Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17132 del 17/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 17/08/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 17/08/2016), n.17132

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. CAVALLO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13310/2010 proposto da:

B.C. C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR,

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato M.N., giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONIETTA CORETTI, EMANUELE DE ROSE, VINCENZO STUMPO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 313/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 05/05/2009 R.G.N. 74/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito l’Avvocato CORETTI ANTONIETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza depositata il 5.5.2009, la Corte d’appello di Catania rigettava l’appello proposto da B.C. avverso la pronuncia con cui il giudice di prime cure l’aveva dichiarata decaduta D.P.R. n. 639 del 1970, ex art. 47, dal diritto a chiedere all’INPS l’indennità di maternità per il periodo di astensione facoltativa, che non le era stata corrisposta dal datore di lavoro.

La Corte, nell’avallare il ragionamento seguito dal primo giudice in punto di decadenza, riteneva altresì che fosse maturata la prescrizione, onde anche sotto tale profilo la domanda non poteva meritare accoglimento. Contro questa pronuncia ricorre B.C., affidandosi a otto motivi, illustrati con memoria. Resiste l’INPS con controricorso, parimenti illustrato con memoria. Rivel s.r.l. in fallimento, già datrice di lavoro dell’odierna ricorrente e contumace in grado d’appello, non ha svolto nemmeno in questa sede attività difensiva.

Diritto

Con il primo e secondo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, dell’art. 6, d.l. n. 103/1991 (conv. con I. n. 166/1991), e dell’art. 4, d.l. n. 384/1992 (conv. con I. n. 438/1992), nonchè insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte di merito ritenuto applicabile in specie la decadenza di cui alle disposizioni citt., nonostante che, avendole il datore di lavoro corrisposto il primo rateo dell’indennità oggetto della domanda, la prestazione dovesse considerarsi a tutti gli effetti riconosciuta, come se a pagarla fosse stato l’INPS.

Con il terzo e quarto motivo di ricorso, la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, del D.L. n. 103 del 1991, art. 6, (conv. con L. n. 166 del 1991), del D.L. n. 384 del 1992, art. 4, (conv. con L. n. 438 del 1992), dell’art. 115 c.p.c., e art. 2697 c.c., nonchè di insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte di merito ritenuto che la domanda amministrativa volta al conseguimento della prestazione fosse stata presentata in data 15.4.2003, invece che il 10.2.2004.

Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 138 del 1943, art. 6, L. n. 133 del 1990, art. 6, R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 97, e art. 2935 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la pendenza del procedimento amministrativo non sospendesse la decorrenza della prescrizione.

Con il sesto e settimo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 2, per avere la Corte di merito ritenuto che il procedimento amministrativo previsto per la valutazione dei presupposti e dei requisiti per l’accesso alla prestazione potesse concludersi senza alcun provvedimento esplicito e dunque senza alcun avvertimento circa i tempi e i modi dell’eventuale successiva impugnazione giudiziale del rifiuto della prestazione.

Da ultimo, con l’ottavo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 152 att. c.p.c., per non avere la Corte territoriale ritenuto che, anche in mancanza di apposita dichiarazione resa a norma della disposizione cit., sussistessero giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di primo grado.

Il terzo e quarto motivo di censura, concernenti l’accertamento concernente la data di presentazione della domanda amministrativa volta al conseguimento della prestazione per cui è causa, precedono logicamente i primi due. Essi possono trattarsi congiuntamente, stante l’intima connessione delle censure svolte, e sono inammissibili.

E’ sufficiente al riguardo osservare che, benchè parte ricorrente si dolga variamente del fatto che la Corte di merito abbia identificato nel 15.4.2003 la data di presentazione della domanda amministrativa per il conseguimento della prestazione, il ricorso per cassazione, pur dando atto che codesto accertamento era stato compiuto già dal giudice di primo grado, non ha spiegato in che modo esso avrebbe formato oggetto di impugnazione in grado di appello, visto che nella sentenza impugnata è dato addirittura per “pacifico tra le parti” (cfr. pag. 2). Ed è evidente che codesta lacuna costituisce violazione del canone di autosufficienza del ricorso per cassazione, che impone alla parte, che pretenda di censurare un’affermazione della sentenza impugnata che implichi un accertamento di fatto, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. Cass. nn. 6542 del 2004 e, più recentemente, 20518 del 2008).

Dovendo dunque darsi per intangibile l’affermazione della sentenza relativa al fatto che la domanda amministrativa fu presentata in data 15.4.2003, ne viene l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso, con i quali parte ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale non abbia valorizzato, al fine di escludere l’applicabilità dell’istituto della decadenza, la circostanza che il datore di lavoro le avesse corrisposto il primo rateo dell’indennità oggetto della domanda fin dal mese di settembre 2002, rendendo così superfluo l’adito amministrativo per avvenuto riconoscimento del diritto.

Come più volte statuito da questa Corte, la presentazione della domanda amministrativa condiziona infatti lo stesso sorgere del diritto del privato alla prestazione previdenziale, il quale non può ritenersi venuto ad esistenza giuridica (unitamente allo speculare obbligo dell’ente previdenziale) anteriormente al perfezionamento della fattispecie a formazione progressiva che nella presentazione della domanda all’ente previdenziale trova appunto il suo incipit (cfr. in tal senso Cass. n. 732 del 2007 e, più recentemente, Cass. n. 5318 del 2016). Di conseguenza, nessun rilievo poteva essere attribuito in specie al semplice fatto dell’erogazione di uno o più ratei dell’indennità da parte del datore di lavoro (che peraltro agisce quale mero adiectus solutionis causa: cfr. in tal senso Cass. n. 639 del 1997), semplicemente perchè, in assenza di domanda amministrativa, nessun rilievo giuridico avrebbe avuto financo la corresponsione dell’indennità da parte dell’ente previdenziale: lungi dal poter costituire riconoscimento della prestazione, come invece ritenuto dalla sentenza impugnata, essa avrebbe potuto (rectius, dovuto) essere interrotta in ogni tempo, con consequenziale recupero delle somme erogate, siccome radicalmente indebita.

Corretta in tal senso la sentenza impugnata e dovendo ritenersi logicamente assorbito il quinto motivo di ricorso, concernente la prescrizione del diritto all’indennità, sono palesemente infondati il sesto e il settimo motivo di ricorso, essendo lo stesso combinato disposto del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, e del D.L. n. 103 del 1991, art. 6, a prevedere che il decorso del termine di decadenza possa aversi in assenza di uno specifico pronunciamento dell’ente previdenziale, mentre è inammissibile l’ottavo motivo, dal momento che, rientrando la facoltà di disporre la compensazione delle spese nel potere discrezionale del giudice di merito e non essendo questi tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale facoltà, la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. S.U. n. 14989 del 2005).

Il ricorso, pertanto, va conclusivamente rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore dell’INPS.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere all’INPS le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2016

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