps da D.M.G., dipendente della SOM Stampa Offset Meridionale S.p.A., dichiarata fallita con sentenza del 24/12/1988, diretta ad ottenere l’accertamento del diritto all’indennità di mobilità nella misura indicata dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, e la condanna dell’Istituto al pagamento delle differenze, tra quanto spettantegli in base alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, comma 1, e quanto percepito ai sensi dell’art. 22, comma 7, I. cit., che richiama la L. n. 1115 del 1968.

La Corte territoriale ha confermato la decisione di primo grado e, nel rigettare l’appello dell’Inps, ha escluso l’applicabilità dell’art. 22 L. cit. sul presupposto che il licenziamento del lavoratore si era verificato in epoca successiva all’entrata in vigore della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7. Al contrario, il licenziamento si era verificato alla cessazione della CIGS, sotto il vigore della L. n. 223 del 1991.

Contro la sentenza l’Inps ha proposto ricorso per cassazione, sostenuto da un unico motivo. Il D.M. non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo di ricorso è prospettata la violazione e la falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 16, u.c., (art. 360 c.p.c., n. 3). La questione investe le modalità di determinazione dell’indennità di disoccupazione e cioè se la stessa vada determinata ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 7, comma 1 (come ritenuto dalla sentenza d’appello), oppure secondo il criterio di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 22, comma 7, in sostituzione del trattamento speciale di disoccupazione di cui alla L. n. 1158 del 1968, art. 8. L’INPS contesta la statuizione della Corte d’Appello, che ha ritenuto che il licenziamento del lavoratore non poteva che essere avvenuto dopo l’entrata in vigore della L. n. 223 del 1991 (11 agosto 1991), allorchè era terminata la sospensione del rapporto di lavoro in virtù del decreto ministeriale di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale ex L. n. 301 del 1979, art. 2.

Al contrario, secondo l’Inps, occorre far riferimento alla data di intimazione del licenziamento da parte del curatore fallimentare. Formula il seguente quesito di diritto: -se al lavoratore che usufruisca del trattamento straordinario di integrazione salariale, concesso ai sensi dell’art.2 della legge n. 301 del 1979, perchè licenziato prima dell’entrata in vigore della L. n. 223 del 1991, al momento dell’entrata in vigore di quest’ultima legge, istitutiva dell’indennità di mobilità, sia applicabile il regime del trattamento speciale di disoccupazione cui alla L. n. 115 del 1968, art. 8, richiamato dalla norma transitoria di cui all’ultimo comma della stessa L. n. 223 del 1991, art. 16, e non la disposizione dell’art. 7, che conferisce a regime l’indennità di mobilità.

2. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

In punto di fatto deve rilevarsi che, come risulta dalla stessa sentenza impugnata, l’intimato è stato licenziato dalla società dichiarata fallita con sentenza del 24/12/1988 e di essere stato collocato in cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS) a norma della L. n. 301 del 1979, art. 2, fino al 29/12/1991; di aver quindi percepito l’indennità di mobilità dal 29/12/1991 al 30/9/1995, computata in base agli importi riconosciuti per l’indennità di disoccupazione speciale dalla L. n. 1115 del 1968.

La controversia si incentra sulla applicabilità dell’art. 7, e art. 16, comma 1, della citata legge, in ragione della ritenuta o meno sospensione degli effetti del detto licenziamento, in ragione della collocazione in CIGS ai sensi della L. n. 301 del 1979, fino alla cessazione dell’intervento della cassa integrazione.

Fattispecie analoghe a quella oggetto del presente giudizio sono già oggetto di esame di questa Corte (Cass., 12 aprile 2011, n. 8356; Cass., 7 aprile 2011, n. 7958; Cass., 27 marzo 2007, n. 7458; Cass., del 28 ottobre 2003, n.16205; e, da ultimo, Cass., 21 agosto 2014, n. 18125), e sono state risolte nel senso favorevole al lavoratore.

Il richiamato art. 16, comma 1, stabilisce che: “nel caso di disoccupazione derivante da licenziamento per riduzione di personale ai sensi dell’art. 24, da parte delle imprese, diverse da quelle edili, rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale, il lavoratore, operaio, impiegato o quadro, qualora possa far valere una anzianità aziendale di almeno dodici mesi, di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione del lavoro derivanti da ferie, festività e infortuni, con un rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non a termine, ha diritto alla indennità di mobilità ai sensi dell’art. 7”.

