Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17132 del 10/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 17132 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 28123-2010 proposto da:
DI CIOCCIO ROSSANA, nata il 18/10/1943, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ODERISI DA GUBBIO 78, presso
lo studio dell’avvocato LIBERATORE LUCIANO ELIGIO,
rappresentata e difesa dall’avvocato TEDESCHI
GABRIELE, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1825

contro

COOPERATIVA ASAI S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;
– intimata –

avverso la sentenza n. 3998/2010 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 10/07/2013

di ROMA, depositata il 21/06/2010 R.G.N. 3275/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/05/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

per il rigetto del ricorso.

Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in sede di rinvio del 21.6.2010, la Corte di Appello di Roma respingeva la
.. domanda di risarcimento proposta da Di Cioccio Rossana con ricorso del 13.4.1999, per
omessa restituzione del libretto di lavoro, ritenendo non dimostrato il pregiudizio dalla
stessa asseritamente subito in conseguenza della condotta omissiva del datore di lavoro, il
quale non aveva provato l’impossibilità della prestazione, di cui era onerato, per essere la

determinata da adempiere al domicilio del debitore. Osservava, poi, il giudice del gravame
che non poteva invocarsi unicamente la liquidazione equitativa, senza indicare le
conseguenze pregiudizievoli dell’inadempimento datoriale e che, anche a voler fare
riferimento alle dichiarazioni rese nell’ambito del procedimento di urgenza, l’appellante non
aveva fornito alcun parametro per la chiesta liquidazione, non avendo indicato la durata ed
i termini precisi del rapporto di lavoro offertole, non concluso per la mancanza del libretto
di lavoro, ovvero se lo stesso fosse a tempo parziale o a tempo indeterminato, nè i
compensi percepibili.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Di Cioccio, affidando l’impugnazione a tre
motivi.
La Cooperativa ASAI s.r.l. è rimasta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la Di Cioccio denunzia violazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3,
c.p.c., assumendo la violazione dell’art. 384, 2° comma, c.p.c., per non essersi il giudice
del rinvio attenuto a quanto statuito dalla Corte di Cassazione, travalicando in materia
indebita i legittimi limiti ad esso imposti, avendo la Corte Suprema, con la pronuncia di
rinvio, ritenuto che vi era stata una valida domanda di risarcimento del danno da parte
della Di Cioccio e che ciò che era demandato al giudice di rinvio era la valutazione della
esistenza o meno del danno.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta falsa applicazione di norme di diritto, ex art.
360, n. 3, c.p.c., osservando che il danno conseguente alla violazione dell’art. 6 della
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mancata consegna a lui imputabile, trattandosi di obbligazione di dare una cosa

legge 112/1935 doveva ritenersi immanente alla condotta datoriale illegittima e che il teste
Biffi, escusso come informatore, aveva dichiarato di essere a conoscenza che la Di
Cioccio non aveva potuto accettare un’offerta di lavoro nell’agosto 2000 poiché non era
… stato possibile riscontrare la qualifica di cuoca dal libretto di lavoro. Richiama il principio
secondo cui nel rito del lavoro non vige un eccessivo formalismo essendo consentito al
giudice di superare presunte mancate allegazioni sulla base di dati oggettivi, comunque

avvenire attraverso l’esame complessivo del ricorso introduttivo, censurabile in sede di
legittimità solo per vizio di motivazione.
Con il terzo motivo, la ricorrente si duole della insufficiente motivazione, ex art. art. 360, n.
5, c.p.c., in ordine alla richiesta di quantificazione del danno, rispetto alla quale non è stato
possibile da parte della ricorrente fornire elementi utili per la valutazione del pregiudizio
proprio perché le offerte di lavoro non si erano concretizzate.
li ricorso è infondato.
E’ sufficiente osservare, quanto alla prima censura, che una cosa è la domanda, altro è la
prova del pregiudizio conseguente all’omissione imputabile al datore di lavoro, del quale
era stato richiesto il risarcimento, e rispetto alla quale la Corte di Cassazione aveva
affermato che il soggetto oneratane era la lavoratrice.
Le deduzioni non colgono nel segno. Ritiene il Collegio che nel caso di specie l’attuale
ricorrente avesse l’onere di provare – in concreto — il pregiudizio conseguitole dalla
mancata consegna del libretto di lavoro. La decisione della Corte romana è del tutto in
linea con il consolidato insegnamento di questa Corte, per il quale nel vigente ordinamento
il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è
riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive, ma in relazione all’effettivo pregiudizio
subito dal titolare del diritto leso, ne’ il medesimo ordinamento consente l’arricchimento se
non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad
un altro. Ne consegue che, pure nelle ipotesi di danno “in re ipsa” – in cui la presunzione
si riferisce solo all'”an debeatur” (che presuppone soltanto l’accertamento di un fatto
potenzialmente dannoso in base ad una valutazione anche di probabilità o di
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acquisiti, ed evidenzia che l’individuazione esatta della pretesa del ricorrente deve