L’art. 16, u.c., invocato dall’INPS, stabilisce che nel caso in cui il licenziamento sia stato intimato prima dell’entrata in vigore della L. n. 223 del 1991, in via transitoria continuano ad applicarsi la L. 5 novembre 1968, n. 1115, art. 8, e art. 9, commi 2 e 3.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito (v. pure Cass. n. 12908 del 1991, oltre alle sentenze già citate, tutte conformi) che, nella disciplina prevista dalla L. n. 301 del 1979, art. 2, – che ha esteso, con effetto dal 1 gennaio 1979, il beneficio della cassa integrazione guadagni straordinaria alle imprese già dichiarate fallite, per le quali sia stato dichiarato, dopo il fallimento, lo stato di crisi aziendale ai sensi della L. 12 agosto 1977, n. 675, art. 2, – la sospensione dell’efficacia dei licenziamenti intimati dal curatore fallimentare determina non l’estinzione ma la prosecuzione dei rapporti di lavoro, con la sola sospensione delle obbligazioni aventi per oggetto la prestazione lavorativa e la retribuzione e con diritto dei lavoratori posti in CIGS alle quote di trattamento di fine rapporto maturate durante il tempo dell’intervento straordinario.

La circostanza dell’effettivo ripristino dei rapporti di lavoro, sia pure in uno stato di sospensione, comporta che, ai fini della normativa di sostegno della posizione dei lavoratori coinvolti da processi di ristrutturazione aziendale, i licenziamenti devono intendersi verificati solo al momento dell’acquisto, da parte dei medesimi, della efficacia definitiva.

Pertanto, la posizione dei lavoratori interessati deve essere equiparata a quella dei lavoratori che, dopo l’entrata in vigore della L. n. 223 del 1991, sono assoggettati a collocamento in mobilita o a licenziamento collettivo. Altrimenti, in relazione alla circostanza che le formalità relative alla estinzione dei loro rapporti di lavoro sono state poste in atto prima dell’entrata in vigore della L. n. 223 del 1991, essi rimarrebbero privi della tutela appropriata in relazione alle speciali caratteristiche della suddetta vicenda estintiva; considerazione, questa, che evidenzia la necessita di preferire un’interpretazione della normativa che non presenti aspetti di incostituzionalità con riferimento ai precetti degli artt. 3 e 38 Cost., e che, in conseguenza, induce a ritenere che, nel concorso degli altri presupposti di cui alla L. n. 223 del 1991, in relazione a fattispecie come quella qui in esame, debba farsi applicazione estensiva dell’art. 7, e art. 16, comma 1, che prevedono – come misura di sostegno previdenziale – l’indennità di mobilita a favore dei lavoratori collocati in mobilita a norma dell’art. 4, o disoccupati per effetto di un licenziamento per riduzione di personale disposto, ai sensi dell’art. 24, da imprese rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale.

3. Va, quindi, condiviso il principio già affermato, secondo cui “in caso di licenziamento collettivo, intimato prima dell’entrata in vigore della L. 23 luglio 1991, n. 223, i cui effetti siano rimasti sospesi a norma della L. 27 luglio 1979, n. 301, art. 2, fino a data successiva all’entrata in vigore della citata L. n. 223 del 1991, i lavoratori rimasti disoccupati per effetto dei licenziamenti disposti dal curatore fallimentare hanno diritto, nel concorso degli altri prescritti requisiti, all’indennità di mobilita a norma dell’art. 7, e art. 16, comma 1, della stessa legge, atteso che, comportando la sospensione non l’estinzione ma la prosecuzione dei rapporti di lavoro, ì licenziamenti devono intendersi verificati solo al momento in cui sono divenuti definitivamente efficaci, con la conseguente equiparazione della posizione dei lavoratori interessati a quella dei lavoratori assoggettati a collocamento in mobilita o a licenziamento collettivo dopo l’entrata in vigore della L. n. 223 del 1991”.

4. La sentenza della Corte d’Appello di Napoli si è pronunziata in termini di assoluta conformità al riferito principio, con la conseguenza che il ricorso dell’INPS deve essere rigettato. Non deve provvedersi per le spese di giudizio in difetto di attività difensiva dell’intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2016

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