verosimiglianza secondo Imid quod plerumque accidit”) e non alla effettiva sussistenza del
danno e alla sua entità materiale – permane la necessità della prova di un concreto
pregiudizio economico ai fini della determinazione quantitativa e della liquidazione del
danno per equivalente pecuniario (cfr. Cass. 12 giugno 2008 n. 15814 ed, in senso
conforme, Cass. 10.12.2009 n. 258120). Sotto altro profilo, va anche in questa sede
ribadito che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa,

all’art. 115 c.p.c. – dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto
caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa: che, pertanto, da
un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o
particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso
ammontare, dall’altro non ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui
liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la
sussistenza e l’entità materiale del danno, nè esonera la parte stessa dal fornire gli
elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché
l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di
colmare solo le lacune insuperabili nell”iter” della determinazione dell’equivalente
pecuniario del danno (v. Cass. 13288 del 7 giugno 2007). Non è sufficiente la mera
lesività potenziale del fatto ed il danno deve essere escluso ove non siano forniti, come
nella specie, elementi probatori utili alla determinazione della sua entità.
Anche il terzo motivo, dedotto in relazione a vizio motivazionale, deve, per quanto detto,
essere ritenuto infondato, in quanto la Di Cioccio non ha indicato, ai fini individuati, la
specifica offerta lavorativa che non aveva potuto avere sviluppi in relazione alla mancanza
del libretto di lavoro, né il rapporto lavorativo, se a tempo determinato o indeterminato, a
tempo pieno o part — time ed ogni altro elemento utile alla valutazione della sussistenza ed
entità del pregiudizio lamentato.
Quanto al secondo motivo, a prescindere dalla genericità dei rilievi posti a suo
fondamento, e con riguardo ai poteri istruttori d’ufficio richiamati, è sufficiente osservare
che, alla stregua del principio della autosufficienza del ricorso per cassazione, il profilo di
censura sull’esercizio dei poteri istruttori officiosi è privo di fondamento.
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conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c. – espressione del più generale potere di cui

La Corte di cassazione ha più volte ribadito che nel rito del lavoro, ai sensi di quanto
disposto dagli artt. 421 e 437 cod. proc. civ., l’esercizio del potere d’ufficio del giudice, pur
in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita
richiesta delle parti in causa, non è meramente discrezionale, ma si presenta come un
potere — dovere, sicchè il giudice del lavoro non può limitarsi a fare meccanica
applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere della prova, avendo

all’art.. 111, primo comma, Cost., sul “giusto processo regolato dalla legge” di esplicitare le
ragioni per le quali reputi di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica
richiesta di una delle parti, ritenga, invece, di non farvi ricorso. Tali poteri non possono in
ogni caso essere esercitati sulla base del sapere privato del giudice, con riferimento a fatti
non allegati dalle parti o non acquisiti al processo in modo rituale, dandosi ingresso alle
cosiddette prove atipiche, ovvero ammettendosi una prova contro la volontà delle parti di
non servirsi di detta prova o, infine, in presenza di una prova già espletata su punti decisivi
della controversia, ammettendosi d’ufficio una prova diretta a sminuirne l’efficacia e la
portata, o allorquando, infine, si richieda non tempestivamente e non ritualmente la prova
tanto da ritardare — in violazione del principio della ragionevole durata del processo — i
tempi della decisione (sui poteri istruttori del giudice del lavoro cfr. Cass. Sez. Un., 17
giugno 2004 n. 11353, e, più di recente, ex plurimis, Cass. 5 febbraio 2005 n. 2379,
nonché, da ultimo, Cass. 5 novembre 2012 n.18924).
Il ricorso deve essere, in conclusione, respinto. Nulla va statuito selle spese del presente
giudizio, essendo la Cooperativa rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per spese.
Così deciso in Roma il 21.5.2013

l’obbligo — in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 cod. proc. civ., ed al disposto di cui

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